Il suicidio di Moon Bin, venticinquenne frontman della boy band Astro, beniamina dei fan della musica coreana, è un’altra morte che s’inserisce in una lunga catena di tragedie con protagonisti gli idoli di questo fenomeno diffusosi in tutto il globo. Ragazzi spremuti come galline dalle uova d’oro dalle agenzie, costretti a seguire regimi di vita molto severi, dettati dagli standard d’immagine, e vittime del bullismo sui social media. «Raramente hanno la possibilità di sviluppare una normale vita scolastica o normali relazioni sociali come fanno i loro coetanei»
La recente scomparsa di Moon Bin, membro della boy band Astro, idoli del K-pop, ha proiettato nuove ombre sul fenomeno musicale coreano che ha invaso il mondo in questi ultimi anni. Secondo i primi accertamenti, infatti, la morte del venticinquenne cantante e ballerino frontman della band si aggiungerebbe alla catena di suicidi che costella il K-pop. Rivelando come dietro questa ondata musicale colorata e ultra glamour, che affascina e coinvolge milioni di fan in tutto il pianeta, si nascondano regimi di vita molto severi, dettati dagli standard d’immagine e da ferree regole, e una esposizione mediatica massiccia che li rende vulnerabili al bullismo sui social media. In una realtà, come quella della Corea del Sud, dove si registrano i tassi di suicidio più alti al mondo, che, secondo recenti dati governativi, è tra le prime cause di morte per chi ha meno di 40 anni.
Moon Bin è l’ultima stella che si spegne tragicamente in questa lunga scia di drammi con protagoniste le star del K-pop, spesso costrette a vivere in una prigione dorata. Nel 2017 la lettera lasciata da Kim Jong-hyun – il cantante degli SHINee meglio conosciuto con il suo nome d’arte Jonghyun – rivelò la dura lotta con la depressione prima di togliersi la vita. «Il successo, la fama, non facevano per me», aveva lasciato scritto nella lettera. «Dicono che è difficile scontrarsi con il mondo e diventare famosi. Perché ho scelto questa vita? È una cosa divertente. È un miracolo che io sia durato così a lungo».
«All’inizio è divertente», ha detto al settimanale People Amber Liu, ex membro del gruppo femminile sudcoreano f(x). «Ma più tardi arrivano la solitudine, la disperazione, la persecuzione sui social». Il 2019 è stato un anno tragico per il K-pop, con una lunga serie di suicidi, tra cui quello dell’ex compagno di band di Liu, Sulli, che aveva 25 anni al momento della sua morte. Anche la cantante e attrice Goo Hara è stata trovata morta nella sua casa di Seul nel 2019. L’anno prima, Minwoo, 33 anni, della boy band 100%, era stato trovato morto in casa.
Gli idoli del K-pop sono sottoposti a un’intensa pressione da parte dei fan sui social media per apparire e suonare perfetti, mentre i produttori discografici chiedono che sfornino hit dopo hit. «È pazzesco come questi ragazzi siamo passati al microscopio», ha detto alla BBC Rob Schwartz, corrispondente dall’Asia per Billboard Magazine. «Certamente, le star in Occidente possono più o meno difendere la propria privacy. Nel mondo K-pop, è impossibile mantenere un segreto. Ogni volta che alzano un piede, vengono scritte migliaia di righe a riguardo». Nel 2019 due fidanzatini del k-pop furono costretti a lasciarsi perché secondo contratto dovevano restare single. Protagonisti della storia la ventiseienne HyunA, nome d’arte di Kim Hyun-ah, ed E’ Dawn, 24 anni, nome vero Kim Hyo-jong.
«Gli artisti K-pop non hanno davvero una vita al di fuori dell’essere una popstar», prosegue Rob Schwartz. «Iniziano ad allenarsi in tenera età. Raramente hanno la possibilità di sviluppare una normale vita scolastica o normali relazioni sociali come fanno i loro coetanei. È davvero difficile per loro vedere la vita al di fuori del mondo K-pop».
Una volta popolari principalmente solo nei Paesi asiatici, i gruppi di ragazze K-pop e le boy band, come i BTS, ora hanno un enorme seguito globale. Il genere ha catturato l’immaginazione dei fan di tutto il mondo con la sua fusione di canzoni pop, video artistici, abiti alla moda e routine di danza sincronizzate che mescolano la sessualità stuzzicante con l’innocenza. Ma gli esperti dell’industria dell’intrattenimento hanno a lungo messo in guardia sul lato oscuro dell’industria K-pop tormentata dagli scandali, che è rimasta in gran parte nascosta dietro il suo fascino.
Legioni di giovani sudcoreani si allenano per anni, spesso a partire dalla prima adolescenza, affinando le loro capacità di canto e le loro mosse di danza nella speranza di impressionare le agenzie di “gestione delle star”. Che, se li ritengono abbastanza bravi, li fanno debuttare con la loro prima canzone. Anche dopo essere diventati idoli del K-pop, il loro status di star raramente dura a lungo, poiché le stelle più giovani con un aspetto più carino e mosse di danza più fantasiose li sostituiscono. Le star del K-pop verso la fine degli anni Venti sono già considerate vecchie e questi idoli in dissolvenza spesso cercano di ritagliarsi nuovi ruoli nella recitazione o come cantanti solisti o clienti abituali di talk show: una transizione difficile che spesso non ha successo.
Il fenomeno K-pop si è diffuso in gran parte attraverso YouTube, Instagram, Twitter e altri canali di social media, dove le sue star sono esposte sia a una marea di lettere di fan che a commenti odiosi e cyberbullismo su tutto, dal loro aspetto alle loro capacità di cantare alla loro vita privata. «Fin dalla tenera età, vivono una vita meccanica, attraversando un regime di allenamento spartano», ha detto al New York Times Lee Hark-joon, un giornalista sudcoreano che ha prodotto un documentario televisivo sulla creazione di un gruppo di ragazze K-pop e ha co-scritto il libro K-pop Idols: Popular Culture and the Emergence of the Korean Music Industry. «La loro caduta può essere tanto improvvisa e drammatica quanto la loro ascesa. E tutto in giovane età. La loro è una professione particolarmente esposta al disagio psicologico: sono scrutinati sui social media 24 ore su 24 e notizie false sulla loro vita privata vengono diffuse all’istante».