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L’indemoniata ST. VINCENT

– Una infuocata e straordinaria esibizione dell’artista americana apre la due giorni di grandi eventi al Medimex25 di Taranto. Si prosegue stasera con il concerto dei Massive Attack
– Sul palco si scatena l’energia fredda e post-apocalittica. Lei si muove attraverso il caos con la precisione della performer, con la destrezza della commediante, con movenze da mimo

In un settore che premia il prevedibile, Annie Clark – meglio conosciuta come St. Vincent – ha costruito il suo impero sull’arte della sorpresa. È una moderna fuorilegge nell’industria musicale, camaleontica, un’innovatrice irrequieta che ha trascorso gli ultimi due decenni a distorcere il rock, il pop e la musica elettronica in nuove forme strane e belle, inseguendo sempre la prossima frontiera musicale.

È un testimone che ha preso in eredità da altri ribelli: David Byrne, Nick Cave, rinnegati di genere che non solo hanno suonato la loro musica, ma l’hanno fatta a pezzi e l’hanno ricucita in qualcosa di unico e nuovo. L’ossessione di Annie Clark per la musica è più profonda della carriera o della fama; è una devozione, un bisogno di continuare a spingere fino a quando l’intera struttura non si apre.

Il suo ultimo progetto, il vincitore del Grammy Award All Born Screaming, la trova più impavida che mai: una raccolta di canzoni che abbatte e ricostruisce con feroce urgenza. È il suono di un artista che ha smesso di chiedere il permesso, che sa che la vera innovazione vive negli spazi scomodi. La sopravvivenza è al centro di esso: non solo raschiare via, ma graffiare il significato dal caos, rifiutando di stare in silenzio. È un album sulla creazione e la distruzione, sul fare rumore semplicemente perché lo richiede l’essere vivi. È rock, è punk, è elettronica, è vaudeville. È musica di sopravvivenza. È fuoco.

E venerdì sera, nella prima serata dei grandi eventi del Medimex25, nella Rotonda del Lungomare di Taranto, St. Vincent ha acceso quel fuoco, provocando una detonazione su larga scala. Del tipo che ti fa ronzare le orecchie e ti fa drizzare i peli del corpo, chiedendoti cosa diavolo ti ha appena colpito, e quando potrai sentirlo di nuovo.

St. Vincent comincia praticamente al buio, illuminata alle spalle da un riflettore. Una immagine spettrale. Pantaloncini neri su calze a rete con evidenti smagliature, una camicina nera trasparente su un reggiseno nero. Lei appare come un fantasma. Apre con Reckless, una traccia di All Born Screaming. La quiete prima della tempesta sonora. E quando la diga si rompe, si scatena l’energia fredda e post-apocalittica. Annie Clark si lancia in Fear the Future e Los Ageless, un colpo di frusta che colpisce la folla e la fa sanguinare. L’illuminazione esplode e su tutto è caos e colore. Sembra che il pavimento si sposti sotto i tuoi piedi. Cade, si piega sulle ginocchia, si stende per terra suonando la chitarra e cantando. Corre da una parte all’altra del palco, rischia di cadere dal palco quando vuole avvicinarsi al pubblico. È una indemoniata.

La folla esplode in balli e urla, cerca di andare al passo con la tempesta che St. Vincent sta scatenando. Con la sua chitarra appesa alla spalla come un’estensione del corpo, si muove a suo agio attraverso il caos. Con la precisione della performer, con la destrezza della commediante, con le movenze da mimo. La sua performance è intensa, piena zeppa di movimenti delle mani e del viso. Bacia il chitarrista sulla bocca, poi si getta sulla tastierista. È sensuale, selvaggia, carnale. Strega, ammalia.

L’illuminazione, il ritmo, il suono, tutto sembra progettato non solo per impressionare, ma per connettersi. Si offre con generosità al pubblico. Sembra che voglia portarci nel suo mondo, non tenerci fuori. Sale sulla transenna che separa il palco dalla folla, per cantargli una serenata, la delicata ballata dedicata alla sua città, New York, e subito dopo una risata satanica introduce Sugarboy.

La chimica tra lei e i suoi compagni di band è innegabile, quasi pericolosa nel migliore dei modi. Soprattutto con il chitarrista e il bassista c’è una attrazione magnetica, quasi telepatica. Durante Birth in Reverse e Pay Your Way In Pain, Annie Clark si inginocchia davanti a loro, la chitarra abbassata, scambiando energia come scintille che volavano da una corda all’altra. Non è solo una pantomina, è vera fiducia, vera gioia.

Più avanti nel set, FleaCheerleader e Marrow aumentano il potenziale d’energia. Ogni traccia esplora cosa significa essere vivi, combattere, urlare, anche quando il mondo si sente come se si stesse inclinando dal suo asse. Un assolo di batteria esteso e illuminato in modo tumultuoso chiude Cheerleader, mentre l’assolo di chitarra durante Marrow è puro fuoco, distorto, frastagliato, selvaggio. Chiude con All Born Screaming, la title track dell’album del 2024: un finale lento e vulcanico che sembra il picco emotivo della notte.  

Per Annie Clark, non si tratta mai solo di mettere su un buon spettacolo (anche se s’infuria se la chitarra s’inceppa e sputa al tecnico), si tratta di fare qualcosa di onesto, qualcosa di vivo. Non sta giocando con ciò che è popolare o raffinato; è alla ricerca di ciò che è reale, anche se è disordinato o strano. All Born Screaming si basa su quell’idea, che essere vivi è resistere, protestare, fare rumore semplicemente perché puoi. 

«In America e anche in Italia sta succedendo davvero di tutto. Urlare è qualcosa di primordiale, e facciamo bene a farlo», sottolinea. Ma davanti alla figlia, l’icona gay abbandona il suo aspetto da “bad girl” per addolcirsi e meravigliarsi della presenza di pannolini in camera: «È la prima volta che accade!», esulta ringraziando l’Italia e il Medimex.

Il fuoco di spegne con i Primal Scream

Dopo il fuoco della quarantaduenne artista americana, appare sciapa l’esibizione degli scozzesi Primal Scream. Il gruppo sale sul palco come se fosse tornato da un sabato sera, indossando il loro meglio della domenica. Bobby Gillespie, il frontman della band, particolarmente elegante con un abito bianco, in contrasto con il nero di St.Vincent. C’è qualche momento in cui colpisce nel segno, come con Ready to Go Home e Deep Dark Waters, ma poi scende di tono.

Per oltre trent’anni i Primal Scream hanno vissuto all’ombra di Screamdelica, un album di infusione rock tentacolare che poteva essere nato solo dai resti della seconda estate dell’amore. Il soprabito edonistico che avvolge ogni linea di basso si interpone con momenti di pensiero politico introspettivo, anche se il frontman Bobby Gillespie trova l’edonismo di “vogliamo essere carichi” una prospettiva molto più invitante. È una tessitura di musica da club e rock, che vaga fra il soul e spruzzate di Rolling Stones.

Stasera seconda e ultima serata per i “grandi eventi musicali”. Al Medimex25 con la band dei Massive Attack. È annunciato il sold out. La band si presenterà con una formazione d’eccezione: Robert “3D” Del Naja,  Grant Marshall aka Daddy G, Horace Andy (cantante giamaicano),  Deborah Miller, Liz Fraser (vocalist dei Cocteau Twins),  Euan Dickinson, Julien Brown, Damon Reece, Winston Blissett, Sean Cook, Alex Lee.

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