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Il merchandising è la miniera d’oro del rock

Il maggior guadagno per le star della musica ormai deriva dalla vendita di oggetti e capi d’abbigliamento ai concerti. E il mercato miliardario prosegue online con prezzi da capogiro per fan e collezionisti. «Oggi si fanno più soldi con le magliette che con un disco»

Il film Elvis di Baz Luhrmann racconta di come il manager del cantante, il famigerato colonnello Parker, abbia colto per primo le grandi opportunità di guadagno che offriva il merchandising, ovvero la vendita di oggetti e capi d’abbigliamento ai concerti, producendo merce – tra cui i famosi distintivi “I Hate Elvis” – verso la metà degli anni Cinquanta. Nel decennio successivo, i Beatles sfruttarono questa tendenza mettendo in vendita di tutto, dalle parrucche alle bambole Ringo. Nel 1964, l’azienda del loro manager Brian Epstein ricevette il 46% di tutti i profitti della merce.

I Rolling Stones hanno accelerato i tempi con l’uscita di Sticky Fingers nel 1971, il primo album a presentare il loro famoso logo con le labbra rosse e la linguaccia, disegnato da uno studente d’arte britannico. Una maglietta del tour, con una zip come quella sulla copertina dell’album, è stata recentemente messa in vendita su eBay per 685 sterline.

Camicie, tazze e cappelli con il volto di Chris Martin, leader dei Coldplay

Gli anni Settanta hanno visto la maglietta del tour diventare un feticcio per i fan di gruppi rock come AC/DC e Kiss che utilizzavano una grafica audace come parte della loro immagine. Ma il merchandising accattivante non è sempre stato visto positivamente: negli anni Novanta, artisti come James and the Farm erano derisi come “bande di magliette”, il che implica che il loro merchandising fosse più popolare della loro musica.

Quella visione ora sembra antiquata in un mondo in cui dalla vendita dei dischi si raccolgono soltanto spiccioli e le misere percentuali delle piattaforme streaming garantiscono guadagni da impiegati soltanto a chi può contare su milioni di click. E quando anche i concerti rappresentano appena una piccola fetta di una torta milionaria da dividere con altri soggetti, allora l’unica fonte di sicuri introiti sono proprio le magliette: il merchandising. Artisti come U2, Madonna, Beyoncé, Billie Eilish, Justin Bieber, Rihanna e Frank Ocean hanno fatto del merchandising una parte centrale del loro marchio e alcuni hanno anche le proprie linee di moda.

T-shirt, borraccia, tazza e giocattoli con i volti dei quattro U2

Se prima ai banchetti nei luoghi dei concerti si trovavano soltanto t-shirt nere con un logo tratteggiato e qualche cappellino, oggi l’offerta è molto più ampia. Quelle bancarelle sono diventate una sorta di emporio, dove puoi trovare dalla giacca a vento al profumo. Quando Frank Ocean ha suonato a Lovebox nel 2017, ha allestito una bancarella di serigrafia per consentire ai fan di stampare sulle proprie magliette: ha riscontrato un tale successo che finivano l’inchiostro. Eilish, nota per il suo amore per i vestiti oversize, ha trasformato la felpa con cappuccio XXL una firma di stile tra i suoi fan. Bieber ha lavorato con l’etichetta cult Fear of God nel merchandising per il suo Purpose Tour. E per l’album Renaissance di Beyoncé, era disponibile una scatola per il preordine, con un cd e una maglietta con la cantante in una delle varie pose fotografiche.

I due spettacoli di Travis Scott all’O2 di Londra sono stati un enorme successo: esaurito in meno di due ore, con biglietti fino a 180 sterline per 20mila posti. Ma i margini di profitto, piuttosto che dalla vendita dei biglietti, sono arrivati dal merchandising: 1 milione di dollari. Superando un record precedentemente stabilito dai BTS nel 2019. Il guadagno inaspettato di Scott da questo merchandising è stato in parte dovuto ai prezzi (45 sterline per un berretto, 125 per una felpa con cappuccio), ma fa anche parte di una tendenza più ampia. Il merchandising offre una vittoria finanziaria per gli artisti, e in particolare quelli che non sono al livello delle megastar di Scott.

