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Playlist #103. La sublime Maria Somerville

– I segnali sonori più interessanti della settimana. Attraverso una fitta nebbia di shoegaze, post-punk ed elettronica ambientale, la cantautrice irlandese presenta un mondo onirico che è sia mitico che reale, un paesaggio selvaggio e antico in cui la sua stessa figura è appena percettibile. Il fedele “live” di Adrianne Lenker: ben 120 minuti di musica con 43 tracce
– Femi Kuti, figlia di Fela, cerca di aggiornare l’afrobeat, ma raggiunge i picchi nei pezzi politici. Esplosione di energia con il “live” dei Principles Of Joy. Il violoncellista Michele Marco Rossi duetta con la voce di Andrea Camilleri.  Il concept musicale e letterario di Roberto Angelini e Rodrigo D’Erasmo. Poesia e noise-metal nel film di Moor Mother e SUMAC.  I nuovi singoli di Lorde, Tom Odell, Diodato e CARA

“LUSTER”, MARIA SOMERVILLE

Lungo la selvaggia costa occidentale della contea irlandese di Galway si trova il Connemara. Oscar Wilde una volta ha elogiato la «bellezza selvaggia» della regione, una frase che ritornerà alla mente almeno una dozzina di volte vedendo le sue aspre distese di montagna, palude, lago e mare, a tutte le quali i suoi circa 30mila residenti sembrano orgogliosamente legati. Pascoli fioriti, spiagge di corallo e piccoli villaggi di pescatori, rovine di castelli e monache sembrano uscire direttamente dai romanzi d’amore gotici. Qui il mondo moderno ha una sorprendente somiglianza con l’antico mondo del mito.

Da questo mondo trae ispirazione Maria Somerville, che ha descritto il suo album di debutto, All My People del 2019, come un’espressione inconscia di un profondo desiderio di casa. La musicista irlandese, dopo un periodo dublinese, è tornata a vivere sulle rive del Lough Corrib (il secondo lago più grande d’Irlanda), Una vita caratterizzata da passeggiate regolari attraverso la campagna battuta dal vento, conversazioni con suo padre, un pescatore in pensione, ascolti mattutini di Laraaji, Yo La Tengo, Durutti Column, Low, sovrapposte a registrazioni sul campo della potenza del vento e del mare. Luster sembra un salto evolutivo simile a quello dei Cocteau Twins tra Blue Bell Knoll e Heaven o Las Vegas: il primo era carino, il secondo è sublime. Attraverso una fitta nebbia di shoegaze, post-punk ed elettronica ambientale, Somerville presenta un mondo onirico che è sia mitico che reale, un paesaggio selvaggio e antico in cui la sua stessa figura è appena percettibile. Allo stesso tempo, si può considerare un’indagine abile e radicale di tutto ciò che il “dream pop” può comprendere, disegnando linee da Mazzy Star a My Bloody Valentine a Broadcast a Julianna Barwick, sistemandosi comodamente accanto ai capolavori del genere.

“LIVE AT REVOLUTION HALL”, ADRIANNE LENKER

Dopo il sorprendente album solista Bright Future, nominato ai Grammy e ai BRIT, la cantautrice americana torna con un album “live” di ben 120 minuti con 43 tracce. Questo documentario sonoro combina fedelmente l’audio di tre giorni del suo tour del 2024 e presenta esibizioni dal vivo dei brani preferiti dai fan e gemme inedite. I brani hanno una vibrante e delicata fedeltà. Nei crediti figurano l’ingegnere del suono Andrew Sarlo (già al lavoro con i Big Thief), il pianista Nick Hakim e la violinista Josefin Runsteen, fidati compagni di viaggio. Tra gli inediti in scaletta spicca Happiness, singolo che anticipa l’uscita del live album e che si muove sulle coordinate di quell’americana viscerale e post-dylaniana già esplorata in Bright Future.

