-La band che il prossimo 4 luglio sarà in concerto a Taormina pubblica il nuovo disco, nel quale esplora i disturbi del sonno. «Tecnicamente, è un concept album»
– Il ritorno all’ovile del batterista Mike Portnoy riporta il gruppo statunitense sulla strada della fusione fra metal, jazz, rock progressivo, Pink Floyd e classica

Il prossimo 4 luglio infiammerà la stagione concertistica estiva in Sicilia con un concerto al Teatro antico di Taormina, tappa italiana del tour per festeggiare quarant’anni di carriera. E proprio alla vigilia del tour mondiale che riprenderà oggi, venerdì 7 febbraio, da Filadelfia, la band americana dei Dream Theater, maestri del prog metal, pubblica un nuovo album, intitolato Parasomnia. Un album molto atteso dai fan, soprattutto per il ritorno all’ovile di Mike Portnoy, che insieme a John Petrucci e John Myung ha fondato la band nel 1985.
Il batterista aveva lasciato i suoi compagni di avventura quando la musica dei Dream Theater aveva intrapreso un percorso più pesante e più metal, deviando rispetto a quella fusione di elementi jazz, metal, rock progressivo e classica che li aveva resi leggendari. Perdendo così la loro caratteristica fondamentale: quella di rappresentare, in un mondo musicale sempre più dominato dalle produzioni commerciali, una testimonianza di passione, dedizione e talento.
«Sono passati quindici anni e penso che il tempo guarisca tutte le ferite, come si dice», commenta Portnoy. «Ho ripreso le mie relazioni con i ragazzi, a partire da John Petrucci… Tutti quegli anni di Dream Theater… eravamo nei nostri 20, 30 e 40 anni. Ed eccoci di nuovo assieme: la maggior parte di noi sui 50 anni e alcuni dei membri sui 60 anni. La vita è troppo breve per non stare con le persone che ami e suonare la musica che fa parte della tua vita e del tuo cuore e della tua anima».
Il rientro di Portnoy porta una boccata d’aria fresca necessaria e sembra incanalare nuovamente la band sulla via che aveva condotto alla realizzazione di album come Images and Words (1992), Metropolis Pt. 2: Scenes from a Memory (1999) e A Dramatic Turn of Events (2011), diventati veri e propri capolavori che hanno elevato il genere del progressive metal a nuovi livelli di complessità.
Parasomnia è costruito come una sorta di viaggio cinematografico horror: «Tecnicamente, è un concept album», spiega il bassista John Myung, intervistato da Wall of Sound. «Ho avuto l’idea di chiamarlo Parasomnia qualche anno fa, anche prima che Mike (Portnoy, ndr) si fosse ricongiunto, e che l’argomento fosse tutto sui disturbi del sonno e cose del genere, perché ci chiamiamo Dream Theater, quindi è una specie di titolo perfetto. Poi, quando abbiamo iniziato a lavorare sul disco, Mike Portnoy è stato in realtà quello che ha detto: “Ehi, perché non facciamo un ulteriore passo avanti e lo rendiamo più concettuale?”. Così ha iniziato ad avere temi ricorrenti nelle diverse canzoni, e ha un’ouverture».
L’ouverture è la strumentale In The Arms of Morpheus dal trambusto di una metropoli: sirene della polizia, clacson e traffico, il sospiro di un uomo stanco e privato del sonno, un rubinetto gocciolante, il ticchettio di un orologio e il pesante riff della chitarra ambulante di John Petrucci che introduce il tema dei disturbi del sonno, prima che il resto della band entri in gioco con il familiare aplomb dei Dream Theater.

La seconda traccia è il singolo già pubblicato Night Terror, completo di un pezzo sbalorditivo di orchestrazione di Jordan Rudess che aumenta il ritornello e il basso di John Myung. È qui che sentiamo per la prima volta la voce dei Dream Theater, James Labrie, che trasmette gli orrori della paralisi del sonno: “… gli occhi spalancati, ma non riesco a vedere…”. Mentre la canzone si dirige verso la parte centrale, quando entra in scena un Hammond.
A Broken Man, un altro dei singoli pre-release, inizia con un po’ di batteria esplosiva da parte di Mike e chiacchiere radiofoniche che si occupano degli orrori del PTSD (lo stress post-traumatico) e delle battaglie all’interno della testa di un veterinario: pesante e intenso con un’inaspettata fusione jazz in stile Goblin. Dead Asleep apre tristemente con un arrangiamento di archi insieme a una delicata chitarra: racconta la storia di un uomo sonnambulo che strangola la moglie credendo sia un intruso. Un fantastico brano musicale che termina con un sottile finale di pianoforte. Midnight Messiah parla di qualcuno che si sente più vivo nei suoi sogni e non vede l’ora di addormentarsi in modo da poter diventare il protagonista. La canzone inizia con un arpeggio lunatico e riff staccati prima di mostrare grandi vibrazioni alla Metallica e Judas Priest in alcuni momenti.
We Are Dreaming fornisce un breve intermezzo che ricorda i momenti di Scenes from a Memory con un organo inquietante, campane e una voce sussurrata in sottofondo. Bend the Clock rallenta il tempo: è una ballata mid-tempo favolosamente costruita con la voce emotiva di James e un superbo assolo di John Petrucci che lascia la sua tastiera fumante per note che ricordano David Gilmour, e insieme ai suoi compagni di band porta un’aria di Pink Floyd.
Fino all’epilogo con l’epica The Shadow Man Incident, poco meno di 20 minuti durante i quali succede di tutto: i riff pesanti si abbinano perfettamente all’atmosfera e al tono lirico del racconto, il fulcro strumentale della traccia è eccezionale, con tamburi tribali, un inquietante duetto di chitarra e archi che evocano un’atmosfera oscura e cinematografica. Fino ad arrivare a un’intricata interazione chitarra/tastiera dal quale emerge un brillante assolo di pianoforte di ispirazione latina di Jordan Rudes. Dopo un altro folle assolo di Petrucci, si torna al tema principale. È il degno coronamento a Parasomnia.
È incredibile pensare che una band alla sua sedicesima uscita in studio possa ancora produrre qualcosa di questo calibro.