Gli stand del merchandising di Vasco Rossi all’esterno e all’interno dello stadio Barbera e una fascia ufficiale

La cantautrice Liz Lawrence ha prodotto merchandising negli ultimi cinque anni. Per il suo album più recente, The Avalanche, ha borse e magliette, e dice che il merchandising è ora una parte fondamentale del suo modo di guadagnarsi da vivere. «Quando esaminiamo un budget per un tour, diciamo: “Questo dovrebbe fare il lavoro se facciamo così e così nel merchandising”», spiega. «Sono abbastanza sicura che l’unico motivo per cui non perdiamo denaro sia il merchandising. Le commissioni per suonare non sono aumentate, ma tutto il resto sì. Hai bisogno di qualcosa per colmare il divario».

Nell’attuale tour, Vasco Rossi per tutta la durata del concerto fa sfoggio di cappelli, giacche, occhiali, persino reggiseni, che poi si ritrovano nei punti di vendita del merchandising ufficiale. Ci si trova di tutto: dai bavaglini per i neonati agli zaini, dalle classiche t-shirt ai cappellini d’ogni forgia. Le bandane costano 10 euro, i venditori illegali al di fuori del perimetro della Favorita le vendevano a 5. 

Portachiavi, calzini, spille e occhiali con la linguaccia simbolo dei Rolling Stones

Il merchandising musicale è un settore a sé stante, con vendite al dettaglio globali del valore di 3,5 miliardi di dollari nel 2018. Bravado, la società con sede a Los Angeles, produce merchandising per Travis Scott, Billie Eilish, Rolling Stones e Weeknd. Ceremony of Roses, fondata nel 2016 e oggetto di investimento da parte di Sony quest’anno, produce oggetti e abbigliamento per Adele, Olivia Rodrigo e A$AP Rocky. Sandbag, fondata nel Regno Unito nel 2002 con i Radiohead come primo cliente, ha lavorato con BTS, Abba e Justice. Jordan Gaster, capo di A&R di Sandbag, afferma che il merchandising è diventato molto più di una priorità nell’ultimo decennio. «A meno che tu non sia un artista pop mainstream, oggi si fanno più soldi con le magliette che con un disco». Un mercato che neanche la pandemia è riuscita a bloccare. Everpress, un mercato in cui i creativi vendono tirature limitate di merchandising e stampano solo ciò che viene ordinato, ha riportato che le vendite sono raddoppiate durante la pandemia, stimando che circa il 25% delle magliette vendute proviene da musicisti o etichette discografiche. Il critico culturale Iney Komonibo dice che, per i fan, indossare qualcosa creato dal tuo idolo rimane irresistibile: «Sembra inquietante, ma quando ami un artista, vuoi averne un pezzo con te, così puoi essere connesso in qualche modo».

Il merchandising è diventato moda. Negli ultimi dieci anni, marchi come Balenciaga, Louis Vuitton e Acne hanno incluso versioni molto costose delle magliette dei gruppi nelle loro collezioni da passerella. Nel frattempo, con grande dispiacere dei tradizionalisti, Primark e Urban Outfitters vendono le magliette dei Fleetwood Mac e dei Doors. I Metallica hanno collaborato con Netflix su una maglietta che combinava il loro logo con quello dell’Hellfire Club della serie tv Stranger Things.

La linea d’abbigliamento proposta da Lady Gaga

La merce di alcuni artisti è particolarmente ricercata, come dimostra il suo valore di rivendita. Il sito di streetwear StockX riporta che una felpa del merchandising di Kids See Ghosts, il progetto del 2018 di Kanye West e Kid Cudi, in genere vende il 533% in più rispetto al dettaglio. 

È talmente una miniera d’oro, che in Gran Bretagna – come segnala The Guardian – alcuni locali chiedono una percentuale sugli incassi del merchandising. Per evitare di pagare questa sorta di “pizzo”, molti artisti stanno indirizzando i loro fan sul proprio sito web. 

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