– La popstar ha richiamato 70mila spettatori (e molti vip) sabato sera all’Ippodromo di Milano: uno show perfetto che ha fatto danzare tutti per due ore
– Un manifesto dance-pop per sollevare lo spirito e l’energia. In scaletta, come regalo al Paese ospitante, “A far l’amore comincia tu” della Raffa nazionale
Sabato sera l’Ippodromo La Maura di Milano non era solo uno spazio per concerti, ma un’enorme discoteca per 70mila persone che trasudavano dopamina. Dua Lipa è sinonimo di festa, e una festa completa è ciò che ha offerto nell’unico concerto italiano del suo tour europeo.
Un pubblico giovane – outfit ispirati al look di Dua tra strass, bustier, top anni 2000, treccine e occhiali da sole –, internazionale – si sentivano parlare inglese, francese, spagnolo, tedesco, ma anche tanto albanese (la cantante ventinovenne, pur essendo nata a Londra, è di origine kosovara albanese e ha vissuto a lungo a Pristina prima di fare rientro in Gran Bretagna) – e un parterre affollatissimo di vip, tra cui Stefano De Martino, Mahmood, Fabio Rovazzi e Coma_Cose.
La promessa di felicità eterna, amore e sensualità era evidente dal momento in cui la cantante emergeva come una Venere di Botticelli di fronte a un’immagine di onde in loop proiettate sullo schermo gigante sullo sfondo. Sul palco, il simbolo dell’infinito plasma quella proposta di immergersi in un sogno gioioso senza fine. Dua Lipa ha concentrato il suo repertorio di concerti sul suo terzo album, Radical Optimism, da cui ha eseguito quasi tutte le canzoni. Alcune sono semplicemente perfette per essere danzate: dance-pop progettata per sollevare lo spirito e l’energia di tutti coloro che si arrendono alla loro implacabile efficacia. Contengono una vasta gamma di risorse dalla storia della musica dance e trasmettono potenti messaggi di indipendenza, potere e malizia in melodie che cantano da sole. Questo è il caso di Training Season, con cui ha iniziato il concerto.

Sul palco è montata una lunga scala cromata ondulare, sulla quale la popstar si muove assieme ai ballerini mentre la band si esibisce ai lati. La scaletta è un viaggio nel suo repertorio, suddiviso in quattro atti più un encore. A ogni sezione corrisponde un cambio look sincronizzato con il mood musicale, tra jumpsuit in pizzo rosso, minidress argentati e orecchini vistosi. Dai tormentoni One Kiss e Break My Heart che trascinano il pubblico, a These Walls e Whatcha Doing – brani più recenti – Dua diverte e fa ballare. I momenti di picco non mancano: Physical, Levitating, Electricity e New Rules trasformano l’arena in un immenso dancefloor. E poi Illusion, un momento clou della performance, e naturalmente Houdini, con cui ha chiuso lo spettacolo tra lampi di raggi laser e la sesta esplosione di cannone di coriandoli.
Ogni movimento e suono è meticolosamente coreografato. Il livello di controllo si estende anche alla musica, eseguita da un grande gruppo incaricato di riprodurre l’alto livello di raffinatezza che si trova nella produzione degli album. L’ultimo album porta le firme di due produttori, compositori e arrangiatori molto diversi: Danny L. Harle, uno dei creatori dell’hyperpop di PC Music, architetto del favoloso suono di Caroline Polacheck, braccio destro di yeule e collaboratore di A.G. Cook (la mente dietro i ritmi di Charli XCX); e Kevin Parker, la mente dietro la band australiana Tame Impala, uno dei grandi gruppi pop rock psichedelici dell’ultimo decennio.
Lei balla, sorride, si muove lungo la passerella al centro del palco, occhieggia e canta con naturalezza mentre la folla ricambia con un’energia viscerale. È sexy e sa di esserlo ma non ne fa la base del suo spettacolo. La sostanza c’è. Scende sotto al palco, stringe mani, firma autografi, parla con i piccoli fan e scatta selfie con tutti. Durante il tour Dua Lipa intona una cover diversa ogni sera di un artista locale, a seconda della città in cui si esibisce, e a Milano dedica A far l’amore comincia tu di Raffaella Carrà. «Ciao Milano come va stasera?», scandisce in perfetto italiano. «Sono così felice di essere qui, questa energia è incredibile».