Storia

L’hip hop a muso duro di Iastimo

– È “Tutto normale” per il rapper messinese, all’anagrafe Giuseppe Comunale: dal partecipare alle Paralimpiadi invernali sullo snowboard a urlare la sua disabilità senza giri di parole. «È anormale il mondo della politica, soprattutto perché non ha intenzione di risolvere i problemi della gente»
– «Oggi i testi parlano tutti della stessa cosa, prima il rap era la forma musicale con un registro così ampio da darti la possibilità di esprimerti in modi diversi e portare tanti contenuti». Bassi potenti e ricchi di groove s’incrociano con synth e tastiere, un’orchestrazione di archi s’intreccia con le rime

Da Messina a Sochi, Russia, per partecipare nel 2014 alle Paralimpiadi invernali nella nazionale italiana di snowboard. Sembra l’improbabile storia della squadra della Giamaica che ventisei anni prima, nel 1988, esordì alle Olimpiadi invernali di Calgary. Ma per Giuseppe Comunale, in arte Iastimo, è tutto normale. 

«Sono cresciuto nella cultura hip hop e mi piaceva andare in skate, solo che con la protesi non ci riuscivo benissimo», racconta Iastimo che è nato con una disabilità motoria per via di una malformazione congenita. «Allora, ho cominciato a provare lo snowboard e con i piedi legati era un po’ più facile. Mi allenavo sull’Etna. Da lì sono andato a fare un corso di perfezionamento estivo in Francia, dove ho conosciuta quella che è diventata la prima allenatrice della nazionale disabili che poi mi ha convocato. Era il primo anno che lo snowboard era ammesso alle Paralimpiadi ed era categoria unica, non c’erano differenze fra le disabilità, correvamo tutti insieme. Quelli che avevano una disabilità minore della mia erano favoriti. Arrivai ventiduesimo se ricordo bene. Dal 2014 in poi sono state inserite le categorie e così ho potuto gareggiare alla pari, vincendo in Coppa del Mondo, un paio di volte campione italiano. Solo che, troppo vecchiarello, non sono riuscito ad arrivare ai Giochi invernali della Corea».

Giuseppe Comunale, in arte Iastimo, messinese, classe 1979

È tutto normale per Iastimo. Come fare basket da quando aveva 10 anni e adesso andare in bicicletta. O essere cresciuto da una madre, che fin da giovane ha dovuto affrontare da sola il mondo con un bambino disabile. 

«Agli occhi di chi lo vive, probabilmente sì, appare normale. Non hai una percezione diversa: è quella la tua sfera, il tuo habitat. È una normalità che non è normale. Tecnicamente è proprio quello: ciò che noi vediamo e che ci facciamo passare per normale non lo è, non lo dovrebbe essere. È anormale il mondo della politica, soprattutto perché non ha intenzione di risolvere i problemi della gente. Nessuno, né di destra né di sinistra, ha tentato di affrontarli. Non hanno voglia di trovare una soluzione, ma solo di palarne, specialmente in campagna elettorale. Ma di tutto quello che riguarda la società odierna, non solo dei problemi legati alla disabilità. Non vedo differenze su come vengono trattati i disabili o i migranti, le mamme single o i papà single…»

Tutto normale è il titolo dell’album che segna il suo esordio a 45 anni, «anche se negli anni Novanta ho fatto molte cose indipendenti, questo è il primo album serio», tiene a sottolineare. Un album duro, a muso duro come cantava Pierangelo Bertoli, che non usa giri di parole. Sin dall’inizio, quando Iastimo si presenta come Capocomico/Zoppo: «Sono quello che chiami handicappato quando parlo ho un difetto, biascico. Io non cammino, zoppico, inciampo, cado. Capocomico sembro un atto tragico…», rappa o bestemmia, come suggerisce il suo nome d’arte in dialetto messinese.

«Quando ho scritto il testo, pensavo a Paolo Rossi, che ammiro molto. L’idea del capocomico corrisponde all’immagine tragicomica che volevo descrivere, fa ridere, ma non per forza è una persona allegra, così può sbatterti in faccia realtà difficili da digerire in un modo che ti fa ridere e , nello stesso tempo, pensare».

Iastimo (foto Teresa Pulitanò)

È un disco che si collega alla scena rap anni Novanta, quando Messina era una piccola enclave hip hop in Sicilia. Si formavano i Nuovi Briganti, scoperti e lanciati dal compianto Francesco Virlinzi, i Fuori Fase, i Vulcano. «Già negli anni Settanta c’era un bel movimento underground musicale, c’erano i Victrola che facevano musica elettronica, i Fuori Fase. C’era una scena importante che sapeva fare la musica e per il mio album ho chiamato Fantomas, uno dei componenti dei Fuori Fase. Quei suoni mi hanno fatto crescere e quindi, con Rico, il produttore abbiamo pensato di riprodurre quel tipo di hardcore degli anni Novanta, mettendoci sonorità nuove, unendo il contemporaneo e il vecchio, però rimanendo sempre in quel binario che è l’hip hop e non il mainstream».

Oggi la scena è notevolmente cambiata, c’è qualche focolaio, ma soprattutto ma quel senso di movimento, comunità, che una volta riuniva coloro i quali facevano musica. Prevale l’individualismo, al senso di appartenenza viene anteposto il featuring, il duetto. E se una volta il rap, come nei testi di Iastimo, parlavano della vita reale, oggi si inseguono modelli forniti dalle serie tv, dalla pubblicità, dai social media. 

«Oggi i testi parlano tutti della stessa cosa, prima il rap era la forma musicale con un registro così ampio da darti la possibilità di esprimerti in modi diversi e portare tanti contenuti. Molti rapper parlano di violenza: anche se spesso non la praticano, però la generano con i loro brani. Lo fanno perché così fanno ascolti, numeri, stream». 

Le canzoni del rapper messinese affrontano invece temi sociali, argomenti scomodi: dalla disabilità al gap linguistico con le nuove generazioni, dalla politica con Bravo Presidente alla dipendenza da droghe, tv, social media. Bassi potenti e ricchi di groove s’incrociano con synth e tastiere, un’orchestrazione di archi s’intreccia con le rime, in un impasto sonoro che magnifica l’hip hop. 

Fra i temi più sentiti da Iastimo quello della socializzazione. Lo affronta in Alfabeto DensoSocial Fiction e nel brano di chiusura Orrendo.

«Nel primo affronto il problema della incompatibilità linguistica fra noi ed i giovani, mentre in Social Fiction sposto l’attenzione sul rapporto tra noi e i social media, Orrendoconclude questo discorso che mi fa vedere un mondo orrendo. Guardandomi attorno, ai miei problemi di disabilità, al ritorno di droghe che erano scomparse, ho una visuale orrenda, è il fermo immagine di un futuro distopico».

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *