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«Indago su due misteri: la donna e Napoli»

Dal disincanto della “Grande Bellezza” al grande incanto di “Parthenope”: Paolo Sorrentino presenta il film con cui è in concorso a Cannes
«Non è un lavoro sul rimpianto, la malinconia, la nostalgia, ma sul passaggio dell’età: l’idea del tempo che scorre e che ti fa passare da una dimensione estetica della vita ad una etica»
– Christophe Honoré vince la sfida con “Marcello Mio”, storia di Mastroianni. La somiglianza di Chiara con il padre è impressionante, confonde, commuove

L’Italia protagonista al Festival di Cannes. Con Parthenope di Paolo Sorrentino e Marcello Mio, che pur essendo firmato dal francese Christophe Honoré, racconta la storia di Marcello Mastroianni. Entrambi in concorso.

L’Italia di Paolo Sorrentino…

Paolo Sorrentino ha portato in concorso Parthenope, un film sul mito, gli eccessi e i misteri di Napoli raccontati attraverso la vita di una donna, dagli anni Cinquanta al 2023.

Se in È stata la mano di Dio, «Napoli era solo sullo sfondo, raccontata nei luoghi della mia infanzia», in Parthenope la città è protagonista, «triste, frivola, determinata, sola e viva come Napoli», spiega Paolo Sorrentino. Ma il film, fa notare il regista, «non è una lettera d’amore a Napoli, non sono capace di scriverle. È un film che nasce con il desiderio di misurarsi con due misteri, la donna e Napoli che nel film fino a un certo punto si sovrappongono. Ho rinunciato subito alla missione di raccontare una donna, non penso che fosse il compito di un uomo. Ma ho pensato che fosse interessante mettere in sintonia il mio lato femminile con quello di un personaggio femminile. Quando parlo delle angosce e dolori relativi al tempo gli uomini mettono in moto il proverbiale infantilismo, fingendo che non li riguardi; invece, con le donne sento una corrispondenza, che parliamo lo stesso linguaggio».

Celeste Dalla Porta interpreta Parthenope giovane, mentre Stefania Sandrelli è Parthenope adulta. E protagonisti sono tutti i napoletani, osservati, amati, uomini e donne, disillusi e vitali, le loro derive malinconiche e le ironie tragiche. «È anche in relazione alla sensibilità, i dolori che si porta appresso questa idea del tempo che scorre e che cambia e modifica le cose, che ti fa passare da una dimensione estetica della vita ad una dimensione etica», sottolinea Sorrentino. «È qualcosa che mi riguarda molto e vi trovo corrispondenza più nelle donne che non negli uomini. Questo tema dello scorrere del tempo mi sono ritrovato più a parlarne con mia moglie o con le amiche».

Sorrentino ne approfitta per ricostruire attraverso gli occhi della giovane Parthenope momenti storici come la contestazione, il colera, il terremoto persino, immancabile, la città in festa per lo scudetto del Napoli. E nel mezzo ci sono l’armatore Achille Lauro “il comandante”, un personaggio che sembra evocare in misura grottesca Sophia Loren, un altro il cardinale di Napoli e il filosofo Gerardo Marotta. Sorrentino conferma l’identificazione di Lauro e del professore («fondamentale per la cultura della mia città») ma nega gli altri. Parthenope ha il volto pulito e il corpo conturbante della debuttante Celeste Dalla Porta: «La chiave che mi ha dato Paolo in questo viaggio? È stata quella, in ogni scena, di cercare la libertà. E così Parthenope fa scelte che la portano a sbagliare, riflettere, restare sola», racconta l’attrice.

Un viaggio in nome della libertà di essere se stessi, senza maschere. «Fondamentalmente vuole raccontare la lunga vita di un personaggio femminile e vuole raccontare le sue anime, che sono anime alla ricerca della libertà, all’assenza di giudizio, alla bellezza e a quanto siano frastagliati e struggenti gli amori mancati, che non si compiono e che rimangono quindi nel novero dell’avventura. Poi si voleva raccontare anche le capacità, che veniva più naturale in tempi addietro che oggi, di una donna di essere spontanea senza dover temere le conseguenze della propria spontaneità, cosa che oggi è piuttosto pesante». 

