– La violoncellista Veronica Lo Surdo, in arte Vera Ester Issel, racconta la sua battaglia contro la “distonia focale” (o del musicista) che non le consente di usare la mano sinistra
– Il suo progetto attraverso il quale porta sul palco non solo musica, ma anche un messaggio di speranza, e il sogno di suonare al Teatro Massimo di Palermo con Giovanni Sollima
– «La tecnica che sto sperimentando consiste nel suonare con un dito solo. Recentemente mi sono fatta costruire un tutore che sto provando e che mi aiuta a tenere le dita rilassate»
Si chiama “maledizione di Apollo” e colpisce chi fa musica. In termini scientifici, è la distonia focale, un disturbo che si manifesta con la perdita di controllo motorio volontario di alcuni schemi usati per suonare lo strumento. «È una patologia neurologica che colpisce un punto preciso. Ci sono vari tipi di distonia, quella dei musicisti colpisce sulla base dello strumento che si usa: si può manifestare con la perdita del controllo della mano per chi suona strumenti a corda o può invalidare la lingua, il palato o la bocca a chi soffia negli strumenti a fiato», spiega Veronica Lo Surdo, violoncellista piemontese che rientra in quell’1% di musicisti professionisti che ha sviluppato la distonia focale.
È un disturbo che non si rivela soltanto quando si mette mano allo strumento, ma è una costante nella vita. «Perché è una patologia neurologica», prosegue Veronica. «Quando suono è molto più evidente, perché faccio fatica ad articolare le dita. Durante il giorno sono abbastanza allenata. All’inizio, quando ho scoperto di averlo, facevo fatica anche a prendere un bicchiere in mano, poi con calma, lavorandoci, adesso ci riesco. Però, anche durante il giorno, ho spasmi muscolari».

In Veronica si è manifestato quando ha cominciato a suonare il violino, il suo strumento preferito. Appena cominciava a toccare le corde, l’anulare della mano sinistra si irrigidiva, con la catastrofica conseguenza che anche il resto della mano risultava rigido e che quindi non riuscisse a suonare bene. Inutili i consulti con i medici, né i tentativi di trovare una cura: «Purtroppo se ne parla ancora poco. Non esiste una cura ed è anche difficile prevenire». Veronica ha poi tentato con altri strumenti: prima il violoncello, poi l’arpa. «L’ho suonata per cinque anni, poi ho di nuovo smesso, perché avevo seri problemi e le corde dell’arpa sono molto molto dure e quindi facevo troppa fatica».

In gran parte dei casi, il disturbo pone fine alla carriera. E Veronica più volte è stata sul punto di arrendersi. Tanto da vendere il suo amato violoncello. Finché un giorno una sua amica non le offrì l’occasione di insegnare lo strumento. «Mi mandò una sua allieva e così mi sono ricomprata il violoncello a fine dicembre 2019», racconta la musicista di Moncalieri. «L’anno seguente con tutto quello che è successo, siccome stavamo tutti a casa, ho cominciato a sperimentare di nuovo ed a suonare con un dito solo. Non brani d’orchestra, ovviamente, ma pian pianino ho creato un mio concerto».
S’intitola Shemà Israel e unisce l’improvvisazione violoncellistica con brani originali a canti della tradizione ebraica. Uno spettacolo importante per Veronica per diversi motivi. Il primo perché la ricollega con le sue origini, che sono ebree, intuibili anche dal suo nome d’arte Vera Ester Issel. «Da parte sia di mamma sia di papà abbiamo origini ebraiche e Vera Ester Issel era il nome della mia bisnonna paterna. L’ho scoperto in tarda età di avere origini ebraiche, mi sono convertita all’ebraismo e da qui è partita questa voglia di cantare in ebraico e di portare questo concerto in giro». Dal 2021 sino all’anno scorso, non a caso i concerti, molto inerenti al tema della Shoa, sono stati incentrati sui luoghi della memoria: al Memoriale di Milano, a Roma, in vari ex manicomi.
L’altro motivo per il quale Shemà Israel è un progetto fortemente sentito dall’artista è perché è una sfida personale, attraverso la quale porta sul palco non solo musica, ma anche un messaggio di speranza e determinazione che tocca profondamente il pubblico. Nel concerto sperimenta una tecnica legata alla distonia che le consente di affrontare con più serenità l’impegno. «Consiste nel suonare con un dito solo. Recentemente mi sono fatta costruire un tutore che sto provando e che mi aiuta a tenere le dita rilassate. I miei brani sono strutturati per semitoni. Io mi sposto con la mano sinistra su una corda sola, e utilizzo le altre corde con l’arco».

Non ultimo, l’aver presentato Shemà Israel tre anni fa al Teatro Andromeda sui Monti Sicani a Santo Stefano Quisquina (Ag) in occasione del Solstizio d’estate. «Mi aveva contattato Libero Reina, al quale avevo inviato una demo. Ho fatto da apertura al suo concerto. È stata una esperienza meravigliosa. Mi piacerebbe ritornare da solista o in quartetto d’archi».
«Spero anche io che un giorno riusciremo a rifare quella esperienza», le risponde dalla Sicilia Libero Reina. «Ho un ricordo molto bello di Vera, e rammento benissimo il suo stupendo violoncello. Il suo modo di fare musica e soprattutto la sua ricerca musicale mi hanno ispirato molto. Ha sempre avuto le idee chiare!».
Come conferma nei suoi progetti, che la vedono protagonista sia da solista sia in gruppo, e nei suoi obiettivi. «Ho conosciuto compositori che hanno scritto brani per me e ho un progetto insieme a due mie colleghe – una suona la viola e l’altra il violino ed entrambe lavorano con ragazzi con disabilità- per riarrangiare i miei brani per violoncello solo e orchestra. D’altronde la mia composizione L’albero e la luna è stata eseguita sia come solista che con orchestra: è nata dall’improvvisazione, poi ha cominciato a prendere corpo e una struttura e l’ho trascritto in musica. Di fatto, tutti i miei brani sono nati da improvvisazioni. Mi piacerebbe tanto conoscere Giovanni Sollima e parlargli della mia storia. Lui è un bravissimo improvvisatore. Uno dei miei desideri sarebbe quello di tenere una masterclass in Conservatorio a Palermo e suonare al Teatro Massimo».