– L’iconica cantante, compositrice e attrice britannica ci ha lasciato il 30 gennaio 2025, all’età di 78 anni, la ricordiamo in un incontro avvenuto nel 2009 a Bologna. Riportiamo l’articolo originale
Il suo sogno è quello di vedere un film sulla sua vita, «ma non chiedetemi che impronta dovrebbe avere – avverte – Io semplicemente l’ho vissuta. Un percorso lungo e meraviglioso». Un percorso, quello di Marianne Faithfull, musa ispiratrice e icona del pop anni Sessanta, cominciato nella swingin’ London, quando Beatles e Rolling Stones mettevano a soqquadro il mondo della musica.
Un bel tailleur pantalone, passo aristocratico, gli occhi azzurri tuffati in un viso dove ogni secondo dei suoi 62 anni ha lasciato un piccolo segno. Oggi Marianne Faithfull è la diva espressionista per eccellenza. Un colpo di tosse da fumatrice incallita, poi un saluto cordiale con la voce roca, sgranata, diversa. Agli esordi, timida e bellissima, le canzoni le accarezzava soavemente. Oggi le graffia, le maltratta, le divora. Come Tom Waits. È tornata in Italia, sabato e ieri, per una serie di eventi all’Arena del Sole e al Cinema Lumière di Bologna nelle vesti di attrice e cantante per recitare i Sonetti di Shakespeare e cantare brani di Keith Richards e Duke Ellington, Nick Cave e Leonard Bernstein.
«Ho una lunga storia che mi lega all’Italia», mormora. «Ricordo quando mi chiamarono a cantare a Sanremo (C’è chi spera in coppia con i Camaleonti, 1967). Ripassavo il testo della canzone con mio padre, che parlava perfettamente la vostra lingua. La prima volta che visitai il Paese, con la mia famiglia, ero una bambina».
Bella, innocente, sensuale, Marianne si buttò senza paracadute nell’effervescenza degli anni Sessanta. «Cosa volevo? Tutto», ammette, con una risata cavernosa. Tanto sesso, molta droga. Era già moglie e madre quando finì nell’universo vorticoso dei Rolling Stones. Andò a letto con Keith Richards e Brian Jones, «ma poi scelsi Mick». Quando la polizia fece irruzione nel loro appartamento in cerca di stupefacenti, lei si rifugiò sotto un tappeto di pelliccia per non farsi fotografare nuda. «Quell’episodio mi distrusse. Un rocker che si droga è cool, una ragazza una poco di buono».
«Tutto era esaltante e frustrante allo stesso tempo», ricorda. «Ma ero molto determinata e non mollavo. In realtà non ero cresciuta pensando di fare la cantante. Volevo fare l’attrice, l’interprete di musica classica e leggera. Tutte cose che in qualche modo sono poi diventate realtà, anche se in tempi diversi. Artista… questa era la parola magica che mi ronzava in testa. Che non significava successo, denaro, lusso. Essere cantante e attrice mi ha aiutato a fare quel che mi piace e in cui credo. Se non mi offrono una buona parte, ho sempre l’opportunità di fare un altro disco o un progetto teatrale. E quando arriva un copione interessante come “Irina Palm”, prendo la palla al balzo e congelo per un po’ i miei interessi musicali. Sbaglia chi dice che per me il mestiere di attrice è un’occupazione secondaria. Al contrario, lo prendo molto sul serio. Il recital di sonetti di Shakespeare è un’avventura emozionante».

Il set di “Irina Palm” (una donna che per poter pagare le spese mediche di suo nipote masturba clienti in un peep show) l’ha riportata nella Soho maledetta dove consumò gli anni più bui della sua esistenza, in un appartamento di mattoni crudi, senza luce né acqua corrente. Eroinomane e anoressica, abbandonata dai suoi amici rocker, alla frenetica ricerca di una dose («Mi iniettavo eroina anche ventiquattro volte al giorno», racconta in Faithfull). Eppure, non ha nessuno di quei segni evidenti che la droga lascia sul volto di alcune sue vittime. Solo la voce racconta gli abusi, risultato di laringiti recidive causate da cocaina, sigarette e whisky. «Che volgarità!», scrissero in molti quando la riascoltarono, alla fine degli anni Settanta. Invece quella nuova voce le ha salvato vita e carriera. Broken English, il disco della rinascita pubblicato nel 1979, catturava perfettamente l’essenza postpunk ed è ancora considerato il suo capolavoro.

«Fu l’occasione di mostrare al mondo quel che sono davvero. Tutti avevano dei preconcetti sul mio conto, la ragazzina che faceva bisboccia con gli Stones, la remissiva amante di Mick Jagger, la biondina che si era fatta trascinare nell’abisso dalla swingin’ London. Così decisi di incidere un album drammatico, perfettamente nelle mie corde, sperando che arrivasse al pubblico come un pugno nello stomaco».
La vita da sessantenne, racconta, è più dolce. Abita a Parigi col suo compagno, il produttore François Ravard. «Sono entrata in un porto sicuro», confessa. «Parigi è adorabile, le giornate scorrono serene, riesco a difendere la mia privacy. Ormai si va avanti cercando di esorcizzare le paure. Paura di ammalarmi, paura della morte…», dice alludendo al cancro che ha dovuto affrontare due anni fa e alla brutta epatite che l’anno scorso l’ha costretta a cancellare tutti gli impegni. «Voglio essere qui ed ora, con il controllo della mia vita. Ciò che vogliono tante donne. Da giovane non sentivo mai di avere il controllo di ciò che mi succedeva. Erano altri ad averlo».
(18 aprile 2009)