– La regista di “Uzeda – Do It Yourself” racconta la realizzazione del lavoro che torna nelle sale da lunedì 10 febbraio a Catania. Dopo un tour al Nord, il 2 marzo a Siracusa
– «Un racconto per scoprire come si può vivere mettendo al primo posto la musica, la ricerca, la sperimentazione, il dialogo con se stessi, un’economia senza plusvalore»

Gli Uzeda li conosco da sempre ma non sono una fan della prima ora, il film nasce infatti più dalla voglia di raccontare la loro storia e la loro prospettiva sulla musica, è qui che ho sentito l’urgenza, è della loro storia che mi sono innamorata e del valore che attribuiscono all’indipendenza in campo artistico.
L’idea del film è nata dalla frequentazione degli Uzeda intorno al 2012, giravo il mio primo film “Gesù è morto per i peccati degli altri” e volevo usare dei loro brani per la colonna sonora così iniziai a frequentare il negozio “Indigena” nella sua ultima sede che da lì a poco chiuse. In quegli incontri in negozio Agostino Tilotta, chitarrista degli Uzeda, e Giovanna Cacciola, la frontwoman, a volte si raccontavano ed io mi incuriosivo sempre di più finendo per frequentarli più per il piacere di ascoltare la loro storia che per le musiche del film che erano già state scelte. Finché un giorno dissi ad Agostino: «Vorrei fare un film sugli Uzeda, raccontare la vostra storia e le vostre scelte». Lui mi rispose: «Se mi metto nei panni di uno che viene a vedere un film del genere non mi immagino che interesse possa avere». Ed io risposi: «Fidati, non so spiegartelo a parole, ma so che verrebbe fuori un film che racconta una storia esemplare molto interessante e emozionante».

La fiducia vera è poi cresciuta nel tempo, un po’ come accade in tutti i documentari narrativi e adesso abbiamo il film ma anche una bellissima amicizia. Le relazioni umane sono al primo posto sia nella musica indipendente che nel cinema indipendente.
«The best plan is “the no plan”» è la frase che ho spesso sentito ripetere ad Agostino Tilotta. Un po’ come dire “virennu facennu”, si vede facendo, tipica espressione del sud che invita a fare senza troppi programmi: adattare la progettualità agli accadimenti. Ed è così che ho iniziato questo film, senza un piano, seguendo il desiderio di fissare un pezzetto di vita e di storia degli Uzeda, perché ci fosse una traccia audiovisiva che raccontasse il modo di essere di una band indipendente che ha mantenuto questa prospettiva per trent’anni. Un film per scoprire come si può vivere mettendo al primo posto la musica, la ricerca, la sperimentazione, il dialogo con se stessi, un’economia senza plusvalore. I soldi, proprio come la chitarra, il basso, la batteria e le corde vocali, sono solo uno strumento, e il suono non è la somma degli strumenti, è altro, è qualcosa di dirompente che si scatena. Posizione radicale, senza compromessi, che mi ha rapita dal pensiero catastrofico e autodistruttivo imposto all’immaginario dalla società in cui tutti abitiamo.

