Interviste

La casa dei BRIGAN è piena di sorprese

– Esce oggi il nuovo album del collettivo mediterraneo intitolato “Luce, cera e vino”: «Perché è un disco ideato e registrato in sessioni notturne e anche l’immaginario è notturno»
– «È un lavoro molto più intimo rispetto al precedente. È un invito all’ascolto, al racconto, al ritrovarsi al termine di una giornata su una sedia in casa attorno al focolare domestico»
– La musica popolare guarda al futuro: strumenti tradizionali di diversi Paesi duettano con l’elettronica, Depeche Mode e neomelodico, Pasolini e don Peppe Diana, sacro e profano
– “Agata” per denunciare le «“inquisizioni” che abbiamo oggi a livello politico e sociale e sottolineare il forte legame che esiste fra la Campania e la Sicilia». La Terra dei fuochi emerge con i suoi orrori

Fresco o, meglio, gelato reduce dalla missione artica a Gamivik, il villaggio più a nord della Norvegia, il collettivo “mediterraneo” Brigan si scalda al focolare domestico di una casa immaginaria, ritrovo di una famiglia, di una comunità. È la casetta raffigurata all’interno della copertina di Luce, cera e vino, il nuovo lavoro della formazione campana per la Liburia Records, in uscita oggi, giovedì 20 marzo.

Francesco Di Cristofaro (voce, fiati, cornamuse, fisarmonica e plettri), Andrea Laudante (elettronica, pianoforte, field recordings) e lo spagnolo Ramon Rodriguez Gomez (percussioni, elettronica) si muovono borderline. Hanno dapprima viaggiato da campani fra le brume della Galizia, per poi riscoprire le origini portando con loro il bagaglio di esperienze accumulate nei frequenti tour all’estero. Questa volta si immergono nel profondo del loro inconscio, in un mondo intimo, fatto di ricordi, storie, leggende, letture. Un mondo personale, sognante, notturno, come lascia intuire il titolo dell’album.

La copertina dell’album

«Il disco è stato ideato, lavorato e registrato sempre in sessioni quasi notturne», spiega Francesco Di Cristofaro. «Un po’ tutta la linea di guida dell’album è molto notturna, anche come immaginario. I tre elementi che hanno rappresentato questo nostro mondo notturno sono stati la luna, la cera, intesa come la luce di candela, e il vino, che ha fatto da carburante. Rispecchia anche l’immagine grafica della casetta che sta all’interno del disco con il fumo che esce dal camino, una luce molto notturna. E questa immagine richiama una dimensione molto più intima rispetto al precedente Liburia Trip, che era disco più aperto. Questo invece è molto più personale anche nella narrazione. È una sorta di racconto. Anche l’idea della sedia in copertina è come un invito all’ascolto e al racconto. A ritrovarsi».

  • È un album in cui sacro e profano si alternano. s’intrecciano. Sin dall’iniziale Si mme perdo: riti o marce funebri, invocazioni, preghiere.

«Nel primo brano dell’album – Si mme perdo – abbiamo richiamato Il “miroloi”, sorta di canto funebre utilizzato in Grecia. Non a caso, nel pezzo suona Nikos Angousis, uno degli esponenti principali del clarinetto in Grecia. Lì i riti funebri erano anche simboli di ritrovo della comunità. La morte di una persona della comunità era un modo per ricordare la vita, era anche il cercare di creare una unione nella comunità. Un po’ la linea del disco si rifà a questo concetto: cercare la propria identità, cercarla però anche con gli altri, con le persone che ci circondano».

  • Il racconto della comunità resta al centro del discorso dei Brigan, come nel brano Sale.

«È il brano che parla della grande problematica della Terra dei fuochi, dove viviamo: un territorio che è conosciuto per questioni legate alla criminalità, ma anche per i continui focolai, roghi tossici, gli effetti sulla salute. È un modo per raccontarci anche sotto quest’altra prospettiva. L’aspetto personale, identitario e comunitario».

  • Sale sembra quasi una invocazione.

«Sì, diciamo che è una linea di mezzo fra la rassegnazione e una osservazione del territorio e che, allo stesso tempo, è una invocazione, una preghiera per trovare speranza».

Da sinistra: Andrea Laudante (elettronica, pianoforte, field recordings), Francesco Di Cristofaro (voce, fiati, cornamuse, fisarmonica e plettri) e lo spagnolo Ramon Rodriguez Gomez (percussioni, elettronica), ovvero il collettivo mediterraneo dei Brigan
  •  In Povero figlio mio torna il tema della morte, suona come una marcia funebre, un rito voodoo.

