– Al secondo posto Lucio Corsi, terzo Brunori Sas, quarto Fedez, quinto Simone Cristicchi. Delusione per l’esclusione di Giorgia e Achille Lauro dalla cinquina finalista. Le pagelle di Sanremo
– Il televoto è stato determinante nel dare la spinta al cantautore genovese nella volata finale. I premi della critica sono andati alle canzoni “Volevo essere un duro” e “Quando sarai piccola”
Nel Festival dei giovani, sia per i cantanti in gara, ma soprattutto per il pubblico che lo ha seguito sera per sera davanti al televisore facendo registrare record di ascolti, non potevano non vincere che i giovani. Non è stata, quindi, una sorpresa se alla fine si sono trovati Lucio Corsi e Olly a contendersi sul filo di lana la vittoria della edizione numero 75 del Festival di Sanremo: ha prevalso Olly con la canzone Bastarda nostalgia.
I segnali del trionfo del ventitreenne cantautore genovese erano arrivati già dal numero di stream fatti registrare sulla piattaforma digitale di Spotify. Il televoto l’ha spinto fino a farlo rientrare nel gruppetto in fuga che si era formato dopo le tre serate e che comprendeva Brunori, Cristicchi, Lucio Corsi, Giorgia e Achille Lauro. Questi ultimi due non sono entrati nella cinquina finale suscitando le rimostranze del pubblico dell’Ariston. E il voto popolare è stato determinante nel rush finale per l’allungo vincente dell’incredulo e commosso Olly: «Ciao ma’, ciao pa’, assurdo ma è successo».
Gli altri premi: il premio della critica “Mia Martini” è andato a Volevo essere un duro di Lucio Corsi, quello “Lucio Dalla” a Quando sarai piccola di Simone Cristicchi; miglior testo “Sergio Bardotti” per L’albero delle noci di Brunori Sas; premio “Giancarlo Bigazzi” per la miglior composizione musicale a Quando sarai piccola di Simone Cristicchi; il premio Tim al brano La cura per me di Giorgia, alla quale il pubblico dell’Ariston ha tributato la vittoria morale: «Hai vinto, hai vinto». E la cantante romana scoppia in lacrime.
LA CLASSIFICA



L’ULTIMA PAGELLA ALLE CANZONI

- FRANCESCA MICHIELIN – “FANGO IN PARADISO” – 6.5
Fa gli scongiuri prima di cominciare a cantare, dopo tutti le vicissitudini attraversate. Porta una ballad autobiografica sulla fine di una storia d’amore. C’è eleganza, nella voce e nell’arrangiamento. Grintosa l’interpretazione.
- WILLIE PEYOTE – “GRAZIE MA NO GRAZIE” – 2
Sembra la parodia di se stesso. A metà strada fra Enzo Jannacci e Pino D’Angiò con coretto alla Staying alive per un’ironia italodisco che dà sfogo al malpancismo qualunquista. Vada a lavorare, piuttosto che cantare sul palco dell’Ariston.
- MARCELLA BELLA – “PELLE DIAMANTE” – 2
Tenta di riciclarsi cavalcando ritmi moderni. Quattro ballerine fanno da coreografia. Un femminismo di moda, di facciata. Una «combattente» di 72 anni con residenza alle Baleari. Trash e cafonal.
- BRESH – “LA TANA DEL GRANCHIO” – 4.5
Cantautore e rapper dalla faccia pulita, presenta una canzone che racconta di quanto sia difficile esprimere a parole certe emozioni. Ballata country urban. Sembra lui stesso poco convinto.
- MODÀ – “NON TI DIMENTICO” – 4
Più che una canzone sembra la predica di un prete. “Convivere con il senso di che sarebbe stato / parlare di coraggio quando sai che non lo hai avuto…”. Sempre gli stessi.

