– I segnali sonori più interessanti della settimana. La band scozzese mescola post-punk, elettronica e suoni industriali nello spirito dei Prodigy, ai quali s’ispira anche il singolo dei 5 Seconds of Summer. Il folle e irriverente “Getting Killed”, album della rock band di Brooklyn. Il frontman dei Wilco celebra la convinzione che «la creatività divora l’oscurità» con un ambizioso progetto solista
– La Young Art Jazz Ensemble omaggia Edith Piaf. IDDA mescola antichi canti religiosi in Sicilia e la musica soul, gospel, hip hop e r&b. Lorenzo Vizzini continua a scavare nei ricordi con “Ma’”. Chitarre sognanti alla Cure sottolineano “Innamorarsi piano” della talentuosa Cristiana Verardo. Atmosfere oniriche e arrangiamenti raffinati caratterizzano “Fiamme e Fiori” di Riccardo Morandini
“ESCALATE”, VLURE
Non ci sono mezze misure nel mondo do-or-die di VLURE, i cui primi due singoli intransigenti (Shattered Faith, Show Me How To Live Again) erano usciti nel 2021. Sfumando le linee frastagliate tra post-punk, melodie di sintetizzatore euforiche e un core industriale, l’intensità dei cinque ragazzi di Glasgow è un prodotto della catarsi, guidato dalla voce spessa e dura di Hamish Hutcheson.
Quattro anni dopo, il loro album di debutto Escalate potenzia al massimo quei principi fondanti. Dopo aver girato senza sosta fino al 2023, la band si è presa la maggior parte dell’anno scorso per scrivere, un segno della loro estrema dedizione a questo lavoro. Scavando ulteriormente nei paesaggi sonori elettronici, Escalate conserva ancora il fatto fondamentale che i VLURE sono una band dal vivo, trascinando insieme questi mondi opposti nello spirito dei Prodigy.
Quando due placche tettoniche si scontrano, possono creare un terremoto. L’apertura I Want It Euphoric ribolle verso una tale esplosione, mentre un ruggente Hutcheson implora euforia, come se fosse un potere superiore che VLURE adora. La loro chiave sono sempre stati i testi, che si tratti della richiesta di “give me a release” in Heartbeat, o la finale This Is Not The End, una tempesta di emozioni rave-rock.
“GETTING KILLED”, GEESE
«C’è una bomba nella mia macchina!», avverte Cameron Winter, frontman dei Geese, con urla agghiaccianti in Trinidad, la traccia di apertura del terzo album in studio della band. Il brano, che vanta la partecipazione di JPEGMAFIA, oscilla tra canti su chitarre blues e una strumentazione abrasiva che si abbina alle urla di Winter. Ma i deboli di cuore non devono essere scoraggiati. Sebbene interessante, Trinidad sembra fuori posto in Getting Killed, il disco più accessibile della rock band di Brooklyn, nonostante le deviazioni inventive dalle tradizionali strutture di canzoni.
Questo si adatta alla traiettoria di Geese degli ultimi anni, seguendo lo spostamento dal post-punk lo-fi della loro musica antica a 3D Country, il loro secondo album in studio alt-country. La seconda traccia di Getting Killed dà agli ascoltatori un senso migliore della linea di facile ascolto dell’album, anche se i suoi testi sono tipicamente scioccanti e assurdi. «Tesoro, dovresti vergognarti / Dovresti essere l’unica figlia della vergogna / Qualunque cosa abbia in mano / Puoi ottenerla da sola», canta Winter in Cobra, un ritorno al soul rock degli anni ’60.
Ma anche se l’album evoca una sensazione di nostalgia, le aspettative vengono sovvertite. Prendi Islands of Men, per esempio: la sua intensità si accumula con l’aggiunta di tromboni e batteria mentre Winter intona: “Smetterai / Scappando / Da ciò che è reale / E ciò che è falso?”. La musica si ferma completamente a circa tre minuti e mezzo per riprendere lentamente con testi appena udibili e strumentazione crescente per il resto della canzone.