“JOURNEY THROUGH LIFE”, FEMI KUTI

L’ultimo album della leggenda afrobeat vede il sessantaduenne artista africano guardare al suo passato. Femi Kuti ha vissuto una vita piena, combattendo contro la corruzione politica, lavorando con Global Citizen, gestendo The New African Shrine a Lagos con sua sorella Yeni e promuovendo il suo ruolo di ambasciatore di buona volontà dell’Unicef. Kuti non è mai stato timido liricamente, seguendo le orme del suo leggendario padre Fela, ma non si è mai aperto ad argomenti personali registrati. Journey Through Life lo vede immergersi in quelle acque, ma è più a suo agio a combattere per il suo popolo.

La canzone del titolo di apertura parla del vivere la vita nel momento e godersi ciò che hai intorno, l’eccellente coro e il groove ipnotico elevano la traccia. Work on Myself, come suggerisce il titolo, è un’altra canzone intima. Ma è la chiamata alle armi che porta Kuti a livelli maggiori. Come nel caso della straordinaria Politics Don Expose Them, che prende il via con un grande groove e il sax strillante di Femi: un suono dolce e gonfio. Questo è seguito da piacevoli riff di chitarra, bassi scoppiettanti e testi che brillano sotto i riflettori ricordando il classico di suo padre Zombie. Ottoni dal suono maestoso accompagnano Chop and Run e After 24 Years, brani che rientrano in questa vena politica di lotta contro l’oppressione. La musica di Kuti è stata accuratamente descritta come «musica dolce con un messaggio amaro», e questi sono i migliori esempi dell’album.

Kuti ha ri-registrato alcune canzoni più vecchie per Journey Through Life, aggiornando e migliorando il suono afrobeat. Fra queste, Oga Doctor, dagki echi anni Settanta, e Think My People Think. Meno riuscita è la nuova versione di Corruption na Stealing, che non è così fluida come l’originale. Al contrario, Shotan migliora con vibrazioni più aggressive, percussioni martellanti, distorsione e tasti elettrici che ronzano in modo convincente.

“LIVE AT CXVIII”, PRINCIPLES OF JOY

Con oltre cento concerti all’attivo in tutta Europa, i Principles Of Joy si sono costruiti la reputazione di band imperdibile, offrendo spettacoli intensi ed esplosivi che conferiscono al Soul tutta la sua forza, profondità e trascendenza condivisa. Dopo anni passati a infiammare il pubblico, era giunto il momento per la band di catturare su disco l’energia grezza e la magia di quei momenti. Live at CXVIII, il loro quarto album è la loro prima registrazione pubblica in assoluto. Un vero ritorno alle origini: registrato alla vecchia maniera, su nastro e senza rete. 

Attraverso nove titoli iconici, Live at CXVIII svela l’essenza dei Principles Of Joy, un’esplorazione vibrante e inaspettata del soul. Mescola audacemente l’eredità dei classici soul degli anni ’70, la profondità del deep soul, la passione del northern soul ed elementi più contemporanei, provenienti dall’hip hop e dalla musica psichedelica. L’essenza dei Principles Of Joy non è solo nella loro musica, ma si vive appieno in concerto. È qui, in questa fusione tra la band e il pubblico, che si crea una gioia comune, una energia condivisa che rende il soul un linguaggio universale, la fusione di corpo e anima. Live at CXVIIIcattura questa esperienza, questa comunione di emozioni e ritmi, e la trasforma in una testimonianza sonora unica. Live at CXVIII è molto più di un semplice album dal vivo: è l’impronta di una band che vive la sua musica nel momento stesso in cui la condivide con sincerità, passione ed energia.

