– Nuovo album, “Storie invisibili”, e tour per la leggendaria band di rock progressivo. Quel filo rosso con “Io sono nato libero”. Temi di attualità, politici, e musica «caravaggesca»
– Vittorio Nocenzi: «La storia non la cambieremo mai con i concerti rock, però può accadere che la musica alternativa dia la possibilità di riflettere da punti di vista diversi da quelli imperanti»
Era il 1972 quando negli scaffali dei negozi di dischi apparve un vinile con la copertina sagomata a forma di salvadanaio. Dalla feritoia si estraeva una striscia di cartoncino con i volti dei membri del gruppo. Era il Banco del Mutuo Soccorso, band ben presto entrata nella leggenda del rock progressivo italiano (e non solo).
Dopo 53 anni, la forza iconica di quell’immagine, il salvadanaio, continua a esercitare un richiamo irresistibile. «Abbiamo aperto il tour lo scorso venerdì al Teatro dal Verme di Milano ed è stato bellissimo», racconta ancora emozionato Vittorio Nocenzi, l’ultimo superstite della formazione originale del Banco. «Tutto esaurito. Sono entrato al buio, non so come abbiano fatto a riconoscermi, forse per la mole, è sceso giù il teatro per un applauso pieno di calore, di amicizia. Milano non è famosa per essere particolarmente focosa come pubblico, invece è stato un incontro commovente, pieno di umanità. Un abbraccio caloroso. Non vedo l’ora di fare un altro concerto per incontrare altra gente». Accadrà presto, il prossimo 15 marzo a Trento, Auditorium Santa Chiara, e poi giù lungo la penisola sino ad arrivare in Sicilia per tre esibizioni: 5 maggio Catania, Teatro ABC; 6 maggio Palermo, Teatro Al Massimo; 7 maggio Agrigento, Palacongressi.

«Il Banco dal vivo ha sempre dato il meglio di sé, quando c’è l’incontro con l’energia umana è un’altra cosa», continua il tastierista e compositore della band. «La musica è fatta così: è l’incontro fra due solitudini, quella di chi la scrive da solo all’inizio e quella di chi poi la sente a casa sua. Queste due solitudini, quando s’incontrano, diventano una esplosione di fuochi d’artificio, di gioia. La musica del Banco è caravaggesca, fatta di esplosioni e raccoglimenti, chiari e scuri intensi, e questo crea ulteriore emotività sia per noi che la suoniamo sia per chi la ascolta».
È una grande vittoria per Vittorio Nocenzi che, nonostante i lutti – le scomparse premature di Franceco “Big” Di Giacomo, la voce, poeta e icona del Banco, e di Rodolfo Maltese, chitarrista storico del gruppo -, gli attacchi subdoli del destino – l’emorragia cerebrale dalla quale nel 2015 Nocenzi uscì indenne -, i vuoti in formazione, è riuscito a mantenere e rinnovare l’energia del Banco, tenendo lontana la nostalgia.
Lo raggiungiamo a Marino, sua città natale. Sta per andare a presenziare all’inaugurazione di un largo intitolato a Rodolfo Maltese, «che ha abitato lì vicino», spiega. «In questi giorni c’è stata una serie di coincidenze strane: oggi questa cerimonia, il disco uscito il 28 febbraio, il 26 febbraio è stato il compleanno di Rodolfo, il 21 l’anniversario della scomparsa di Francesco. Il disco Storie invisibili settimo in classifica in Italia e quinto in Giappone. Chi l’avrebbe mai immaginato un disco del Banco in classifica nel dopo Sanremo! Concerti, teatri pieni. Arrivo a Milano e sbarco in Corso Buenos Aires, alla Pensione Colombo, oggi diventato un “5 stelle”, dove arrivammo nel 1972 per registrare il disco del Salvadanaio».