«È uno dei pezzi non tradizionali del disco ed è un frammento preso dal “Canzoniere italiano” di Pier Paolo Pasolini, raccolto nel Casertano: è la storia di un suicidio per amore. L’amore, quindi, inteso anche come morte. Un’altra tematica che ritorna: il conflitto fra amore e morte. È pure il conflitto che noi abbiamo con la nostra terra, per la quale proviamo tantissimo amore ma al tempo stesso provoca delle vittime».

  • Il brano è collegato con la chiusura di ‘Mbriaco e stelle.

«Sì, la narrazione dell’ultimo brano è proprio la chiusura del cerchio. È il ritrovarsi seduti su quella sedia vicino al camino, abbandonarsi a chiusura della giornata, tutto finisce, le bestie ormai dormono, anche gli uccelli, tutto scema e ci si affida con la preghiera al cielo con l’invocazione finale. È un disco molto legato al sogno, legato al perdersi e al ritrovarsi».

Agata la Palermitana fu processata per stregoneria dal Tribunale della Santa Inquisizione dell’Arcidiocesi di Capua nel XVII secolo
  • Come rientra in questo discorso intimo e legato al vostro territorio la vicenda di Agata la palermitana evocata in Agata?

«Agata era palermitana, dalla Sicilia era arrivata a Capua, dove è stata condannata dalla Inquisizione perché accusata di eresia. Vuole sottolineare il forte legame del nostro territorio con la Sicilia, che è anche il tema del lavoro che ho in progetto di fare con Alfio Antico. È un brano di denuncia, l’Inquisizione è intesa come una sorta di censura, un divieto di parlare di alcune tematiche. Riportare quella storia all’attualità è una sorta di richiamo a tutte le “inquisizioni” che abbiamo oggi a livello politico e sociale».

  • Frate ‘nfame è l’altro brano non inedito.

«È una leggenda campana, nella versione casertana, ed è il secondo brano tradizionale. Tutti i brani sono di nostra composizione tranne questo e Povero figlio mio nel testo. Rientra nell’ottica della narrazione: inserire una leggenda nostra che si rifà al brano strumentale seguente, Vatt ‘o cannule, che è molto ritmico legato alla coltivazione della canapa. Abbiamo cercato di creare un ponte fra un brano e l’altro, come se fosse un unico sogno, dal discorso della morte al ritrovarsi, dal cercare e creare la comunità fino all’abbandono e al sogno finale».

  • Anche il recitativo Dint’a terra ‘nfosa serve a mo’ di introduzione di Sale?

«Sì, anticipa Sale ed è ispirato a un testo di don Peppe Diana che è stata una vittima della mafia. Lui, in un testo, parla del nostro territorio. Abbiamo preso spunto da una frase nella quale parla del profeta, che guarda al passato per vedere il futuro. Rientra nella tematica della Terra dei fuochi».

Peppe Diana è stato un presbitero, attivista e scout italiano, assassinato dalla camorra per il suo impegno antimafia

Nella accogliente casetta dei Brigan si sta bene. Si ritrovano i sentimenti e le sonorità, i colori e i calori di un mondo antico, aggiornati al mondo d’oggi, resi contemporanei incrociando falce, campanacci e campanelli con chitarre elettriche, bansuri, dvojanka, bouzouki, baglamas, marranzano, punteiro con sintetizzatori, tammorra, pandero de Peñaparda con field recordings. Il flauto gioca con l’elettronica in Vatt ‘o cannule, terminando in una taranta 3.0. Suoni industriali alla Depeche Mode accompagnano la processione di mamuthones nel lamento di Povero figlio mio. Gli Almamegretta fanno capolino in Si mme perdo. Un crescendo di percussioni carica di tensione la spettrale Agata fra marranzano e cori. Sale è da brividi, un capolavoro di richiami, neomelodico, Spagna, cinema: è il modello per una ballata sulla via delle musiche possibili. Ha l’incedere martellante e teatrale di una Via Crucis la preghiera di ‘Mbriaco e stelle che conclude l’album con un loop che sembra infinito come il firmamento. Luna, cera e vino è un disco che affascina, ammalia, carico di tensione, intensità e pathos, sempre imprevedibile: ogni traccia è una sorpresa.

Dalle notti calde del Sud, i Brigan torneranno nelle algide terre del Nord per ultimare un “ponte” fra il Mediterraneo e l’Artico con il progetto “Voci di Mare e di Vento / Márkku ja Jiekŋa”, nel quale è stato coinvolto il musicista e ricercatore Torger Vassvik, alla guida di un team “polare” dei Sámi, in Norvegia. Una avventura che si concretizzerà in inverno con un disco e un reportage.

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