- ROSE VILLAIN – “FUORILEGGE” – 3.5
Scende le scale con due damerini che le reggono lo strascico nero trasparente. Sotto un body fuorilegge. Deve ammaliare con il suo fascino, perché la canzone sembra il sequel di Click Boom!. Tormentone destinato alle radio: beat dark, sensualità e melodia con tanto ritmo. Ma la citazione di Mia Martini che c’azzecca?
- TONY EFFE – “DAMME ‘NA MANO” – 2
In giacca a petto nudo per giustificare i soldi spesi in tatuaggi. Non sa fare l’attore, non è capace di cantare e il brano è una stornellata romanesca per turisti con tanto di amore litigarello che “sinno’ me moro” e citazioni di Franco Califano.
- CLARA – “FEBBRE” – 4
Un po’ Sirenetta, un po’ Jessica Rabbit, la bellissima cantante e attrice di Mare fuoripresenta una canzone sui saliscendi della vita. Base urban e poi cassa dritta, rincorre Mahmood. In compenso, si contende con Rose Villain e Elodie la corona di più bella del reame.
- SERENA BRANCALE – “ANEMA E CORE” – 3
La cantautrice pugliese dice che voleva omaggiare Pino Daniele. Ma di Pino Daniele non c’è niente. Semmai cerca l’effetto “cumbia” alla Angelina Mango. Un po’ dance, un po’ etnica, un po’ allegra, un po’ sexy. Molto confusionaria.

- BRUNORI SAS – “L’ALBERO DELLE NOCI” – 5.5
Il cantautore calabrese, discepolo di De Gregori, si presenta in smoking doppiopetto, farfallino e chitarra a tracolla. Canta la gioia della nascita di un figlio. Arriva con almeno un decennio di ritardo rispetto alla fase creativa, quando la sua parabola artistica ha preso la fase discendente.
- FRANCESCO GABBANI – “VIVA LA VITA” – 3.5
La canzone, che è una celebrazione della vita e porta la firma di Pacifico e Davide Simonetta, non decolla. Il ritornello è accattivante, ma anche scontato. Testo banale tutto virato sull’ottimismo alla Jovanotti.
- NOEMI – “SE T’INNAMORI MUORI” – 7
Look da diva, scende con difficoltà sulle famigerate scale per via di un tubino molto aderente con strascico. Il brano, scritto da Mahmood e Blanco, parla del sentirsi vulnerabili quando ci si innamora. Perfettamente sanremese.

- ROCCO HUNT – “MILLE VOTE ANCORA” – 3.5
Il napoletano va di moda, vedi Geolier lo scorso anno, ma il rapper salernitano lo diluisce mescolandolo con l’italiano. Rap e mandolino. L’effetto è Gigi D’Alessio. Quando scende fra il pubblico per salutare i familiari, sembrano scene da un matrimonio napoletano al Castello delle cerimonie.
- THE KOLORS – “TU CON CHI FAI L’AMORE” – 3
Hanno trovato il segreto del successo – l’italodisco – e non lo mollano. Attacco alla Supertramp, poi trasportano Raffaella Carrà fra Puerto Rico e Mykonos. Disco per l’estate. Un Jackal si presta come ballerino.
- OLLY – “BALORDA NOSTALGIA” – 5.5
È in testa negli ascolti su Spotify e questo vorrà dire qualcosa. Canzone sulla nostalgia priva di sapore. Almeno si fa capire e ci mette grinta.

- ACHILLE LAURO – “INCOSCIENTI GIOVANI” – 4.5
Per coincidenza capita subito dopo l’esibizione di Antonello Venditti, superospite della serata finale. Proprio all’autore di Ricordati di me s’ispira il nuovo corso di Achille Lauro. Pastrano dorato che fa presto posto alla maglietta della salute, atmosfere retrò, per una struggente ballata.
- COMA_COSE – “CUORICINI” – 7
Coppia nella musica e nella vita, Fausto e California (enorme cappello da spiaggia rosso) in gara per la terza volta, la prima da sposati (e sembrano vestiti come al matrimonio). Il pezzo è divertente. Sound new wave. Il ritornello svolta verso il pop vintage anni Ottanta, richiama Al Bano e Romina, Claudia Mori e i Ricchi e Poveri. Con i corpi compongono un cuore. Ballano come John Travolta e Uma Thurman in Kill Bill.