La title-track dell’album inizia con canti allegri e una chitarra sfocata, che contrasta con la tensione esistenziale del messaggio della canzone. “Sto per essere ucciso da una vita piuttosto bella / Sono stato distrutto dalla città stasera”, canta Winter. Sebbene gran parte dell’album sia composto da testi senza senso e irriverenti così caratteristici della Generazione Z, la voce rana di Winter aggiunge una gravità a ogni canzone, anche se il significato rimane opaco.
“TWILIGHT OVERRIDE”, JEFF TWEEDY

Il frontman dei Wilco celebra la sua convinzione che «la creatività divora l’oscurità» con un ambizioso progetto solista su larga scala. Il difficile stato di salute degli americani dopo l’ascesa dellestrema destra e la trasformazione di Donald Trump in una figura politica polarizzante è diventato il tema dominante di Jeff Tweedy dalla metà degli anni 2010. Una prospettiva positiva non è mai stata il cavallo di battaglia di Tweedy, ma la corrente di fondo della sua scrittura è stata una risposta tormentata a un mondo che impazzisce, e nel saggio che accompagna Twilight Override riassume il tenore della vita americana come «un paniere senza fondo di fondi». Quindi cosa fare? Nel caso di Tweedy, la risposta è fare musica, tanta musica, e Twilight Override è una risposta epica al malessere prevalente: trenta brani distribuiti su tre LP in vinile, registrati con un cast di musicisti che da tempo fanno parte della sua band solista: Sima Cunningham e Macie Stewart dei Finom, Liam Kazar dei Kids These Days, James Elkington dei Brokeback e degli Eleventh Dream Day, e i suoi figli Spencer Tweedy e Sammy Tweedy.
Sebbene occasionali esplosioni di skronk elettrico e languidi jangle elettrici punteggino alcuni brani, per la maggior parte questa musica è dominata da strumenti acustici, e non è solo il suo più grande lavoro solista fino ad oggi, ma è anche il più completo. Twilight Override non è un esercizio di reinvenzione musicale, ma vede Tweedy e i suoi collaboratori abbracciare una nuova volontà di lanciare idee diverse: il duello tra chitarre acustiche ed elettriche distorte in New Orleans, il suono acuto di Lou Reed Was My Babysitter e le ondate di atonalità in Wedding Cake sono solo alcuni esempi.
Per quanto riguarda i testi, Tweedy non offre alcun commento diretto sugli eventi della vita americana, optando invece per un’introspezione ponderata sulle sue filosofie, osservazioni sul suo passato e presente, riflessioni sui semplici misteri della vita e consigli amichevoli – sette minuti interi di questi ultimi in Feel Free, e quando suggerisce “Fai un disco con i tuoi amici”, è bello sapere che mette in pratica ciò che predica.
“PIAF”, YOUNG ART JAZZ ENSEMBLE

È il nuovo album della Young Art Jazz Ensemble (Yaje) diretta da Mario Corvini, sfavillante big band composta da Dafne Nisi (voce) Luca Padellaro, Giulia Leonardi, Giulia Catozzi, Gianmarco Iaselli ed Emanuele Ciocca (sax), Gabriele Tamiri, Giovanni Frabotta, Alberto Mastracci, Emanuele Feliciani e Marcello Sanzò (tromba), Luca Scirocco, Dario Filippi, Alessandro Santella (trombone), Edgar Dutary (tuba), Emanuele Guarnieri (pianoforte), Lorenzo Mirra (chitarra), Nicola Ronconi (basso) e Claudio D’Arrigo (batteria). In questo progetto, alla fisarmonica, il prestigioso ospite Natalino Marchetti.
