Interviste

Le poesie sonore di SIMONA NORATO

– “Enigmistica”, album in uscita il 3 giugno, segna una svolta per l’artista palermitana: esce dal tracciato della forma canzone, per orientarsi verso una liofilizzazione del teatro d’avanguardia nel lessico della musica pop. Laurie Anderson, della quale rilegge “From the air (Nessun pilota)” e St. Vincent fra i suoi riferimenti. Il 19 giugno concerto a Palermo
– «L’esperienza con Iosonouncane mi ha aperto la prospettiva e mi ha svelato il modo per creare suite-canzoni, come le chiamo io. Composizioni in cui il testo continua a essere centrale, però può succedere anche altro». «L’enigma totale è proprio l’uomo e la prima che guardo in questo mistero sono proprio io allo specchio»
– «Mi sono cancellata la faccia sulla copertina del disco, perché mi sembrava molto più aderente al tempo che attraversa la discografia: questo livellamento senza volto di migliaia, milioni di produzioni musicali». «Con Iotatola tentai di infilarmi nel sistema, ma poi mi sono ammutinata e sono scesa dalla barca: ho preferito ascoltare la mia poetica, fare produzioni artigianali»

Simona Norato è una di quelle “eccellenze” della musica siciliana che potrebbe ben figurare su prestigiosi palcoscenici internazionali. Antidiva, rifugge dai riflettori e preferisce mantenere un basso profilo. Un difetto, per alcuni. Un pregio per chi ama la musica libera da ogni imposizione del mercato. Lei davanti al bivio non ha avuto esitazioni.

«Ho provato nella vita a infilarmi dentro il sistema musicale italiano, ed era ai tempi di Iotatola», racconta l’artista palermitana. Era il 2010 e a quel tempo «avevo energia, poca coscienza, insomma tutti i requisiti che ci vogliono per entrare in quel circuito», continua Simona Norato. «Ma la mia natura non mi ha permesso di farlo. Infatti, feci un ammutinamento e abbandonai la barca, capendo che avevo invece voglia di fare produzioni più lente, artigianali, di perder tempo, di ascoltare la mia poetica anche se non era destinata a fruttarmi né in notorietà né in denari, ma faceva bene a me come artista e scongiurava tutti quegli effetti collaterali che invece cominciano ad arrivare quando ti sforzi di piacere o di stare dentro una forma che piace».

Simona Norato (foto Giulia Bersani)

Simona comincia a suonare per altri, affiancando come polistrumentista Cesare Basile, Antonio Dimartino, Enrico Gabrielli, Rodrigo D’Erasmo, Manuel Agnelli, Cristina Donà, Diodato, Jacopo Incani (più noto col nome d’arte Iosonouncane). Ritagliandosi tutto il tempo di cui necessita per produrre i suoi lavori – La fine del mondo (2014) e Orde di brave figlie (2018) – cesellando fino in fondo ogni brano. Creando piccoli monili o, come le definisce lei, «statuine di cristallo, sulle quali ho perso tanto tempo».

Come le otto tracce che compongono Enigmistica, l’album in uscita martedì 3 giugno che segna una svolta nella carriera di Simona Norato: esce fuori dal tracciato della forma canzone, per orientarsi verso una poesia sonora, una liofilizzazione del teatro d’avanguardia nel lessico della musica pop, dove i suoni sintetizzati si armonizzano e convivono perfettamente con quelli analogici.

«Mi sto allontanando, per fortuna, dalla forma canzone», sospira. «Perché era un intento. Si è evoluto anche rispetto agli altri autori con cui ho lavorato: mi hanno liberato, soprattutto Jacopo Incani. Probabilmente è l’esperienza con lui che mi ha aperto la prospettiva e mi ha svelato il modo per creare suite-canzoni, come le chiamo io. Composizioni in cui il testo rimane, continua a essere centrale, però può succedere anche altro».

  • Poesie sonore, un collage di parola parlata, tecnologia, musica e teatro.

«È una teatralità che ho sempre avuto, probabilmente in performance, nell’esecuzione. Solo che in performance l’ho sempre vissuta come un eccesso della mia espressione. Ora sta succedendo che si trasferisce nella composizione, è come se avessi limato anche i suoi manierismi. Per me rimanere in una neutralità espressiva paradossalmente è anche molto più potente che caricare il teatro. Sì, mi interessa l’espressione “post-modernista”, per dirla alla Laurie Anderson. Sganciata da tutto ciò che prima veniva definito, categorizzato, analizzato. La mia ricerca va in quel senso».

  • Laurie Anderson viene evocata nella cover di From the air (Nessun pilota), prima versione italiana di un brano tratto da Big Science e concesso dalla stessa artista americana. Nel pezzo veniamo catapultati dentro un countdown all’inizio di un viaggio verso la fine.

«E nel quale neanche canto come lei: è tutto uno parlato musicale che sicuramente ha una potenza inestimabile nel catturare chi ascolta e portarlo in un altro luogo. Laurie Anderson per me è iconica, tanto, tantissimo. Me la prendo un po’ come una Madonna… e ho velleità di performare anche io senza limiti. Il prossimo 19 giugno ho un concerto di presentazione del disco a Palermo e sto lavorando proprio con l’intenzione di distruggere la quarta parete e provare a fare un’opera totale con la gente. Mi piace l’idea di lasciare le persone turbate».