«Questo non è un film sul rimpianto, la malinconia, la nostalgia, ma sul passaggio dell’età», tiene a precisare Sorrentino. «Da giovani una delle caratteristiche dovrebbe definire la giovinezza, anche se non tutti hanno la fortuna di averlo, è il fatto che la verità non fa parte dei giovani, la caratteristica è l’insincerità. Si è spensierati, ci si abbandona, si ha a che fare con il sogno e il desiderio, si fa un racconto epico di sé, ci si guarda allo specchio e si balla, ci si immagina di esser qualcosa. Ma questo racconto si interrompe quando si passa dalla vita estetica ad etica, si diventa responsabili, s’interrompe il racconto epico di sé. Diventi quel che sei, spesso non ti piaci, fai decine di tentativi di uscire da te stesso e non ci riesci. E poi diventi come Stefania (Sandrelli, ndr), accetti quel che sei, con la possibilità di stupirti ancora una volta». 

Dal disincanto della Grande Bellezza al “grande incanto” di Parthenope con il professore di antropologia culturale (Silvio Orlando) con il ruolo narrativo di «ancorare il film al realismo mentre il resto esonda». Nella protagonista Parthenope c’è il dolore e la seduzione, «mezzi di comunicazione veloce che permettono di saltare la forma che mettiamo in atto tutti i giorni e ci permettono di riuscire a dirci qualcosa di interessante». 

Per Paolo Sorrentino questa è la settima volta a Cannes e, da napoletano («essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male» diceva Eduardo De Filippo), sarà stato felice della data della prima di Parthenope: il 21 maggio è una data ricorrente che probabilmente gli porta fortuna a Cannes. Il 21 maggio 2004 arrivò qui sulla Croisette con il suo secondo film, Le conseguenze dell’amore, il titolo che lo fece conoscere internazionalmente presentato in concorso. Due anni dopo anche L’amico di famiglia con Fabrizio Bentivoglio e Giacomo Rizzo, è stato presentato al festival di Cannes. Ancora due anni dopo, è il 2008, è il momento de Il divo che venne premiato con il riconoscimento alla miglior regia.

Anche il primo film in inglese, This must be the place, debuttò qui sulla Croisette ma è soprattutto La grande bellezza – di nuovo un 21 maggio del 2013 – a iniziare dal concorso di Cannes il percorso che lo porterà fino alla notte degli Oscar. L’ultimo appuntamento con la corsa alla Palma è del 2015 quando venne qui con Youth, con uno scarto di un giorno, quella volta era il 20 maggio. Fu l’ultima volta in concorso.

Chiara Mastroianni nei panni del padre Marcello

…e  quella di Marcello Mastroianni

Ma l’Italia è anche Marcello Mio, il film en travesti di Christophe Honoré era sulla carta una bella sfida, quella di raccontare il grande Marcello Mastroianni attraverso l’amata figlia Chiara presa da una smodata voglia di rappresentarlo vestendone i panni. Il film, in concorso a Cannes, però questa sfida l’ha in parte vinta. E questo forse anche grazie all’esperienza del regista-drammaturgo che ha creato, con la giusta alchimia, una miscela ironia e sentimento. La somiglianza di Chiara con il padre è impressionante, confonde, commuove. Come commuove questa sua voglia di indossare i panni di Marcello con tanto di abito scuro alla Ginger e cappello nero felliniano.

Chiara entra letteralmente nei panni del padre e in nome di lui cerca di fare pace con la propria identità e dando una risposta alla domanda tipica: «Ti senti più Mastroianni o Deneuve?». Ed è la madre Catherine, 80 anni, regina del cinema francese a dare le risposte più spiritose e anche commoventi nel film, abituata a gestire la presenza (e l’assenza) del grande attore.

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