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Il grido e il pianto del flauto di Naïssam Jalal

– L’artista franco-siriana, in Italia per due date a Bergamo e Firenze, attinge a tecniche arabe, africane, classiche, jazz, hip-hop, esplorando il flamenco e il tango, con risultati impressionanti
– Ha cercato le sue radici, prima a Damasco poi al Cairo, ma è fuggita per le condizioni in cui sono costrette a vivere le donne. «La mia musica è un riflesso di questo mondo folle, fatto di estrema violenza e grande bellezza»

Il flauto è uno strumento che ha trovato sempre difficoltà a trovare una collocazione nella musica moderna. Sia nel jazz come nel pop gli esempi si contano sulle dita di una mano: Ian Anderson dei Jethro Tull e Ray Thomas dei The Moody Blues nel progressive, Herbie Mann nel jazz e nella world music. Ed è proprio in quest’ultimo filone che lo strumento che si fa risalire all’uomo di Neanderthal riesce ad avere un ruolo da protagonista. È, ad esempio, il caso di Naïssam Jalal, artista visionaria che attinge a tecniche arabe, africane, classiche e jazz, hip-hop, esplorando il flamenco, la musica carnatica, il tango, con risultati impressionanti.

Nata a Parigi da genitori siriani, Naïssam Jalal entra al conservatorio all’età di 6 anni per studiare flauto classico. Lo strumento diventerà «il prolungamento del mio corpo», un «organo vitale». La scelta di diventare musicista è poi ovvia quando a 17 anni scopre l’improvvisazione e si diploma. Ma può guadagnarsi da vivere con la sua musica senza sapere chi è? Non si sente né siriana né francese. È semplicemente araba… 

Lascia la Francia alla ricerca delle sue radici. Si stabilisce prima a Damasco, presso il Grande Istituto di Musica Araba della città, dove si proponeva di provare a rimettere insieme i pezzi di un’identità frammentata. Ma Damasco è una città opprimente. Essendo straniera, ogni suo passo è seguito dai servizi d’intelligence. Tre mesi in uno Stato di polizia. Lascia così il Paese per l’Egitto per studiare con il grande maestro violinista Abdu Dagher. «Vivere al Cairo mi ha aiutato a costruirmi umanamente e artisticamente. Ho suonato con i più grandi maestri della musica classica araba, ma ha anche distrutto una parte di me», racconta. Tre anni in un Paese dove le donne devono lottare per vivere secondo i propri desideri.

Di ritorno in Francia nel 2006, la musicista moltiplica anche i progetti che prevedono un incontro con artisti provenienti da altri mondi sonori. Con rapper, musicisti dell’Africa occidentale e arabi, musicisti jazz, ecc. Nel 2011 scoppia la rivoluzione siriana. «È stato allora che mi sono sentita veramente siriana», dice. «Mi sentivo orgogliosa di appartenere a questo popolo. La mia musica è un riflesso di questo mondo folle, fatto di estrema violenza e grande bellezza». 

Naïssam Jalal è così, piena di sana rabbia e di immensa speranza. Il suo flauto è un grido. Porta dentro di sé la dolcezza e il dolore. Naïssam Jalal lo accompagna spesso con la sua voce mentre suona, e trae da questi due strumenti melodie vibranti e strazianti, come lamenti. Il suo lavoro di compositrice e il suo impegno attivista sono intrinsecamente intrecciati. Di fronte all’emergenza, non gira intorno al cespuglio. Chiede un altro mondo, dove la tolleranza, l’equilibrio ambientale, la libertà di pensiero, il diritto a vivere con dignità eclisseranno l’odio, l’avidità, la repressione, le guerre.

Nel flauto trova il legame con il suo mondo. Suona per le minoranze visibili e discriminate in Francia. La sua musica è un’affermazione priva di autocommiserazione. Perché la gravità senza fiato di Naïssam Jalal deriva dalla sua dignità. Porta dentro di sé semplicemente la rabbia che anima la condizione umana che aspira alla libertà. Il suo respiro si trasformerà in un grido straziante, preludio di uno sfogo abbagliante e pieno di rabbia. Il flauto diventerà un pianto.

Alla continua ricerca della spiritualità di fronte a un mondo alla deriva, la flautista franco-siriana firma una nuova opera Healing Rituals, “Rituali di guarigione”: otto brani strumentali registrati in quartetto sotto forma di preghiere animiste dedicate alla natura. Fedele alla sua estetica jazz orientale. Un’opera ispirata dalle sue immersioni in un ambiente ospedaliero. «Non sono una musicoterapeuta ma credo nel potere curativo della musica perché l’ho sperimentato nel mio corpo», tiene a precisare. «E poi l’ho sperimentato in ciascuno dei miei concerti per dieci anni, quando le persone del pubblico alla fine vengono da me per dirmi che hanno pianto e che questo li ha fatti sentire bene. La musica allevia, la musica guarisce».

«Naïssam Jalal incarna gli spiriti di una vasta gamma di espressioni musicali assimilate attraverso un’appassionata sete di conoscenza», scrive Colin Bass. «I suoi progetti musicali sono molteplici. Il suo stile è unicamente universale, mentre la sua visione lucida dei nostri problemi contemporanei infiamma le sue composizioni con intensità e bellezza». 

Naïssam Jalal sarà in concerto alla galleria Carrara di Bergamo il prossimo 23 marzo, il giorno successivo al PARC – Performing Arts Research Centre di Firenze.

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