  • In Pater Noster e Big Babol senza fine mi sembra di avvertire dei richiami a St. Vincent.

«Annie Clark (in arte St. Vincent, ndr) è un altro mostro. Di lei amo moltissimo il chitarrismo, l’approccio alla chitarra. L’ho suonata tanto nel mio privato. Adesso lei è diventata parecchio famosa, io amo molto invece il suo primo periodo. La vidi una dozzina di anni fa, quando il biglietto per il suo concerto a Milano costava 10 euro, in una sala sottoterra di un teatro, e quel periodo come espressione libera mi piace moltissimo, nonostante i suoi intenti pop».

  • Pater Noster è l’adattamento di una poesia di Prévert. “Padre nostro che sei cieli / Restaci / E noi resteremo qua / Sulla terra”, recita.

«Ho contrapposto la poesia di Prévert a quell’atto di coscienza che chiede Laurie Anderson nella sua canzone: “Questo è il momento e questa è la registrazione del momento, stiamo precipitando insieme”… L’ho contrapposta come orgoglio umano della nostra contraddittorietà: è una espressione di spocchia davanti addirittura a Dio, al quale Prévert dice: “Noi siamo qui e qui restiamo” con le nostre bellezze e le nostre ultra-brutture. Mi piaceva questa forma di sarcasmo davanti a Dio».

  • Accompagnata da una ballad, Lolita vive nello sguardo voyeuristico degli altri che la sognano. “Lolita dai”, canti. È un incitamento a liberarsi o una richiesta a concedersi?

«È più una richiesta a concedersi. È questa figura femminile davanti ad altri esseri umani più capaci di lei di esistere e di incontrarsi. È uno sguardo su questa solitudine. E, quindi, c’è un incitamento: “Dai Lolita non cadere nel pozzo”, come spesso il femminile è portato a fare».

Simona Norato (foto Giulia Bersani)
  • In diversi pezzi accenni a relazioni in crisi: Complimenti per la casaBig Babol senza fine e nella straordinaria Fame.

«Sì… Fame parla di cannibalismo di relazione. Continuiamo a cannibalizzarci io e te, perché? Cerchiamo di sedare questa fame in un altro modo o continuiamo a mangiarci a vicenda? È una canzone, come le altre, che vuole buttare l’occhio in quel momento in cui dobbiamo scegliere. Io sono maniacalmente attratta da questo lato dell’essere umano. Questo dubbio davanti all’atto di coscienza: voglio essere cosciente o continuo a sguazzare nel comfort dell’incoscienza? Sono una umanista da questo punto di vista. Mi affascina questa contraddittorietà, basta guardare il mondo, specie oggi: non riusciamo a volte a criticare fino in fondo questa contraddittorietà. Però mi affascina allo stesso tempo».

  • Quindi non sei una “enigmistica”?

«Se ci pensi è un mistero. Sono una grande appassionata di mistero. L’enigma totale è proprio l’uomo e la prima che guardo in questo mistero sono proprio io allo specchio. E non voglio risolvere questo mistero: mi sembra un passo verso una certa forma di noia esistenziale». 

  •  Sulla copertina del disco sei raffigurata senza volto nella posa di una giavellottista mentre lanci una sorta di paletto, tipo quelli per ammazzare i vampiri.
La cover dell’album

«Fa parte di uno shooting che avevo fatto qualche anno fa. Poi, nel momento in cui bisogna scegliere una copertina che ti rappresenti, si vanno a scartabellare un po’ tutti gli archivi. Io sono una fan del ritrovamento nel passato, come se avessi immortalato con una premonizione un momento futuro. Ho pescato questa foto, alla quale ho cancellato io la faccia. Eravamo fra i campi di Medicina, vicino a Bologna, dove c’è un Osservatorio astronomico e lì abbiamo trovato quel paletto. Mi piaceva la posa plastica del lanciare un’idea: se penso alla potenza di un giavellotto sicuramente penso a quanto può essere affinata e penetrante un’idea. E poi mi sono cancellata la faccia, perché mi sembrava molto più aderente al tempo che attraversa la discografia, italiana in particolare, ma anche un po’ in generale: questo livellamento senza volto di migliaia, milioni di produzioni musicali. È una sottolineatura a una sobrietà imposta dal sistema».

  •  Hai accennato allo spettacolo del 19 giugno, quando allo Spazio Franco dei Cantieri culturali alla Zisa di Palermo presenterai l’album. Sarai affiancata dai musicisti con i quali hai registrato Enigmistica? Ovvero, Angelo Di Mino (violoncello), Beppe Scardino (clarinetto basso e sax baritono), Lorenzo Manfredini (trombone) e Giulio Scavuzzo (batteria).

«Non posso riunirli tutti, perché molti sono colleghi con cui ho lavorato al nord. Però, la persona con cui ho registrato il disco in presa diretta, ovvero il batterista palermitano Giulio Scavuzzo, ci sarà. Per cui sarà un set percussivo con il mio parco di tastiere, non so più quante ne abbia attorno, sette, otto… Ci sarà il violoncellista Angelo Di Mino, che suona in un paio di brani, per il resto ci saranno delle “invenzioni”: infilerò delle presenze in mezzo al pubblico che durante il concerto mi aiuteranno a perforare la quarta parete, cantanti, attori. Sto scrivendo una performance per gente seduta in mezzo alle persone».

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