Interviste

Le due anime di KABALLÀ

– Pippo Rinaldi, in arte Kaballà, festeggia i 33 anni di “Petra lavica”, un album iconico nel quale il pop parla siciliano. Quattro brani inseriti nella colonna sonora del film “Paradiso in vendita” di Luca Barbareschi
– Come una sorta di Elio Vittorini 2.0 in versione musicale, il cantautore calatino guarda alla sua terra da Milano: «La mia è una Sicilia della memoria». Feste a Catania e Milano per la riedizione dello storico disco

Con la Sicilia Pippo “Kaballà” Rinaldi ha avuto un rapporto contrastato. «Fino all’università sono rimasto a Catania, poi a 24 anni la fuga a Milano», racconta. «Negli anni Settanta rifiutavo le mie origini. È stato Francesco Virlinzi, negli anni Ottanta, ad aiutarmi a ricomporre il mio rapporto con l’Isola. Che io ho maturato in musica».

Oggi la relazione con la sua terra è più serena. Pur mantenendo Milano come base di partenza, Kaballà torna più spesso. Per un tuffo nel mare ragusano o per un incontro creativo con l’amico Mario Venuti, con il quale forma una collaudata e apprezzata coppia d’autori di canzoni di successo. Fra nostalgia e futuro. Sicilia coacervo di bellezza e imperfezione, Milano centro nevralgico, propulsivo. Vivere a Milano ed essere profondamente siciliano.

«La mia è una Sicilia della memoria», commenta. «È l’idea della Sicilia che mi hanno trasferito Elio Vittorini e Vincenzo Consolo, scrittore che ho frequentato poco prima che morisse e con il quale ho dialogato spesso. È un’Isola che vivi da lontano, che ti appartiene culturalmente, piuttosto che fisicamente».

È la Sicilia di Verga, Vittorini, Sciascia, Brancati e Consolo che riaffiora nella memoria di Kaballà. La letteratura rimpallata con la musica e poi con il cinema, quello di Visconti, Taviani e Sebastiano Gesù. «La mia formazione non è folk, io vengo dal pop, dal rock», tiene a sottolineare. «L’innesto della Sicilia mi ha fatto abbracciare il dialetto, che manipolo e contamino mettendoci dentro le mie passioni: la canzone d’autore, la musica leggera. Per fortuna la maionese non è impazzita».

Tutt’altro. Tant’è che l’anniversario del suo primo e storico album Petra Lavica è festeggiato dalla Sicilia a Milano. Non solo. Il caso ha voluto che quattro brani – Petra lavicaQuantu ci voliFin’a dumani e Sutta lu mari – fossero inseriti nella colonna sonora del nuovo film di Luca Barbareschi Paradiso in vendita con Bruno Todeschini, Donatella Finocchiaro, Domenico Centamore, presentato alla Festa del Cinema di Roma e presto nelle sale. 

«Il film è una coincidenza supercasuale», precisa ridendo Kaballà. «Volevo uscire per il trentennale. Ma c’era stato il Covid, i tempi non combaciavano, il materiale non era facilmente reperibile perché c’era una major di mezzo. Quando ormai era passato il trentennale, c’è stato un episodio importantissimo: l’incontro con Rodolfo “Foffo” Bianchi (uno dei più importanti fonici e ingegneri del suono italiani, ndr) che mi disse: “Per me quel disco è un capolavoro, sono a tua disposizione”. E poi ho ritrovato gli amici: Paolo Corsi, che è stato il mio primo editore e continua a seguirmi, Mario Cianchi, che è un mio allievo e ora è un giovane imprenditore discografico, e naturalmente Nuccio La Ferlita con il quale lavoro ormai da trent’anni. Con il loro aiuto è partito tutto e casualmente ci siamo trovati questo 33. Che mi suonava bene, perché è un numero ricorrente per tante simbologie in Kaballà e perché è la forma del vinile, il 33 giri. Insomma, nell’originalità di Petra lavica c’è anche l’originalità non consona dell’anniversario numero 33. Il film è arrivato dopo: Luca Barbareschi mi ha telefonato questa estate, quando le operazioni del disco erano ormai molto avanzate. Anche con lui ci siamo ritrovati dopo trent’anni: durante il mio secondo album, avevamo fatto un film in Russia, allora Unione Sovietica, intitolato La delegazione e diretto da Alexander Galin. La protagonista era una sorta di Anna Magnani russa, un’attrice molto iconica, si chiamava Inna Čurikova, oggi non c’è più. Un film cult in Russia, un flop in Italia. Adesso Barbareschi aveva questa commedia collettiva, divertente, girata a Filicudi, d’identità siciliana e lui ha pensato a me. Però c’era poco tempo a disposizione per comporre una colonna sonora. Lui mi ha convinto dicendo che aveva scelto alcune canzoni del mio primo disco: Petra lavicaQuantu ci voliFin’a dumani e Sutta lu mari. Quest’ultima è in una versione nuova, quasi tutta strumentale, con la fisarmonica di Antonio Vasta con cui ho condiviso la colonna sonora. Diciamo che il film è stato un regalo in più per Petra lavica».

