– Giorgia Coco, regista e interprete del progetto teatrale “Il mio parlare a voi” sulla scrittrice catanese in scena stasera al Centro Zō di Catania, si sofferma sull’improvviso e inatteso successo dell’autrice dell’“Arte della gioia” scoperta da tv e cinema
Goliarda/Iuzza Sapienza oggi è un personaggio/persona. Travalica il senso del suo manifestarsi attraverso l’arte della scrittura per affascinare il pubblico con la sua propria storia, che narra, in fondo, di un’ingiustizia. Perché di lei, Goliarda, poco si sapeva e poco si leggeva in Italia, fino a qualche anno fa e ora si legge e tanto più se ne discute, più di quanto, forse, un’artista così irreprensibilmente fuori dagli schemi si sarebbe aspettata.

L’uscita dell’Arte della gioia e il suo successo in Francia — anche grazie alla mirabile opera di traduzione a firma Nathalie Castagnè — ne hanno decretato il valore, disconosciuto nel suo paese di origine. Ci si domanda, dunque, perché. Perché non è stata capita, accolta, pubblicata, qui, in Italia? Non ne era chiaro il suo valore? Non appariva dalle trame delle sue scalate vertiginose tra ricordi e mistificazioni la qualità dell’anima nuda data in pasto a chi volesse leggerne e quindi in parte appropriarsene o farsene carico? Un giallo irrisolto, poiché le possibili risposte non hanno diritto di udienza se non come pure illazioni.
Ciò che oggi comprendo è che il suo portato biografico, innervato nella scrittura così strabiliante, inaspettata, mi affascina come le circonlocuzioni pirandelliane che, a teatro, sembrano costruite ad hoc per incutere timore agli attori, ma che se poste in essere sono un piacere del dire, della parola nei suoi incastri da macchina ad orologeria.

Così lei, Goliarda per me è un giallo ben architettato, in ogni suo scritto. Ne ho seguito gli indizi, ho cercato tra Io, Jean Gabin, Lettera aperta, Le certezze del dubbio e ancora nel dramma La grande bugia (scritto per Anna Magnani, che rifiutò) e, in breve, in tutta la sua produzione la trama di una storia per ritrovare una matassa di fili intrecciati ad arte: cercavo lei e non potevo che, nel mio procedere, scoprire Peppino Sapienza (il padre), Maria Giudice (la madre), i fratellastri e le sorellastre e tutti gli altri esemplari di un album di famiglia sui generis. Più di tutti ero avido di rintracciare le orme di Goliardo, il fratello ucciso dai fascisti prima della nascita della scrittrice, il figlio prediletto dal padre Peppino, il fantasma a cui Goliarda deve il suo nome amato/odiato e forse parte del suo destino. Le ho trovate, ma solo in parte; l’ho, dunque, immaginate e di Goliardo ne ho fatto il referente primario del mio spettacolo (Il mio parlare a voi), scritto realizzando una composizione che si muove per apparizioni tratti dalla produzione letteraria dell’artista catanese. Ho cercato sua madre, Maria Giudice, («l’impareggiabile Maria, più intelligente di un uomo») e Peppino Sapienza, chiamato sempre e solo l’Avvocato, e ho trovato la storia di gente forte e irreprensibile: antifascisti e sindacalisti e comunisti pronti a pagare con la propria libertà la forza delle loro idee. A questo sogno di un’umanità migliore, che non si piega al facile compromesso e alla convenienza, mi sono affidata e ho voluto immaginarne le voci per farmi forza, per creare un rito collettivo in cui ricordarci che sappiamo e possiamo essere migliori, e che il dubbio, se fondato su una vera critica, è sintomo di intelligenza. Non si tratta di una biografia dell’autrice, ma di cercare, tramite il valore artistico di questa donna extra-ordinaria di cavarne fuori un po’ del sacro amore per la vita e le sue contraddizioni.

I valori dell’antifascismo, messi oggi sfacciatamente sotto accusa, mostrano quanto non occorrano solo i memoriali, ma gente pronta nel quotidiano ad atti in grado di rinnovare con l’agire l’esempio di quelli che ci hanno preceduto, così da poterne essere all’altezza e in modo nuovo, certo, ma non meno efficace da quelli fare la differenza. È forse questa l’attrazione che Goliarda suscita in me, in noi, insieme a tutta la tribù Sapienza-Giudice? Il fatto che questa famiglia rappresenti una storia di resistenza a cui non si può che guardare con ammirazione?

O forse ciò che in fondo si desidera è, nel riconoscerle troppo tardi un successo negatole in vita, una forma di giustizia postuma, in modo da sentirci parte attiva di un processo di riparazione.
Oppure la sua forza e il suo fascino nascono dalla robusta forma di coraggio e di resistenza che è il suo scrivere, atto compiuto in modo tenace; nel suo manifestarsi sempre fedele a se stessa, nonostante i dolorosi rifiuti. Ed è a questo, forse, che ci attrae, il suo modo di decretare una linea di condotta e di seguirla, costi quel che costi.
O forse è che il 2025 è tanto più vicino al 1925 di quanto mai ci sarebbe aspettati e lei, Goliarda, che quegli anni li ha subiti e raccontati, ci parla, in fondo, delle nostre costrizioni; di un regime che desidera imporci la “retta via” semplificando le linee, riducendoli a proclami; e allora ben venga lo scompiglio di Goliarda, il suo essere uomo e donna (come l’indovino Tiresia), per tirare un sospiro di sollievo e finalmente accostarsi al senso profondo dell’arte così come la sua “personaggia” di carta, Modesta, protagonista dell’Arte della gioia, ci insegna, attraendoci con la sua intelligenza fuori misura, capace di travolgere e stravolgere le carte del proprio destino con la spavalderia della sua mente sopraffina.
O forse è altro.
