– In dodicimila sono accorsi al concerto dell’artista americano. Una grinta ritrovata che ha messo in luce nel concerto
– «Sono cresciuto ascoltando Ciajkovskj, ma sono stati i Jackson Five a farmi scegliere la carriera musicale»
In dodicimila sono accorsi all’Arena Santa Giuliana di Perugia per il concerto di Lenny Kravitz, ospite di Umbria Jazz. Numeri da concerto rock. D’altronde, il nostro Paese ha sempre avuto un occhio di riguardo per il musicista di colore, e il pubblico ha sempre ben reagito al talento di questo figlio della New York bene, per metà di sangue ebreo e per metà bahamiano, che cammina da solo e che è riuscito a emanciparsi dal limbo della ricchissima borghesia della Grande Mela. La dimostrazione: il celebrativo Greatest Hits, uscito nel 2000 nel nostro Paese, ha venduto oltre 500mila copie.
Lo scorso 26 maggio ha toccato quota 60 anni, ma il fisico asciutto ed i tratti gentili fanno sì che Leonard Albert Kravitz mantenga fede al titolo di sex symbol del rock americano. Un titolo che lui ha sempre rifiutato e che, anzi, gli dà fastidio. Non si sente neanche una rockstar: «È una definizione superficiale, sono soltanto un musicista, il resto sono palle». Nel suo background confluiscono jazz, R&B, citazioni hendrixiane, funk e tanto rock: Beatles, Led Zeppelin, Rolling Stones. «E poi Ciajkovskj», aggiunge sorridendo. «Mia madre me lo faceva ascoltare quando avevo 4 anni. Mi leggeva anche poesie e libri. Attraverso i miei genitori ho conosciuto Miles Davis, Duke Ellington, Lionel Hampton, Count Basie. Prima, quand’ero bambino, per me erano soltanto amici dei miei. Poi ho capito quanto erano importanti. Ma sono stati i Jackson Five a farmi scegliere la carriera musicale».
Il suo cuore batte a New York: «Sono cresciuto lì e ho avuto una grande infanzia». Ha vissuto a Miami, città che odiava: «È il cuore pulsante della musica in America, ma è una città difficile per la gente di colore. Ancora negli anni Sessanta mio nonno aveva bisogno di un pass per entrare in spiaggia dopo le 18». Adesso è tornato a stare nelle Bahamas, nell’isola di Eleuthera, dove ama trascorrere la maggior parte del suo tempo e dove possiede una magnifica dimora. Qui accoglie i suoi amici, fra cui Taylor Swift e Joe Alwyn.
Il cinema lo attrae, «amo Fellini, Allen, Scorsese e Forman», ma per debuttare sul grande schermo si è dovuto scrivere il film: «Mi offrivano soltanto parti di assassino o spacciatore, così ho deciso di scrivere io la sceneggiatura». Non è però andato in porto. Tuttavia, gli è stata riservata una parte nei due capitoli di Zoolander e in quelli di Hunger Games e due anni fa in Un matrimonio esplosivo.
Blue Electric Light, il disco pubblicato quest’anno, è il miglior album del rocker degli ultimi anni. C’è gioia e spavalderia in quasi tutte le tracce, con Kravitz che mostra il suo talento per aggiungere alle canzoni chitarre sbalorditive qui, un assolo di sax lì. Una grinta ritrovata che ha messo subito in luce in apertura di concerto, prima con la vecchia Are you gonna go my way e poi con alcuni brani del nuovo lavoro, come TK421 e Paralyzed. Non sono mancate alcune delle hit più note e celebri che inevitabilmente conquistano la scena consolidando la maestria di Kravitz nel rock’n’roll dal soul profondo.
«Celebriamo insieme la vita questa sera» afferma prima di attaccare con I belong to you e Stillness of heart. Sul finale in acustico di quest’ultimo brano scende poi dal palco e va verso la prima fila per far cantare anche il pubblico gridando in italiano «fortissimo». A seguire arrivano Fear, Low e The chamber, brano con il quale presenta anche la solidissima band che lo accompagna. Il finale è in crescendo con It ain’t over ‘til it’s over, Again, Always on the run, la celeberrima American woman e Fly away.
L’Arena del festival, quella riservata ai grandi eventi, dopo questa parentesi rock e soul domani apre il sipario al grande jazz, con una formazione che rappresenta ai massimi livelli il jazz che si suona negli anni Duemila: Chris Potter (sassofono) si unisce a Brad Mehldau (pianoforte) per creare con John Patitucci (contrabbasso) e Johnathan Blake (batteria) un quartetto che si accredita come una vera e propria super band. A seguire si esibirà anche la Gil Evans Remembered, formazione che riunisce i principali musicisti delle orchestre di Evans degli anni Settanta e Ottanta.