Piaf, ça va sans dire, è un tributo all’iconica cantautrice francese Édith Piaf concepito in chiave jazz. Un album registrato pensando a un elegante mélange incentrato sul linguaggio jazzistico, in particolare sul sound delle big band, e sulla profondità comunicativa dell’artista transalpina. Questa simbiosi stilistica crea un fascinoso dipinto di suoni che dà nuova linfa ai pezzi immortali della cantante parigina.
«L’idea è nata da una conversazione avvenuta qualche anno fa tra me e Natalino Marchetti», racconta Mario Corvini. «In quella occasione venne fuori la nostra passione per la grande Édith Piaf, quindi ci balenò l’idea di collaborare insieme in un progetto che vedesse la reinterpretazione dei più grandi successi della cantante francese in chiave jazzistica, con l’impiego della fisarmonica come strumento solista, ma senza arrivare ad una vera concretizzazione. L’occasione arrivò qualche anno dopo la fondazione della Young Art Jazz Ensemble. Questa orchestra, grazie al fatto di avere al suo interno dei giovani e validi arrangiatori, molti dei quali miei allievi, poteva essere l’opportunità che stavamo aspettando per unire le sonorità della big band con la musica autoriale francese, di cui Piaf è stata una delle più grandi voci, eseguite con la fantastica fisarmonica di Natalino. È così che è nato il nostro disco».
“MARONNA”, IDDA

Idda è il nome d’arte di Valeria Romeo, cantautrice e produttrice di Catania che non nasconde il suo amore per la cultura siciliana e per il gospel. «All’età di 11 anni le mie ispirazioni erano Aretha Franklin e Mahalia Jackson ed ogni volta che ascoltavo canti spirituals sentivo lo spirito di Dio avvolgersi attorno a me nota dopo nota», racconta. «Dissi alla mia coach: “Io voglio fare Gospel”. Lei mi guardò e da lì in poi la mia vita cambiò».
Quell’amore si è ampliato ai ritmi urban e hip e hop e Maronna è un mix tra gli antichi canti religiosi in Sicilia e la musica soul, gospel, hip hop e r&b. «Generi apparentemente differenti ma che mi appartengono», sottolinea l’autrice. «Questo brano rappresenta anche l’ultimo estratto che anticipa l’arrivo del mio primo album in arrivo ad ottobre».
“MA’”, LORENZO VIZZINI

A neanche un mese da Austu, Lorenzo Vizzini torna con un nuovo singolo feat. Francesco Le Metre. Il brano segna un ulteriore passo nel percorso che lo sta vedendo avvicinarsi alle proprie radici, tra Sicilia e malinconia del tempo che passa.
Ma’ è una lettera colma d’affetto che il cantautore ragusano dedica alla madre, intrecciando nei versi le somiglianze che li rendono parte l’uno dell’altra. Lo sguardo personale di Vizzini si colloca all’esterno: osserva sua mamma e si rivolge a lei con tenerezza e maturità emotiva. “Ca sugnu uguali a tia, e tu sì uguali a mia” canta il ritornello, ma le strofe raccontano la distanza che con il tempo si è imposta nel loro legame, “oggi anche in un abbraccio sento la piccola frattura del tempo che è passato fra di noi”.
Un brano intimo e nudo, in cui l’atmosfera personale viene ammorbidita dalla voce calda e dal pianoforte di Francesco Le Metre, che ha mantenuto l’essenzialità e la delicatezza grazie alle texture e ai suoni d’ambiente percepibili in lontananza, come a raccontare che dietro un rapporto fra genitore e figlio spesso si nasconde una complessità mai detta.
Scritto interamente in siciliano, Ma’ prosegue il cammino già inaugurato da Austu, una ballata che scava nei ricordi. Non una memoria nostalgica e patinata, ma viva, ruvida, fatta di odori, voci, rituali, che prende forma attraverso la lingua e la scrittura, strumenti che Vizzini maneggia con la precisione e la sensibilità di chi ha fatto dell’autorialità il proprio mestiere.