- GIORGIA – “LA CURA PER ME” – 8
La voce più bella di tutto il Festival. Riesce perfino nel miracolo di far risalire un debole testo da canzonetta classica. Lei ce la mette tutta e, dopo tre serate, il brano comincia a funzionare. Di una spanna sopra tutti. Una luce nel buio di questo Festival.
- SIMONE CRISTICCHI – “QUANDO SARAI PICCOLA” – 4
Attore più che cantante. La storia del bambino che diventa “genitore” per i genitori anziani non è niente di ché. Porta il tema dell’Alzheimer all’Ariston. Sentimentale. L’Italia ipocrita, quella che si commuove ma che non alza un dito per cambiare, applaude.
- ELODIE – “DIMENTICARSI ALLE 7” – 4.5
Vamp, vintage, tenta la carta del pezzone melodico, con un sottofondo ritmico, senza avere il carisma necessario. Testo di una banalità sconcertante. Un fallimentare tentativo di imitazione di Mina, anche nella gestualità.
- LUCIO CORSI – “VOLEVO ESSERE UN DURO” – 8
Ali di farfalla, un folletto con il volto dipinto di bianco. Look David Bowie o Peter Gabriel ai tempi dei Genesis, è glam. Seduto al pianoforte, poi si alza e fa teatro rock col chitarrista. Ha il testo più fresco di tutta la rassegna. Usa immagini inattese, giovanilismi e gergo in modo intelligenti, l’ironia con la storia degli occhi truccati di nero (per i pugni), immagini valide, giochi di parole. Un brivido rock a Sanremo.

- IRAMA – “LENTAMENTE” – 4.5
Le parole non si capiscono nella confusione dell’autotune. Una ballad pianistica che si attorciglia su se stessa. Trova uno sviluppo solo nel finale con l’ingresso della batteria e di chitarre alla Coldplay. Si presenta con una giacca da ufficiale napoleonico.
- FEDEZ – “BATTITO” – 5.5
Canzone molto cupa, dark. Testo che parla di depressione, si salva qualche giochetto di parole sui nomi dei farmaci, poi rime discutibili come carne viva – mente schiva. Cita Mary Poppins col cianuro al posto della pillola che va giù.
- SHABLO CON GUÈ, JOSHUA E TORMENTO – “LA MIA PAROLA” – 5
Un quartetto d’eccezione, molto elegante, formato dal producer Shablo, due rapper famosissimi come Guè e Tormento, insieme alla voce soul di Joshua e un coro gospel. Una street song. Arrivano a Sanremo fuori tempo massimo.
- JOAN THIELE – “ECO” – 9
È la più bella sorpresa di questa edizione. Mantello, chitarra a tracolla e lunghe gambe nude si muove in un immaginario cinematografico. Elettrica col tremolo, fra Mina, Tarantino e Umiliani, una canzone pop, con i Portishead nella testa e un ottimo arrangiamento, elegante. Raffinata e vintage con i piedi ben piantati nell’oggi.
- MASSIMO RANIERI – “TRA LE MANI UN CUORE” – 3
Due autori come Tiziano Ferro e Nek per sfornare un testo da terza elementare. Interpretazione tradizionale con il cuore tra le mani. Manca l’acuto. Un pesce fuor d’acqua nel Sanremo dei giovani.
- GAIA – “CHIAMO IO CHIAMI TU” – 2
Brano destinato alla generazione smartphone che parla dell’indecisione ed è un augurio per uscire da questo limbo. Per lei, soprattutto. Look da amazzone, ritmi dance, mood Mahmood, viene raggiunta da quattro ballerini per un twerking finale alla Elettra Lamborghini.
- RKOMI – “IL RITMO DELLE COSE” – 2
Canzone introspettiva. Testo incomprensibile, ritmo martellante. Dopo i due ragazzini e la coppia di anziani, questa volta è una nonna a fare la comparsa al termine dell’esibizione.
- SARAH TOSCANO – “AMARCORD” – 2
Brano nostalgico e sul bisogno di lasciare andare certi ricordi. Molto deja vu. Sulla scia di Annalisa. Il vuoto totale al ritmo della disco music.
LE PAGELLE AL FESTIVAL
- CARLO CONTI – 6
La sufficienza è d’obbligo per i record d’ascolti raccolti e per la precisione da orologio svizzero con cui ha condotto le serate. Ha messo a segno due “colpacci” con il messaggio del Papa e il blitz di Roberto Benigni. Ha evitato inconvenienti ed eccessi. Un festival fatto di fretta anche nelle scelte però: scadenti i tre quarti delle canzoni che dicono poco e male. Ed è mancato il sale della polemica che dà il sapore alla zuppa. Piatto e insipido.