“INTELLETTO D’AMORE (E ALTRE BUGIE)”, MICHELE MARCO ROSSI

La voce di Andrea Camilleri e le improvvisazioni di un violoncello per una riflessione sull’amore e sull’uomo, da Dante e Petrarca a oggi. È il disco con cui Michele Marco Rossi rende omaggio allo scrittore siciliano. Il musicista romano aveva 29 anni nel maggio 2019 quando incontrò per la prima e unica volta il maestro della letteratura italiana, che morì pochi mesi dopo, a 93 anni. «In amore la ragione o si dimette o va in aspettativa», è uno dei passaggi chiave di quelle «’ultime parole sull’amore» di Camilleri che fanno da filo conduttore delle 13 tracce dell’album, La musica è uno dei tanti rapporti che dovranno essere indagati nel novero delle celebrazioni dei 100 anni della nascita di Andrea Camilleri che cadrà il 6 settembre prossimo.

«Si parte da Dante per arrivare a parlare di ciascuno di noi. L’amore diviene specchio e sonda della nostra natura, di quella umanità che Camilleri conosceva così bene», spiega Rossi. Sul piano più strettamente musicale risulta all’ascolto notevole il mash–up tra le improvvisazioni al violoncello di Rossi, la texture elettronica di Paolo Aralla e i toni della voce di Camilleri non esente nella nitidezza della registrazione delle tipiche sonorità dialettali.

“IL DOMINIO DELLA LUCE”, ROBERTO ANGELINI E RODRIGO D’ERASMO

Un concept musicale e letterario che passa dalle note di un album, così come dalle pagine di un libro. Un album di musica strumentale, pensato come fosse una colonna sonora di un film. Il progetto di inediti nasce dopo anni di intensa collaborazione tra Angelini e D’Erasmo, accomunati da sempre nella passione per Nick Drake, che nel 2005 aveva portato anche alla pubblicazione dell’album PongMoon, dedicato proprio al cantautore di Pink Moon.

«Raccontare lo scontro continuo tra luce e ombre dei giorni che viviamo è una responsabilità», dichiara Angelini. «Abbiamo il dovere, a un certo punto, a 50 anni, di prendere coscienza che quello che facciamo. Anche se suoniamo una canzone, è sempre una scelta politica in base a come e dove lo facciamo. Lavoriamo a questo progetto da più di due anni e ci teniamo moltissimo. È un oggetto magico, misterioso e multiforme».

Tanti, i nomi coinvolti nel progetto, per una sorta di chiamata alle arti dei due artisti, che hanno interpellato musicisti e scrittori, filosofi, registi e anche attori. Solo per citarne alcuni: Federico Baldi, Sandro Bonvissuto, Vasco Brondi, così come Enrico Gabrielli, Chiara Gamberale, Gemitaiz, Paolo Nori, Filippo Timi e numerosi altri ancora.

“THE FILM”, MOOR MOTHER / SUMAC

Camae Ayewa, meglio nota come Moor Mother, è una poetessa, musicista e attivista americana. Combina questioni sociali con una miscela viscerale di elettronica hardcore e di intense poesie, prendendo influenza dal punk, dall’hip-hop, dal jazz, dal soul e da numerosi altri generi. Ayewa è cofondatrice del collettivo artistico e letterario Black Quantum Futurism, membro del gruppo avant-jazz Irreversible Entanglements e metà del duo sperimentale di club 700 Bliss. Nata e cresciuta nel Maryland, Ayewa si è formata rappando e suonando la chitarra con i manici di scopa, influenzata tanto da Patti LaBelle, Public Enemy e Beastie Boys come da Malcolm X e Maya Angelou.

In questo lavoro collabora con il gruppo noise-metal SUMAC, band che ha costantemente spinto il metal in regni inesplorati, collaborando spesso con leggende del rumore come Keiji Haino, ENDON e Kevin Drumm per creare arrangiamenti distorti, quasi jazz. L’album è costruito come un film, con diverse scene, alcune molto lunghe (Scene 2: The Run 12,30 minuti, Scene 5: Breathing Fire oltre 16,30 minuti) rielaborando l’afrofuturismo attraverso una lente dissonante e catastrofica.