“INNAMORARSI PIANO”, CRISTIANA VERARDO
Cantautrice e chitarrista salentina, classe 1990, Cristiana Verardo si distingue per uno stile intenso, emotivo e profondamente lirico. Dopo il debutto con l’album La mia voce (2017) e la vittoria del Premio Bianca d’Aponte (2019), pubblica nel 2021 Maledetti ritornelli, il suo secondo disco, che porta in tour in Italia ed Europa. Negli anni collabora con artisti come Tosca e Vinicio Capossela.
Innamorarsi piano non è una storia d’amore che scoppia all’improvviso. Qui l’amore arriva piano, le gira intorno, entra nei silenzi e si rafforza giorno dopo giorno. Il brano ha un sound fresco e immediato, sostenuto da un riff di chitarra che trascina e compatta un arrangiamento essenziale, mentre il testo scava con profondità. «Tutti a parlare di colpi di fulmine, ma a volte l’amore non scoppia, si accende piano, come una lampadina difettosa», afferma Cristiana Verardo riguardo al singolo. «Un po’ come quei film lenti che all’inizio ti annoiano e poi non vuoi che finiscano. Innamorarsi piano, per amarsi forte». Il brano è accompagnato da un videoclip girato al Porto Vecchio di Castro (Lecce), un luogo che vive già nella mente dell’artista e nelle immagini che la accompagnano mentre scrive la canzone. L’acqua immobile, le barche che ancora dormono, il respiro lento dell’alba: tutto era già lì, come in un ricordo futuro. Per questo il video non è soltanto un’ambientazione, ma un ritorno a quella visione originaria. Le prime luci del giorno si fondono con le prime luci dell’innamoramento: tutto appare fragile e nuovo, e allo stesso tempo inevitabile.
“FIAMME E FIORI”, RICCARDO MORANDINI

Atmosfere oniriche e arrangiamenti raffinati caratterizzano Fiamme e Fiori, il nuovo singolo di Riccardo Morandini, che anticipa l’album Radice senza fine, in uscita il 3 ottobre. Il brano, dai toni visionari e ricercati, è descritto dallo stesso autore come «un misterioso paesaggio simbolico, tra alberi e corsi d’acqua, in cui forse seguiamo il cammino del sole: albe vergini, preludi di lune bizzarre, moniti su fiamme e fiori. Ci sciogliamo infine nel tramonto delle cose, che si sa, ha sempre un sapore agrodolce».
Musicalmente, il pezzo mette in luce ancora una volta la vena creativa di Morandini: una malinconica chitarra in 6/8 dalle sfumature grunge, arricchita da tocchi di vibrafono, le timbriche eteree del Fender Rhodes e armonie sospese. Nel bridge emergono cori di chiara ispirazione beatlesiana e il mellotron, che ci accompagna dolcemente verso il climax, tra tremoli shoegaze e il canto struggente del violoncello. Il brano si spegne in una coda evocativa, dove il tema della chitarra riaffiora come un ricordo, stagliandosi sul tramonto degli archi.
“NOT OK”, 5 SECONDS OF SUMMER

La band pop-rock è tornata con il singolo che anticipa l’album Everyone’s A Star, in uscita il 14 novembre. Not ok parla di un amore che rende spericolati, che fa mollare tutte le inibizioni rendendoci capaci di fare qualunque cosa, anche la più folle. È un brano pieno di energia, che potrebbe infiammare sia la pista da ballo di un rave underground sia far tremare i terreni dei festival in qualsiasi parte del mondo, traendo ispirazione dai The Prodigy fino ai N.E.R.D., con acuti incalzati e una linea di basso sontuosa.
Riguardo al brano, Luke Hemmings, cantante della band, ha detto: «Ha l’energia degli inizi dei 5 Seconds Of Summer, ma è diversa, il che è il fulcro di questo nuovo capitolo. A livello di testo, parla di lasciarsi andare alla parte più oscura di sé, da abbracciarla. Questo brano è anche un riferimento alla nostra stessa band, tiriamo fuori quel lato l’uno dell’altro».
