– Il figlio di The Man in Black pubblica in “Songwriter” le canzoni del padre scartate quando cominciò a collaborare con il produttore Rick Rubin
Quanti musicisti del XX secolo possono dire di aver suonato con Elvis Presley, gli U2 e i Beatles? Quanti possono pretendere di aver definito il country, fondato il rock’n’roll, visto nascere il folk rock e essere omaggiati da quattro generazioni di musicisti? Uno solo: Johnny Cash, meglio noto come The Man in Black, l’uomo in nero.
La storia personale e musicale di Cash è legata in modo indissolubile a quella degli Stati Uniti nella seconda metà del secolo scorso, dai suoi inizi mitici nell’etichetta Sun di Memphis al suo sorprendente “come back” degli anni Novanta, per cortesia di Rick Rubin e la sua American Recordings. Da Get Rhythm, uno dei suoi primi single per la Sun records, da considerarsi antenato diretto del rock’n’roll nascente negli anni Cinquanta, alla sua versione di Hurt dei gotici Nine Inch Nails nel suo disco The Man Comes Around, la voce baritonale e profonda e la scarna chitarra dell’Uomo in Nero hanno attraversato un’epoca e segnato la storia.
Johnny Cash era l’unico con cui Elvis si sedeva a cantare vecchi gospel, l’unico a cui Bob Dylan regalò una canzone che lui stesso non cantò mai (Wanted Man), l’unico capace di proporre versioni di One degli U2 o Row Boat di Beck migliori delle originali, scritte e cantate da musicisti venti o trent’anni più giovani di lui.
Fra i molti altri meriti, Johnny Cash è stato anche il punto di collegamento fra la old time music, le canzoni dell’America rurale dell’inizio del secolo XX – sua moglie, June Carter, faceva parte della mitica Carter Family – e i molteplici generi e subgeneri nati dall’esplosione del rock. «Se sentite che fa cika-bum cika-bum, allora è il suono di Cash», diceva il musicista per descrivere il suo suono minimalista e organico delle sue avventure negli anni Settanta, ma ricuperato alla grande nella serie di dischi che Rubin -l’uomo che lanciò L.L. Cool J e i Beastie Boys- produsse per lui negli anni Novanta, a partire da American Recordings. È una delle favole più conosciute della musica nordamericana: Johnny Cash incontra il produttore Rick Rubin e lui lo aiuta a reinventarsi fino a resuscitarlo per il grande pubblico. The Man in Black raggiunge la vecchiaia rivalutandosi più che mai e offrendo un repertorio tanto emozionante quanto sorprendente. Ma quali sarebbero stati i piani di Johnny Cash se non avesse incrociato la strada dell’abile produttore?
Nel 1993, un anno prima di pubblicare il celebre American Recordings, album con cui il produttore avrebbe trovato una formula di crudezza strumentale subordinata alla prodigiosa voce cavernosa del cantante country, Cash aveva iniziato a registrare alcune canzoni da solo nello studio LSI a Nashville, di proprietà di suo genero, Mike Daniels. Erano canzoni che aveva composto negli ultimi anni e con le quali sperava di poter prendere il volo. Apparve Rick Rubin e quelle composizioni, per la maggior parte incompiute, furono riposte in un cassetto. John Carter Cash, figlio della leggenda della musica americana, ha aperto quel cassetto e, dopo anni di lavoro e collaborazioni, ha realizzato un album: Songwriter (Universal), un lavoro di 11 canzoni che ha appena visto la luce e che rivela un artista pieno di capacità.
Songwriter è una testimonianza importante perché, al di là del suo valore simbolico, dice molto sulla decisione presa da Cash. Senza dubbio, il musicista ha visto che il suo lavoro con Rubin gli offriva una versione di se stesso molto più rinnovata e travolgente. American Recordings, composta da brani propri e versioni di brani originali di Tom Waits, Kris Kristofferson e Leonard Cohen, ha elevato la figura del fuorilegge di I Walk the Line alla categoria del grande vecchio e saggio crooner, come un oracolo di un’America sempre contraddittoria, ferita dai suoi peccati fondatori e alla perenne ricerca della balena bianca. L’American Recordings inaugura una serie di album che lo porteranno a guadagnarsi il definitivo consenso della critica specializzata, tra cui anche quella della musica indie, il cui pubblico lo accoglie a braccia aperte come uno dei pochi bastioni da venerare, se non altro per la sua voce possente, seria, malinconica e cupa: era come sentire quello di una sorta di divinità dalle tavole dell’Antico Testamento. L’album fa emergere tutti i segni che lo hanno segnato prima della sua celebre reinvenzione su American Recordings.
