Storia

Piero Pelù: parlo di deserti sociali, affettivi, politici

– Il rocker fiorentino torna in pista con il secondo capitolo della “Trilogia del disagio” che segna la sua rinascita dopo i problemi avuti in seguito a uno shock acustico
– «È un lavoro contro la desertificazione: del pianeta, della periferia, dei sentimenti. Deserti e desertificazione sono sotto gli occhi di tutti»
– Undici inediti e la ripresa della canzone pacifista “Il mio nome è mai più”. «Oggi non c’è più la cultura della pace. E non parlo soltanto dei leader»
– «Il rock è vivo e voglio sperare che “Deserti” dia un segnale anche a chi negli ultimi tempi si è lasciato un po’ troppo distrarre dalle nuove tendenze»

Si chiama Deserti ed è un viaggio tra suggestioni emotive e scenari sociali il nuovo album di Piero Pelù, in uscita venerdì 7 giugno. Un disco con il quale il rocker di Firenze torna sulle scene dopo un periodo di stop forzato provocato da uno shock acustico subito due anni fa mentre si trovava in studio di registrazione, e che ha causato il rinvio del tour. Il concept album si inserisce, come secondo capitolo, nella Trilogia del disagio iniziata nel 2020 con Pugili fragili. Dodici tracce, undici inediti e una versione unplugged dell’ormai leggendario manifesto del pacifismo Il mio nome è mai più, brano scritto con Luciano Ligabue e Lorenzo Jovanotti, che Pelù ha voluto ripubblicare in occasione dei venticinque anni dalla sua uscita.

«Nel 1999 c’era molta più cultura della pace», riflette Pelù. «E non parlo soltanto dei leader politici: è proprio cambiato il pensiero della gente comune, e la colpa è prima di tutto della propaganda di tipo neofascista degli ultimi vent’anni, che ci ha abituato a pensare solo alla guerra. E lo stesso vale per le lobby delle armi. Adesso è normale sentirci in guerra con qualcuno, stare da una parte o dall’altra. Ma la risposta è sempre la pace, altroché».

Deserti rappresenta la raccolta del percorso umano o musicale del rocker fiorentino. «All’improvviso, come per magia, si sono uniti i puntini», dice. «Ma è anche un album alternativo. Magari non underground, ma in controtendenza, questo sì. È interamente suonato, in un’epoca in cui non è più così importante. E poi richiede cura, attenzione anche solo nell’ascolto. Adesso tante cose mi sembrano di plastica, usa & getta. Alla fine, come da titolo, è un lavoro contro la desertificazione: del pianeta, della periferia, dei sentimenti. Deserti e desertificazione sono sotto gli occhi di tutti. Parlo di deserti sociali, affettivi, politici. Il tutto naturalmente è estremamente legato al disagio che sto vivendo io dalla pandemia in poi». 

Ma i deserti, sottolinea il rocker, sono anche luoghi molto affascinanti: «Amo andare nel deserto del Marocco o in Nord Africa. Non a caso la prima canzone dell’album si chiama Porte, perché attraverso questa porta si entra dentro la dimensione dell’album. Quella del deserto è una constatazione ma anche una suggestione emotiva».

Dopo l’incidente subìto, Pelù non si è chiuso in sé stesso ma lo ha affrontato parlandone con i fan. «Ho scoperto che quello degli acufeni è un problema sociale non da poco», evidenzia. «Sui social in migliaia mi hanno contattato per darmi consigli o raccontarmi le loro situazioni, è una piaga sociale. Chi soffre di acufeni tende anche un po’ all’isolamento, perché non aiuta a sopportare i rumori e gli inquinamenti acustici delle città». La sua situazione Pelù ha deciso di raccontarla in Baraonde, una canzone «che amo profondamente» spiega. «Dopo l’incidente mi sono immerso completamente nella natura e da queste immersioni ne sono venuti fuori delle fotografie e un video che ho realizzato io stesso». Peraltro, la copertina del disco è il montaggio di due sue fotografie: «Si vede un cielo ma in realtà è riflesso in una pozzanghera d’asfalto. È cielo sporco, finto. Mi sono immerso nell’informale che si può ritrovare in natura. E tutto questo finirà anche sui visual che proietterò durante il tour».

Un tour che prenderà il via il prossimo 29 giugno da Spilimbergo (Pn) e che lo vedrà protagonista sul palco delle principali rassegne estive (16 agosto a Noto, 18 Bagheria), mentre in autunno ci sarà il ritorno alle origini del rock’n’roll nei club. «È tutto pronto e non vedo l’ora di ricominciare a suonare dopo lo stop forzato. La medicina non mi è stata d’aiuto, ho avuto solo un 25% di miglioramento mentre la tecnologia mi ha aiutato molto e mi ha permesso di tornare sul palco. Fuori c’è la stessa potenza di suono ma in cuffia è molto più contenuto».

Oltre a raccontare dei deserti causati dalle guerre, come in Scacciamali, il rocker affronta nel disco anche il tema dei deserti affettivi, come nel brano Picasso, dove racconta del Piero «bambino, adolescente che confida alla famiglia di voler fare musica, il rock’n’roll, e davanti si trova un muro, una guerra mondiale tra le mura domestiche». Ma anche i deserti sentimentali come nella rock ballad Maledetto Cuore.

I deserti creati dai social, come in Tutto e subito, brano scritto insieme ai Fast Animals and Slow Kids, mentre Baby bang è scritta e suonata con i Calibro 35. «Volevamo parlare del disagio giovanile, del deserto a cui stiamo condannando i nostri ragazzi, ma abbiamo evitato di usare il termine “Baby gang”. Abbiamo optato per “Baby bang”, suonava bene, ma non sapevamo ancora che era il nome dato alle frangette di Louise Brooks e Betty Page: perfetto, make love non war. Tutto e subito, invece, è solo scritta con i Fast Animals and Slow Kids, straordinari anche loro. Il brano è sulla follia delle challenge sui social, sull’assurdo desiderio di avere tutto e subito».

C’è poi Novichok, brano che musicalmente è il più legato alle radici dei Litfiba, nel quale il veleno subdolamente usato da Putin per uccidere i suoi oppositori è una metafora per il veleno che viene propinato ai cittadini attraverso cibi contaminati e propagande. Un album squisitamente rock, in pieno stile Pelù.

«Il rock è vivo», scandisce Pelù. «Oggi in Italia ci sono fior fiore di band nuove che spaccano di brutto. Il rock sta benissimo e gode di ottima salute e voglio sperare che Deserti dia un segnale anche a chi negli ultimi tempi si è lasciato un po’ troppo distrarre dalle nuove tendenze».

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