- CO.CONDUTTORI – 7
È stata una vera e propria ammucchiata. La media è alzata da Geppi Cucciari che ha messo un pizzico di pepe nella quarta serata del Festival. Gerry Scotti è stato ironico. Bene anche l’elegante Bianca Balti che non ha avuto paura a mostrare le ferite della sua malattia. Nino Frassica è una sicurezza per quattro risate. Inutili Alessia Marcuzzi, Elettra Lamborghini e Miriam Leone. Pasticcioni Cristiano Malgioglio e Antonella Clerici. Mahmood meglio come ospite musicale che nelle vesti di conduttore. E ieri sera ha presentato il nuovo singolo Sottomarini, una ballata d’amore.

- OSPITI – 6
Travolgente Jovanotti. Imbolsiti i Duran Duran. Intense Noa e Mira Awad. Corrosivo Roberto Benigni. Edoardo Bove molto più profondo di Simone Cristicchi. Tanti bambini prodigio e casi umani da tv del dolore alla Maria De Filippi per colpire il cuore degli spettatori più sensibili. E tante promozioni di film e programmi Rai.
- DOPOFESTIVAL – 4
Confesso, dopo quattro ore di spettacolo e più di una trentina di canzoni, non c’era alcuna voglia di rivedere gli highlights del Festival. Né solleticava la presenza di Selvaggia Lucarelli, alla quale è stata messa la sordina. Tant’è che neanche da quella scatola di vetro sono arrivate scintille. Più ascolti di Viva Rai2 Viva Sanremo? di Fiorello nel 2024. Solo che lo showman siciliano cominciava alle 2 di notte, Alessandro Cattelan all’1.20. Il vantaggio non è da poco. Ah Cattelan, boh?
- SIGLA 0
Quanto elegante era Perché Sanremo è Sanremo del compianto Maestro Pippo Caruso, quanto volgare e invasiva è Tutta l’Italia di Gabry Ponte, che ha aperto la serata finale. Il Toto Cutugno della console, con questo tormentone, ha scassato i cabbasisi, come direbbe Andrea Camilleri, per tutte e cinque le serate del Festivale. Vorremmo sperare di non sentirlo più, ma purtroppo per il dj in giugno si apriranno le porte di San Siro. Un agghiacciante electro-folk dal sapore di tarantella adatto a una sagra della porchetta. Ma, d’altronde, cos’è Sanremo se non una gigantesca sagra della musica?
INCOGNITA SUL FUTURO
Si chiude fra la gioia dei vincitori, la felicità di Carlo Conti per gli ascolti del suo Festival e la soddisfazione della Rai per i record d’ascolto. Una dimostrazione di potenza per ribadire e rafforzare di essere l’unica televisione capace di organizzare un evento di questa portata.
Eppure, il sipario cala sul Teatro Ariston con la grande incognita sul futuro dopo la sentenza del Tar della Liguria che ha dichiarato illegittimo l’affidamento diretto alla Rai, da parte del Comune, dell’organizzazione del festival per il 2024-2025: fatta salva questa edizione, dal 2026 si dovrà andare a gara. Viale Mazzini ha presentato ricorso al Consiglio di Stato, rivendicando la piena titolarità a organizzare il festival nella sua versione attuale i cui diritti spettano all’azienda «in via esclusiva». Entro febbraio si prepara a fare ricorso anche il Comune, che dall’altra parte si è mosso per uniformarsi alla sentenza del Tar, bandendo una manifestazione di interesse.
Chi vivrà vedrà, ma intanto alla finestra c’è sicuramente un colosso come Warner Bros. Discovery: l’Ad Italy & Iberia, Alessandro Araimo, ha detto giorni fa a Repubblica che sarebbe pronto a partecipare al bando per «vincere Sanremo».