– Ogni domenica, segnalisonori dà uno sguardo approfondito a un album significativo del passato. Oggi rivisitiamo un capolavoro dell’improvvisazione, uno degli album di pianoforte solista più venduti nella storia della musica
Nel mondo della musica jazz, pochi album sono riusciti a scolpire una traccia così profonda come The Köln Concert di Keith Jarrett. Pubblicato per la prima volta nel 1975, l’album è una eccezionale opera di improvvisazione solista al pianoforte. In questo lavoro, Jarrett si distingue per la sua straordinaria abilità di fondere insieme diverse tradizioni musicali, inclusi il jazz, il classico, il folk, e influenze minimaliste, creando un’esperienza sonora che è tanto intima quanto epica. L’album non solo ha conquistato il pubblico jazzistico, ma è stato anche uno dei rari dischi di improvvisazione solista a diventare un successo commerciale, vendendo milioni di copie in tutto il mondo.
Un capolavoro nato per caso
The Köln Concert è stato registrato “live” il 24 gennaio 1975 all’Opera di Colonia (Köln), Germania. Tuttavia, l’evento dietro questa storica esibizione è in qualche modo anomalo e quasi non sarebbe avvenuto. Keith Jarrett, all’epoca già un pianista di fama mondiale, era esausto a causa di una serie di tournée frenetiche e di viaggi estenuanti. Il giorno del concerto aveva dormito pochissimo e soffriva di dolori alla schiena. A peggiorare le cose, a causa di un disguido logistico, il pianoforte preparato per lui era uno Steinway verticale di bassa qualità, che non era quello previsto per l’esibizione. Il suono era ovattato e poco brillante, con tasti duri e con un pedale che non rispondeva bene.
Tuttavia, nonostante (o forse proprio a causa di) queste avversità, Jarrett si ritrovò costretto a sfruttare i limiti dello strumento per esplorare nuove sonorità e dinamiche. Fu proprio l’adattamento a queste circostanze che, secondo molti critici, diede vita a una performance unica e irripetibile.
Jarrett decise di concentrarsi sui registri medi e bassi del pianoforte, evitando le note acute che risultavano troppo stridenti, creando così un’opera che alterna momenti di grande potenza a sezioni più intimiste.
La struttura musicale: un viaggio in 4 parti
L’album è suddiviso in quattro parti principali. Ogni sezione ha una durata significativa e copre una gamma vasta di idee musicali, ma tutte nascono dall’improvvisazione istantanea, senza partiture pre-scritte.
Part I: l’inizio di un sogno. Dura poco più di 26 minuti ed è considerata il cuore dell’intero concerto. Inizia con una sequenza ripetuta e ossessiva di accordi che creano un’atmosfera meditativa e ipnotica. Sin dai primi minuti, Jarrett dimostra una straordinaria capacità di sviluppo tematico, introducendo piccole variazioni e manipolazioni del ritmo, mentre costruisce una tensione che non esplode mai completamente. La ripetizione, unita all’abilità di Jarrett nel dosare la dinamica, mantiene l’ascoltatore in uno stato di continua attesa.
A metà di questa prima parte, Jarrett inizia a esplorare registri più profondi, dando al pezzo una dimensione quasi orchestrale, pur mantenendo una trama melodica semplice. È qui che il suono del pianoforte “difettoso” diventa un vantaggio: le note basse suonano profonde e scure, aggiungendo una tensione che è palpabile ma mai invadente.
Part IIa: la liberazione melodica. La seconda parte, che segue senza interruzione, è decisamente più breve ma non meno intensa. In questa sezione, Jarrett lascia fluire una melodia semplice e luminosa, in forte contrasto con l’atmosfera più oscura della parte precedente. È come una boccata d’aria fresca, con un senso di leggerezza che sembra quasi improvvisamente liberare l’energia trattenuta nella prima parte del concerto.
Qui, Jarrett mostra la sua influenza classica più diretta, con melodie che potrebbero richiamare compositori romantici come Chopin o Schumann. Nonostante la natura improvvisata, la sezione appare perfettamente costruita, come se ogni nota fosse già stata pensata e pianificata, un esempio brillante di come l’improvvisazione possa fondersi con la composizione.
Part IIb: il ritorno alla complessità. È forse la sezione più ritmica e vivace del concerto. Comincia con una serie di accordi sincopati, a metà tra il jazz e il gospel, che portano l’intera performance in una direzione completamente nuova. Jarrett si abbandona a un groove quasi danzante, costruendo progressioni che ricordano tanto il jazz più tradizionale quanto elementi di rock e blues.
Questa parte del concerto è caratterizzata anche dall’uso intensivo della ripetizione, con frasi melodiche che vengono iterate e trasformate. È una sorta di trance ritmica, dove Jarrett si perde completamente nel flusso musicale, tanto da essere stato notato per i suoi movimenti quasi fisici e vocalizzazioni durante l’esecuzione.
Part IIc: l’epilogo contemplativo. La parte finale si distingue per un ritorno a una calma contemplativa. Dopo l’energia della sezione precedente, Jarrett sembra cercare un equilibrio più intimo e riflessivo. Qui, le note sono sparse e dilatate, quasi sospese nel tempo. È una chiusura perfetta per un concerto che ha attraversato una vasta gamma di emozioni e paesaggi sonori.
L’arte dell’improvvisazione: Jarrett e la creazione spontanea
Una delle caratteristiche più affascinanti di The Köln Concert è la totale improvvisazione. Non c’è nulla di premeditato o scritto in anticipo, tutto nasce sul momento. Per comprendere l’importanza di questo, bisogna riflettere sull’idea stessa di improvvisazione nell’arte.
Per Jarrett l’improvvisazione non è semplicemente una pratica esecutiva, ma un vero e proprio metodo creativo. Nel corso della sua carriera, ha sempre cercato di creare una musica che emergesse spontaneamente dal momento, piuttosto che ripetere performance già preconfezionate. In questo senso, The Köln Concert è l’espressione più pura della sua filosofia artistica.
Keith Jarrett si affida a una profonda conoscenza del linguaggio musicale, accumulato attraverso anni di studio e pratica. Ma al di là della tecnica, ciò che rende la sua improvvisazione così unica è la capacità di entrare in uno stato di “flusso” creativo, dove ogni idea sembra naturalmente evolversi dalla precedente, come un dialogo ininterrotto tra l’artista e lo strumento.
Il successo e l’eredità di “The Köln Concert”
Con oltre 3 milioni di copie vendute, The Köln Concert è uno degli album di pianoforte solista più venduti nella storia della musica, un risultato straordinario per un’opera totalmente improvvisata. Il successo dell’album non si limita però solo alle vendite; ha anche aperto nuove strade per la musica improvvisata, ponendo Jarrett come uno dei massimi esponenti di questa forma d’arte.
L’impatto dell’album è stato percepito anche al di fuori del mondo jazz. Molti musicisti classici, pop e rock hanno espresso ammirazione per l’opera, vedendo in essa un esempio di purezza espressiva che trascende i confini di genere. Anche il pubblico più giovane, attratto dalla bellezza immediata e dalla sincerità della musica, ha trovato in The Köln Concert un’opera senza tempo.
L’album di Keith Jarrett non è solo un capolavoro dell’improvvisazione, ma un’opera che parla direttamente all’anima. È la testimonianza di come l’arte possa emergere da circostanze difficili e come un musicista, al culmine della sua creatività, possa trasformare un momento in una esperienza universale. Rimarrà per sempre un faro nella storia della musica contemporanea, un esempio di come la spontaneità possa essere la forma più alta di bellezza.