“WHAT WAS THAT”, LORDE

Lorde ritorna con un nuovo singolo che anticipa la sua nuova “era discografica”, dopo una pausa di quasi quattro anni dall’ultimo album Solar Power. Con questo primo assaggio Lorde conferma di essere pienamente pronta a impegnarsi ancora una volta sulla pista da ballo. Proprio come in Melodrama, la star usa ritmi e sonorità ballabili per superare i problemi di cuore. Invece di tentare di spazzare via lo spettro di un amante del passato, sembra a suo agio con i ricordi che la perseguitano. “Sai che sei ancora con me / Quando sono fuori con i miei amici?”, chiede, ricordando i giorni passati a “far saltare in aria le nostre pupille” e baciare “per ore di fila”.

“DON’T LET ME GO”, TOM ODELL

È piuttosto facile ridurre Tom Odell al suo classico senza tempo Another Love. Dopo tutto, chiunque si sia preso il tempo di dare un’occhiata al suo repertorio si rende presto conto che Odell è un cantautore di grande talento. Le sue storie personali racchiudono un sentimento universale con cui milioni di persone possono identificarsi. Dopo aver aperto le date del tour europeo Billie Eilish, torna con questo brano che dà il titolo anche allo show con il quale torna sulle scene.

Tom Odell potrebbe semplificarsi la vita rimuginando la sua amata formula, ma a quanto pare il britannico non ne ha voglia. Come nei suoi ultimi album, in Don’t Let Me Go mostra audacia e passione per il suo mestiere. In meno di cinque minuti, Tom Odell trasporta l’ascoltatore su una montagna russa emotiva che include diversi picchi. È una ballata acuta che riesce a catturare l’intensità e le sensibilità di una relazione in una serie di momenti. Con il suo pianoforte familiare, riesce a portare la malinconia a un livello superiore. 

“NON CI CREDO PIÙ”, DIODATO

Con questo brano Diodato dà voce alla propria volontà di reagire, di ribadire l’importanza di non lasciarsi sopraffare da una narrazione del reale che sembra avere come unico scopo quello di dividerci e farci tollerare l’inaccettabile. Non ci credo piùè una canzone-dichiarazione, nata da un’urgenza espressiva forte e sincera.

Diodato prova a ribadire l’importanza del non rimanere indifferenti. Il brano segue la scia del progetto nato a seguito del singolo Un Atto di Rivoluzione, che ha portato il cantautore a visitare tre associazioni che ogni giorno compiono il proprio atto di rivoluzione attraverso la conoscenza, l’arte, l’educazione, la solidarietà e l’empatia, trasformando concretamente il mondo in cui viviamo. Le realtà che il cantautore ha visitato durante il corso del suo tour teatrale sono l’Associazione Blitz a Palermo, il centro Mammut a Scampia e la Casa delle Agriculture in Salento.

“IL MIO COMPLEANNO”, CARA

Nel giorno del suo compleanno, CARA, all’anagrafe Anna Cacopardo, cantautrice nata nel 1999 a Crema. sceglie di annunciare al pubblico un pezzo profondamente intimo e autentico, carico di immagini, emozioni sospese e parole non dette, in cui l’artista si racconta attraverso una narrazione sincera, quasi cinematografica. Il mio compleanno è un viaggio emotivo tra ricordi, strade notturne e parole mai dette, in cui CARA trasforma l’incapacità di dire addio in una ballata intima e visiva, fatta di immagini quotidiane e sentimenti sospesi.

 «Il mio compleanno è una delle canzoni più descrittive che abbia scritto», dichiara CARA. «Mentre ero seduta sul divano in salotto, mi sono vista uscire di casa e camminare, scordarmi del mio compleanno, vestirmi col piumino in primavera, fare tardi solo per poter sostare in un parcheggio con l’unica persona con cui avrei voluto parlare. In questa canzone ci è passata tanta vita e una marea di persone e situazioni a cui non ho saputo dire “adieu” e così, alla fine, l’ho detto in una canzone».

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