Interviste

MOGWAI: trasformiamo il rock in qualcos’altro

– La band scozzese parla del nuovo album “The Bad Fire”, sequel di “As The Love Continues” che raggiunse il “numero 1” nelle classifiche di vendita. Nuove dimensioni del suono senza deviare troppo dai sentieri familiari
– La ricerca sui suoni «è parte integrante della nostra musica. Traiamo molta ispirazione dal cinema». «Post rock? Non vedo le nostre canzoni molto lontane da quelle di gente come Jimi Hendrix Experience o Zombies»

Andare al “numero 1” non era all’ordine del giorno quando i Mogwai, i pionieri del post rock, lanciarono i loro brani epici nel 1995. Eppure, nel 2023, con l’album As The Love Continues raggiunsero il vertice delle classifiche di vendita. Adesso, la band di Glasgow ha pubblicato il suo seguito, il brillante The Bad Fire, un album nato da tempi difficili per la band con il tastierista Barry Burns che affronta la malattia di sua figlia (fortunatamente ora sta molto meglio). Dieci canzoni meravigliosamente espansive, magma sonoro emerso da un cratere che ha ritrovato nuova energia e potenza, come suggerisce la copertina del disco. Combinando la classica colata di suoni infuocati costruita da chitarra con i riff di synth, The Bad Fire sembra il naturale successore di As The Love Continues

«Beh, quando abbiamo fatto il nostro primo album, non avevamo nemmeno un tastierista, e da quando Barry si è unito ha portato molto alla band», riflette il chitarrista e cantante Stuart Braithwaite. «Di quell’epoca musicale ci portiamo l’influenza di John Carpenter, Kraftwerk, Popol Vuh, tutti questi tipi di band. Per questo nuovo lavoro, anche se ci è voluto un po’ più di tempo per riunirci, non è stato un processo così diverso, inoltre abbiamo registrato il disco in Scozia. Abbiamo fatto molto bene con As the love continues, ma onestamente, questo ci ha fatto sentire meno sotto pressione, facendo le cose più facili. Beh, da quel primo posto in classifica ho cambiato casa…. Dubito fortemente però che si ripeterà anche questa volta».

  • È cambiato il produttore, stavolta è John Congleton, il “re del crossover indie” che ha lavorato per Alvvays, Phoebe Bridgers, Laurie Anderson, Ximena Sariñana, Clairoa tra gli altri. E ora l’undicesimo disco dei Mogwai.

«Avevamo incontrato John a Los Angeles e siamo andati molto d’accordo con lui. Avevamo bisogno di qualcuno che potesse venire in Scozia e lui era disponibile. Inoltre, è davvero un po’ del nostro mondo, ha iniziato in una band punk rock, ha lavorato con Steve Albini, anche se è stato coinvolto in molti grandi dischi di diversi tipi di generi, si sentiva come uno di noi, abbiamo tutti più o meno la stessa età e cose del genere. Quindi, è stata sicuramente una decisione facile. È anche un ragazzo davvero alla mano, e molto divertente, quindi siamo andati tutti molto d’accordo. Ha sicuramente portato molto al progetto e molta energia al disco, non c’è stata molta pianificazione, abbiamo registrato molto velocemente».

  • In termini di suono in “The Bad Fire” sono state usate nuove attrezzature o nuovi effetti? Negli ultimi anni, i vostri lavori si sono arricchiti di molte sfumature elettroniche.

«Non abbiamo una regola. Utilizziamo esclusivamente gli strumenti che pensiamo possano essere al servizio della canzone che stiamo componendo. Nessuna scelta a tavolino. Kevin Shields ha progettato un pedale per Fender che uso molto, lo Shields Fender Blender, e Barry ha una tastiera synth completamente nuova per ogni disco. Non le conserva nemmeno, se ne libera, se ne libera e poi ne compra di nuove, il che penso sia una buona idea. Anche se gli dà un po’ di mal di testa quando andiamo in tour e deve replicare tutti i suoni».

  • Per molte band è importante raggiungere le orecchie dei più giovani e rimanere rilevanti per le nuove generazioni. Voi continuate a fermare il tempo con la vostra musica.

«Non so quanto arriviamo a un pubblico più giovane e non è qualcosa che mi preoccupa davvero. Quello che dico è che, se accadrà, accadrà, ma di solito non pensiamo troppo a queste cose».

E la loro musica è tutt’altro che defunta. È diventata garanzia di qualità, per la sua forza visionaria ed evocativa, nel suo essere lontana da compromessi con mode e mercato. Sono stati definiti gli alfieri del post-rock, ma «le definizioni non ci interessano: si tratta di semplificazioni», taglia corto Stuart Braithwaite. «Non vedo le nostre canzoni molto lontane da quelle di gente come Jimi Hendrix Experience o Zombies»,

The Bad Fire dimostra che questa banda di veterani d’acciaio può ancora disarmarti aprendo nuove e sorprendenti dimensioni al loro suono. Con una delle performance vocali più sfacciatamente tenere di Stuart Braithwaite fino ad oggi, 18 Volcanoes scambia il solito overdrive shoegazey dei Mogwai per il sereno e fluttuante fuzz di Sometimes di My Bloody Valentine, mentre Lion Rumpus suggerisce la grandezza dorata delle loro uscite dei primi anni 2000 consegnate con il gusto degli U2 degli anni Ottanta (anche se un assolo di chitarra che scioglie il cervello mantiene la connessione spirituale della band con gli Stooges).

Gli spettacoli dei Mogwai sono caratterizzati da volumi alti, distorsioni al limite del rumore puro, frequenze basse in grado di inchiodare a terra qualsiasi ascoltatore. Tutto al servizio di un viaggio musicale che tiene dentro echi della scena rock inglese a cavallo tra Ottanta e Novanta, dal rock alienato dei Jesus & Mary Chain fino allo shoegaze dei My Bloody Valentine, e il magistero dei Sonic Youth. Senza perdere nulla in melodia e complessità sonora. Perché il suono, la ricerca sui suoni «è parte integrante della nostra musica. Cerchiamo di trasformare il rock in qualcos’altro», continua Braithwaite. «Traiamo molta ispirazione dal cinema: i miei registi preferiti sono Darren Aronofsky – con cui i Mogwai hanno collaborato per la colonna sonora di The Fountain – L’Albero della Vita – John Carpenter, David Lynch». 

Braithwaite cita tra i suoi maestri anche «Ennio Morricone, le sue colonne sonore sono una meraviglia». Il rapporto stretto col cinema si vede anche dalla cura dei loro video o dalle tante soundtrack realizzate. E le loro canzoni sono state inserite in decine di film. Moses? I amn’t fu scelta da Paolo Sorrentino per Le Conseguenze dell’Amore, il film del 2004.

Trent’anni, la stessa formazione. Mai l’ipotesi di una rottura. «Non siamo mai stati vicini a uno scioglimento: al centro dei nostri rapporti c’è sempre stata la musica e fin quando sarà così non ci saranno rischi in questo senso», prosegue Braithwaite. Un’amicizia musicale talmente stretta che i Mogwai hanno deciso anche di utilizzarla per aiutare altre band. E lo hanno fatto attraverso Rock Action, la loro etichetta musicale. Un modo, molto probabilmente, per avere anche carta bianca sulla gestazione dei loro lavori. 

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