Interviste

Interviste storiche/6: Lucio Dalla

Dall’archivio personale ripesco alcune chiacchierate avute con protagonisti della storia della musica che non ci sono più. Colloqui non legati ad avvenimenti particolari, ma che sono quasi una sorta di lezione di vita. Quell’incontro con il cantautore bolognese sulla terrazza del Tout Va di Taormina in un agosto del 1992 buio per la Sicilia

Passeggiava su e giù sulla terrazza del Tout Va di Taormina beandosi della vista sull’Isola Bella. Panama bianco a nascondere la testa pelata, pantaloni a righe a mo’ di pigiama, fischiettava, rispondeva al telefonino, dondolando un vezzoso bastoncino bianco. Metà signorotto della Bella Époque, metà Charlot da “tempi moderni”. Ma, soprattutto, Lucio Dalla. Bolognese di nascita, siciliano d’adozione.

Quell’anno, correva il 1992, durante il mese di agosto si era rintanato nella sua nuova casa di Milo, sulle pendici dell’Etna, preferendo restare ai margini della bagarre delle tournée. Soltanto alcuni «avvenimenti particolari», come quello nello storico locale notturno di Taormina. 

Su quell’estate si era allungata l’ombra della mafia con le stragi e gli attentati. Gino Paoli aveva rinviato il giro di concerti nell’Isola e, addirittura, Bruno Lauzi aveva invitato i suoi colleghi a boicottare la Sicilia.

La scultura con Lucio Dalla e Franco Battiato sul Belvedere di Milo

«Sai, io vendo a vivere in Sicilia, quindi è un discorso all’opposto», ragionava Lucio Dalla. «Non lo so. Francamente non saprei cosa dire. Forse è più importante riflettere, cercare di capire, stare zitti. Il mio problema è diverso: cerco di capire, non cerco di assumere degli atteggiamenti, delle posizioni. A me interessa la gente, stare in mezzo alla gente. Però non mi sembra giusto cantare ogni volta che succede qualcosa, o comunque pensare che cantare sia una risposta. Non è sufficiente. E poi io considero le cose che accadono qua come cose italiane, non siciliane».

Quindi non è dell’idea di staccare la Sicilia dall’Italia come propone Miglio, ideologo della Lega?

«Quello è pazzo! Mi sembra una cosa pazzesca, assurda. Credo che sia uno che voglia farsi in qualche modo notare con dichiarazioni abnormi. Io, poi, non sapevo chi fosse Miglio… Quella che viviamo è una società che cambia in maniera vorticosa, mi sembra inevitabile che ci siano delle cose che sfuggano alla comprensione. E non è che si capisce cantando, si capisce cercando di riflettere, di entrare nella psicologia della gente: bisogna sapere prima di tutto chi è il nemico. Cioè, oggi si contano le cose vecchie e si capisce che le cose vecchie ci sono ancora, ma è più interessante guardare alle cose nuove. Seguire le trasformazioni, non solo del Paese, ma della nostra anima».

Ha scelto di vivere a Milo per questa esigenza di riflettere? Una sorta di eremo dove isolarsi e meditare?

«Ma io qua vedo più gente di quanto ne vedevo prima. Ho scelto di stare a Milo perché sto bene, perché mi piace la cultura, il modo di vivere».

E non c’è alcuna relazione con la “svolta religiosa” del Dalla dei Salmi musicati per “Mixer” e ora del “live album” Amen?

«Macché svolta religiosa. Sono cristiano da quando sono nato. Nelle mie canzoni ho parlato di angeli e di Gesù. Amen è un funky trasgressivo, è tutto tranne una canzone religiosa. E dei Salmi ho fatto soltanto le musiche. Però i Salmi hanno un contenuto laico oltre che religioso. È un’operazione sul linguaggio. No, nessuna svolta mistica. E Milo non è il mio eremo: sono lì a fare il mio nuovo disco, sto con dieci persone, i musicisti con i quali sto preparando il lavoro, tutto inedito che uscirà fra un anno e mezzo. Mentre Amen uscirà fra venti giorni».

Nel frattempo, c’è stata la ripresa del trittico con Roberto Roversi, il Motore del Duemila: è il primo caso in cui uno spot, invece di banalizzare e mercificare una canzone, ha contribuito a riscoprire uno dei periodi più creativi di un artista.

«Ho cercato di fare un’opera di divulgazione, anche perché quei dischi non hanno venduto. Ci tenevo che la gente conoscesse queste canzoni che, per i tempi d’allora e un po’ anche adesso, sono difficilmente accessibili per il pubblico».

La critica parla della collaborazione con il poeta Roversi come del suo momento migliore.

«Può anche darsi. Anche secondo me è interessante, però non si vendeva un disco. C’è voluto uno spot per interessare la gente a queste canzoni. Vedi, questo è un mondo pieno di equivoci. È una società che si regge sugli equivoci. Questa società, parlo della gente, non fa altro che ascoltare. Ascolta un sacco di cose che però non dicono nulla. E, quindi, anche questo è un equivoco».

E in questo periodo lei cosa sta ascoltando?

«Sto ascoltando anche dei rumori, non solo delle musiche. La notte, ad esempio, ascolto il rumore dell’Etna. È difficile dire quale sia la musica del nostro tempo».

Mancano i punti di riferimento. Oggi c’è molta contaminazione fra arti diverse.

«C’è un assemblaggio generale per poter comunicare di più. Pure la gente sta cercando nuovi canali di comunicazione. Però non c’è una regola sicura. La musica rimane in teoria quella più istintiva. È un mondo tutto interessante da scoprire…». Il trillo del telefonino interrompe Dalla: «E anche il telefonino… È un bel modo per finire un’intervista… Alò, alò…».

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