– Esce “Beethoven Blues”, l’album in cui il pluripremiato musicista della Louisiana fa dialogare i capolavori del compositore tedesco con il blues, l’hip hop, il jazz, l’Africa, il soul. Dal 2025 prenderà il posto di Lang Lang nel talent inglese “The piano”
– «Io credo che le origini del jazz e della musica classica siano molto più simili di quanto la maggior parte delle persone credano. La musica jazz ha molta improvvisazione, e anche la musica classica antica aveva molta composizione spontanea»
“Roll over, Beethoven”, fatti più in là, nonno Ludwig, cantava Chuck Berry verso la metà del secolo scorso. Erano i primi vagiti del rock’n’roll, la nuova musica che avrebbe presto invaso tutto il pianeta, mandando in soffitta la vecchia cultura, espressione di un mondo che aveva portato agli orrori della Seconda guerra mondiale.
Settant’anni dopo, Jon Batiste, pluripremiato musicista (insignito di più Grammy Award® e di un Oscar®), studente di musica a New Orleans, la patria del jazz, formatosi alla scuola di gigante del soul, da Stevie Wonder a Prince, da John Legend a Will Smith, autore di colonne sonore, invece di buttare giù il compositore tedesco dal seggiolino, sceglie di accomodarsi accanto a lui e di suonare insieme portandolo nei nostri giorni. E cosa suonerebbe oggi l’autore delle nove sinfonie?
«Non abbiamo registrazioni di Beethoven che suona la sua musica. Sappiamo che era un compositore incredibilmente spontaneo», commenta Batiste in una intervista a Hollywood Reporter. «Quando suonava e componeva, la musica gospel, l’hip hop, il soul, il blues, tutte queste stupende innovazioni musicali, non esistevano ancora. Se fosse vivo oggi, chi direbbe che non incorporerebbe questi elementi o cambierebbe il modo in cui esegue la partitura ogni singola volta».
Partendo da questo presupposto, il musicista della Lousiana ha voluto collegare non solo abissi musicali, ma anche Paesi e secoli, portando con sé l’uomo di Bonn a passeggio per le strade del Bronx o nelle piazzette di New Orleans. «Sono passati più di 250 anni. Era dovuto un aggiornamento!», esclama Batiste.
Un’idea che era balenata nella stagione 2021-22, quando Jon Batiste è tornato alle sue radici classiche curando la serie di concerti Perspectives alla Carnegie Hall di New York. Una esperienza coronata dalla prima mondiale della sua American Symphony (2022), su commissione della Carnegie Hall, dove l’evento è stato celebrato. Classical Source ha accolto questo lavoro orchestrale di ampio respiro come «una miscela gioiosa e solida di suoni orchestrali, funk, dixieland, latin, gospel, country, cool jazz, swing, hip-hop, R&B, ritmi africani, così come altri stili e generi».
È quello che avviene in Beethoven Blues, un album per pianoforte solista. Consiste in una sequenza di alcuni dei pezzi più popolari di Beethoven, come “reimmaginati” da Batiste. Con l’intrusione del tema dell’American Symphony, la cui presenza nell’album non è spiegata. E se Batiste è tutt’altro che il primo pianista ad aver usato le opere di Beethoven come punto di partenza per l’improvvisazione e l’espressione individuale, ciò che è insolito è trovarne uno il cui profilo e la cui fama lo hanno portato a pubblicare un disco del genere su una grande etichetta.
«Ero attratto dal conversare con la musica di Beethoven», spiega Batiste. «Io credo che le origini del jazz e della musica classica siano molto più simili di quanto la maggior parte delle persone credano. La musica jazz ha molta improvvisazione, e anche la musica classica antica aveva molta composizione spontanea, ma la credenza generale è che il jazz e la musica classica non potrebbero mai unirsi. Quindi, trovo che sia una grande cosa dimostrare il contrario».
Punto di partenza e di chiusura è Für Elise. Batiste prende una frase di Beethoven, risponde e la contrappone a una sua frase jazz blues minore. Sembra tutto un po’ artificioso; ci sono modi più profondi e naturali per improvvisare su Beethoven. Il materiale musicale di Für Elise è comunque promettente. La traccia finale, una versione più ampia sullo stesso pezzo funziona meglio.
Il movimento allegretto della Settima Sinfonia si è dimostrato un felice terreno di caccia per le precedenti generazioni di musicisti improvvisatori, non da ultimo perché la melodia è scarsa e lascia così tanto spazio. Jacques Loussier, ad esempio, lo ravviva e lo alleggerisce con la sincope. In una versione straordinaria del suo album solista Touch the Light, Joachim Kühn raggiunge un’espressione profonda e piena e raggiunge un ritmo e un flusso miracolosi. Batiste si basa sul contrasto, lavorando abilmente con il tema e la forma delle variazioni, ma c’è una pedalata scomodamente brusca. Ode to Joyful non ha molto da dire nei suoi due minuti, e forse altri musicisti avrebbero potuto portare più umorismo e meno calpestio in Waldstein Wobble.
Batiste è stato descritto nei modi più vari: «un genio musicale certificato» (The Guardian), «un pianista proteiforme e una personalità da megawatt» (Variety), «un talento raro, con la passione per connettere le persone grazie all’amore condiviso per la musica» (Classic FM). Nato in una famiglia di musicisti della Louisiana (da più generazioni), si è formato come pianista classico e ha conseguito sia la laurea che il master in pianoforte presso la Juilliard School di New York. Ora lavora con studenti e docenti come Juilliard Creative Associate, oltre a far parte del consiglio di amministrazione della Juilliard. Inoltre, Batiste fa parte del consiglio di amministrazione della Carnegie Hall come Artist Trustee.
Collaboratore di grande esperienza, Batiste ha lavorato con artisti che vanno dalle icone del pop e del jazz come Beyoncé, Prince e Herbie Hancock alle leggende della musica classica Andrea Bocelli, Hilary Hahn, Lang Lang, Yo-Yo Ma, Itzhak Perlman, e anche a Daniel Bernard Romain e Chris Thile. All’inizio del 2025 è previsto il suo debutto nella fortunata serie televisiva britannica The Piano, succedendo a Lang Lang come mentore nella terza stagione della serie di Channel 4, nominata ai BAFTA, un talent show alla ricerca dei migliori pianisti dilettanti del Regno Unito.