Pippo Rinaldi, in arte Kaballà (la foto in apertura è di Charley Fazio)

Un altro regalo è stata la grande manifestazione di affetto con cui la Catania rock d’un tempo lo ha accolto il 19 novembre per la presentazione del progetto. C’erano tutti: Mario Venuti, l’amico e complice di sempre, Carmen Consoli, al cui successo Pippo Rinaldi contribuì ai tempi di Amore di plastica, Luca Madonia, Carlo Muratori, Ivan Segreto, Salvo Piparo. E anche nuovi amici: Enzo Benz e L’Elfo. Mentre dall’alto guardava e sorrideva Francesco Virlinzi che di quell’epoca d’oro fu l’artefice indiscusso. Stessa accoglienza a Milano giovedì 28 novembre alla Cas’a Cascina Sant’Alberto, dove ad accoglierlo ha trovato altri amici: il noto produttore discografico e direttore artistico Stefano Senardi e il dj e speaker radiofonico Alex Peroni, «che a Studio 105 passava Petra lavica, invece di Fin’a dumani», ricorda Kaballà. «A Catania il cuore, la parte sentimentale e creativa, a Milano la parte musicale, discografica, propulsiva, moderna: le mie due anime».

«Io sono un federatore, quando riesco a riunire artisti lo leggo come un senso di affetto, di appartenenza», continua Pippo Rinaldi. «Carmen è stata una sorpresa: è stata lei a chiedermi di partecipare all’incontro. Tutti facciamo parte di un unico ceppo che abbiamo sviluppato in diverse maniere e io penso di essere stato un seme abbastanza importante per tutti. Non sono un tipo nostalgico, mi piace citare l’amico Mario (Venuti) e chiamare questa operazione “nostalgia del futuro”».

Petra lavica fu la prima pietra di questa operazione: nostalgia per una Sicilia che non c’è più, guardando avanti, alle nuove musiche, pop e canzone d’autore rivestite con un siciliano parlato. Acclamato dalla critica, l’album è diventato un simbolo di contaminazione sonora, grazie anche alla produzione con Gianni De Berardinis e Massimo Bubola ed agli arrangiamenti di Lucio Fabbri. Sembrava stesse nascendo un nuovo suono siciliano sulla scia del newpolitan sound. Invece.

«A macchia di leopardo qualcosa c’è stato anche qui, se pensi a Cesare Basile o Lello Analfino. Poi c’è stato il desiderio di rendere onore a Rosa Balistreri, a Ciccio Busacca, al cunto. Ho grande rispetto per il folk, però rivendico la mia storia musicale. Tant’è che adesso faccio pop, per altri, in italiano. Con Mario ho fatto canzoni pop. Non c’è stato un filone come a Napoli. Per quanto noi abbiamo una cultura e una storia, restiamo subalterni. D’altronde fin da tempi remoti la musica e la cultura che hanno conquistato dignità mondiale sono state quelle napoletane. Questo non toglie niente al sardo, al friulano, al siciliano, al pugliese, ma il napoletano ha un vantaggio culturale e linguistico enorme. L’importanza della cultura musicale partenopea va da De Simone e Murolo a Pino Daniele, Napoli Centrale, Osanna e oltre. Noi abbiamo provato a macchia di leopardo. D’altronde lo stesso De André con Creuza de mä è rimasto un episodio per la Liguria».

Anche Petra lavica è rimasto un episodio. Le sortite discografiche di Kaballà dal 1991 sono state rarissime, tanto che si possono contare sulle dita di una mano. Mentre la sua firma appare in decine e decine di canzoni portate al successo da altri interpreti, da Placido Domingo a Eros Ramazzotti, da Antonella Ruggiero ai Baustelle, per citarne soltanto alcuni.

«Colpa della mia ritrosia, che dura da decenni, e della mia maniacalità nel lavoro. Sono molto esigente con me stesso. Se non riesco a fare una cosa egualmente dignitosa, meglio evitare. Questa pavidità mi ha frenato, oltre al mio mestiere per mantenere la famiglia, perché scrivere per altri non è come scrivere per te che sei di nicchia. Poi passa il tempo, cambia la musica, i suoni sono cambiati, non esiste più la discografia di una volta».

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