– L’etichetta francese pubblica il primo volume di una serie di album che mettono in discussione il ruolo del solista nella musica improvvisata: echi hip hop si fondono con trance, afrobeat, free
– «Questa esperienza di orizzontalità creativa mira a generare una musica che, anche se fa parte del “campo jazz”, non produce un discorso governato dai referenti culturali di uno specialista»
La parola “brut” deriva dal francese e significa “puro, grezzo”. È un’indicazione che si trova sulle etichette degli champagne e serve a definire la quantità di zucchero presente. In questo caso è secco e non dolce.
La stessa definizione è stata adottata dall’etichetta francese Q-Sounds Recording per una serie di album intitolata “Jazz Brut”, appunto, che offrirà opportunità per una sessione di registrazione che riunisce musicisti senza alcuna gerarchia e che mette quindi in discussione il ruolo del solista nel jazz. «Questa esperienza di orizzontalità creativa mira a generare una musica che, anche se fa parte del “campo jazz”, non produce un discorso governato dai referenti culturali della pratica di uno specialista», spiegano.

Musica pura, grezza, secca, come si ascolta nel primo volume pubblicato: echi hip hop si fondono con i profumi spirituali della trance e del free jazz, tra gli esperimenti di John Dwyer, i lampi abbaglianti di François Tusques, le produzioni di Jeff Gilson o il “fiddling” del beatmaker Madlib. I musicisti coinvolti in questo primo esperimento sono il chitarrista Harysson Jean-Baptiste, il chitarrista e percussionista Jérõme Makies, il tastierista Ludovic Bors, il batterista Schaël Michanol ed il chitarrista e percussionista Loic “Butcher” Betems.
Slow Motion è il brano di apertura, un motivo ipnotico che funge da base per un’improvvisazione di beat hip hop lenta e pesante. Il basso si contorce lentamente facendo oscillare il mondo sonoro al ritmo dei vortici di Rhodes.
Nella successiva Twisted Cloud, la campana iniziale lascia il posto a un set di basso e batteria che esplora l’eredità di Broken Beat e Jungle in modalità lo fi. Il tema ultra-minimalista apre la strada alle digressioni spirituali e sintetiche di Juno e Rhodes in un’atmosfera jazz spirituale. Per concludere questo primo lato, Black & Black si tuffa di nuovo nelle radici hip hop dei musicisti, aprendo lo spazio per un’improvvisazione semplice e luminosa ancorata al loop di basso oscuro e al suo ambiente sonoro popolato da percussioni libere.

Smooth Girl apre il “lato B” con una lunga voce di flauto che sviluppa il suo lamento sciamanico su un beat ternario con accenti afrobeat sottolineati dagli interventi liberi del balafon. Poi arriva Particles & Dust, che si concentra sulla trance attraverso una base apertamente house music e un crescendo guidato dai synth. “Space is the Place” avrebbe detto Sun Ra.
Infine, We Are the Dark Lighto of the Universe conclude il disco con una lunga epica psichedelica improvvisata. Su un beat con un metro dispari, il fuzz e l’organo dispiegano strati successivi di una materia oscura e in movimento e tuttavia così intensa da illuminare l’oscurità da cui proviene.
Alla fine della degustazione, pardon dell’ascolto, si rimane con lievi sentori di frutta esotica, in secondo piano minerale e chiodi di garofano. Il risultato finale è sapido e restituisce il suo carattere, dando corpo e persistenza ad un suono di sicura longevità. Con questa nuova creazione, Q-Sounds Recording aggiunge la sua pietra all’edificio della musica improvvisata.