L’album recuperato è, quindi, un lavoro minore di tutto ciò che Cash ha lasciato dalla sua collaborazione con Rubin. Eppure, Songwriter si presenta all’ascoltatore come un percorso interessante e ricco di brani che lo hanno definito. Sotto la produzione di David Ferguson, è come un riassunto di Cash fino al 1994. Ci sono composizioni dal ritmo saltellante e inarrestabile, guidate dal basso di Dave Roe, tipiche degli anni Cinquanta su Sun Records, come Well Alright, Soldier Boy o Sing It Pretty Sue, rivista dopo essere stata registrata nel 1962. Ci sono ballate country come Have You Ever Been to Little Rock? o She Sang Sweet Baby James. E un’altra con un delizioso tocco swing come I Love You Tonite, una lettera d’amore a sua moglie, June Carter.
Mancherebbe qualcosa del suo lato gospel, anche se, al contrario, si può apprezzare la sua attitudine fuorilegge consacrata da una canzone spirituale nell’iniziale Hello Out There, dove il chitarrista Marty Stuart lascia la sua meravigliosa impronta. Stuart e Roe sono musicisti che a quei tempi accompagnavano Cash e registravano con lui, ma per completare il lavoro incompiuto del cantautore, il figlio di Cash ha reclutato in quello che è noto come Cash Cabin – uno spazio angusto nel Tennessee dove il musicista ha scritto, registrato e rilassato – altri importanti scudieri come Dan Auerbach, dei The Black Keys, che lancia un assolo blues in Spotlight, e Vince Gill, che presta la sua voce a Poor Valley Girl.
Le sessioni di Songwriter ebbero luogo all’inizio del 1993. A quel tempo, Cash era quasi senza speranza. Pubblicava album da più di un decennio che non avevano quasi alcun significato e il suo pubblico diminuiva ogni anno. Il suo declino lo aveva portato a litigare con la casa discografica, la Mercury, adesso editrice di questo album. The Man in Black non sapeva come dare una svolta alla sua carriera dopo un viaggio nel deserto senza fine. Anche alcuni milionari riuscirono a convincerlo per un progetto mai realizzato: volevano costruire una sorta di Disneyland country a Nashville, un parco a tema per tutta la famiglia dove il fiore all’occhiello era un teatro con una capienza di quasi tremila persone dove Cash avrebbe suonato ogni settimana. Il musicista, a quel tempo, riempiva a malapena locali dalla capienza di 600 persone. Sua moglie, June Carter, era così preoccupata per suo marito che un giorno gli disse addirittura che doveva fermarsi a riflettere perché era più disorientato che mai.
Cash si fermò e cominciò a registrare una serie di brani che, oggi, costituiscono Songwriter, l’album che traccia il profilo di uno dei grandi “desperado”, la celebre generazione di fuorilegge country che, negli anni Settanta, sfidarono le regole di Nashville. Rimangono in piedi solo Kris Kristofferson e Willie Nelson, che a 91 anni resta imperturbabile, girando senza sosta e pubblicando album ogni anno, l’ultimo, The Border, pubblicato la scorsa primavera, è un’elegante testimonianza emotiva della mitica America. La stessa America alla quale Johnny Cash ha lasciato un testamento senza eguali. Perché, se negli ultimi anni sono riusciti ad aggiungere alla serie American Recordings The Music: Forever Words (2021), un album con scritti e lettere ritrovati dopo la sua morte e cantati da artisti come Alison Krauss, Chris Cornell, Willie Nelson, Elvis Costello, John Mellencamp o T Bone Burnett – o The List (2009), album su cui sua figlia Rosanne Cash ha registrato le canzoni preferite di suo padre negli ultimi giorni – ora è il momento di aggiungere Songwriter.
Songwriter è un’altra testimonianza del talento senza tempo di Johnny Cash. Anche dopo la sua morte, la sua voce continua a risuonare con una profondità e una rilevanza che poche altre figure nella storia della musica possono vantare. L’album non solo arricchisce la sua discografia, ma offre anche una preziosa occasione per scoprire aspetti meno noti della sua carriera. L’ultima resurrezione di una figura che diventa sempre più grande con il passare del tempo.