L’iconico salvadanaio torna ancora nel nuovo album del Banco, Storie invisibili, terzo capitolo della trilogia cominciata con Transiberiana nel 2019, compiuta metafora del viaggio della vita, seguita nel 2022 da Orlando: le forme dell’amore, tributo a un progetto ariostesco che il grande Francesco Di Giacomo aveva vagheggiato e intuito. Sul salvadanaio, stavolta, si posa una lente d’ingrandimento che evidenzia una mietitrice: è la metafora di un album che vuole rendere visibili storie invisibili.
«È una foto particolare che ho scattato io viaggiando in Etiopia, mentre andavo da Addis Abeba verso il nord della nazione, ai confini dell’Eritrea», racconta Vittorio Nocenzi. «Vidi questo campo di grano giallo dorato, era un giallo alla Van Gogh, con al centro un punto rosso. Non capivo cosa fosse. Allora presi l’iPhone e scattai per ingrandirla con le dita. Scoprii che era una donna africana con una maglietta rossa, piegata a falciare il grano. E quando decidemmo il terzo titolo della trilogia, Storie invisibili, mi tornò in mente quell’immagine: mi sembrò molto emblematica. E la copertina diventa questo: il salvadanaio, dove mettiamo la nostra musica, le nostre storie, la lente d’ingrandimento che le fa diventare visibili. Un passaggio dal particolare all’universale. E soprattutto al contemporaneo. Ci piaceva che le storie fossero legate agli episodi attuali».
Sembra esserci un filo rosso fra Storie invisibili e Io sono nato libero, uno degli album storici del Banco del Mutuo Soccorso, pietra miliare del rock italiano degli anni Settanta. Allora era il Cile di Allende, oggi sono l’Ucraina (La casa blu) e Gaza (L’ultimo moro dell’Alhambra), e gli studenti continuano a prendere manganellate oggi come cinquant’anni fa.
«Ancora le stesse bestialità», è l’amarezza di Nocenzi. «Vedo neolaureandi e ricercatori manifestare scontrandosi con la polizia, mi sembra di tornare negli incubi del passato, quelli che io ho vissuto in prima persona come studente del 1969, quando ero iscritto all’università La Sapienza a Roma. Mi ricordo bene che nelle nostre teste e nei nostri cuori c’era l’esperienza della Comune di Parigi alla fine dell’Ottocento, ecco perché nella canzone cantiamo “Allons enfants”. Non cambia niente, porca miseria. Noi di quella generazione pensavamo che avremmo avuto un futuro migliore, diverso, invece siamo di nuovo dentro a guerre fratricide, massacri di bambini, donne, città distrutte. Una guerra fratricida fra Russia e Ucraina chi se la immaginava nel 2024. Oppure sentire un presidente degli Stati Uniti che dice: “Va be, ora mi prendo la Groenlandia”. E poi lo Stretto di Panama e il Canada. Sembra uno ubriaco di prima mattina che parla mentre gioca a Risiko. Cose da matti. Allora occorre che la musica, come cinquant’anni fa, dia un suo piccolo, marginale contributo, perché è chiaro che la storia non la cambieremo mai con i concerti rock, però può accadere che la musica alternativa dia la possibilità di riflettere da punti di vista diversi da quelli imperanti. Bisogna risvegliare le coscienze della gente intorpidite. Non so come possiamo ancora sopportare tutti i tg, tutti, quelli privati e quelli statali: prima le immagini atroci dei bombardamenti, città ridotte in cumuli di macerie, poi passiamo al resto delle notizie, femminicidi, morti bianche sul lavoro, pensionati uccisi e ritrovati mummificati dopo mesi chiusi in casa da soli, e così via. C’è solo cronaca nera. Vogliono intossicare le persone, perché siano pronte ad accettare qualsiasi cosa. Siamo tornati nel Medioevo dell’emotività, abbiamo paura del diverso, del nuovo. Ecco che c’è bisogno che noi facciamo i partigiani del Terzo millennio. Ben venga la musica come strumento per far pensare».
Canzoni per pensare, che parlano di temi attuali, di guerre come di amore, della perdita di valori come la solidarietà e la socialità. «che abbiamo sostituito con quelli falsi del consumismo e dell’individualismo», di storia (Sarà ottobre è un piccolo trattato sull’evoluzione della Rivoluzione russa da dittatura “del” proletariato a dittatura “sul” proletariato). Canzoni che portano la firma di Nocenzi, di suo figlio Michelangelo e dello scrittore e regista Paolo Logli. Brani intarsiati di cambi di tempo e voli di tastiere come nella migliore storia del Banco, che si agganciano alla canzone d’autore in Studenti e Il mietitore, sfiorano atmosfere da musical in Cena di Natale e Spiegami il mondo, con i piedi ben saldi nella tradizione del prog. Un album, Storie invisibili, che indica come il buio e silenzioso Capo Horn sia ancora molto lontano per il Banco.

«Finché c’è questa risposta entusiasta che abbiamo trovato al Teatro dal Verme a Milano sarà difficile che ci fermeremo al nostro Capo Horn», commenta Vittorio Nocenzi. «Perché è una investitura di responsabilità. Io dico sempre che nel lavoro di un artista ci deve essere una componente di grande tensione etica ed estetica. Bello e buono sono contigui. Il momento apollineo se riesce a fondersi con quello dionisiaco interpreta in modo più grande il messaggio artistico».
Queste le date del tour:
15 marzo Trento, Auditorium Santa Chiara;
22 marzo Alessandria, Teatro Alessandrino;
24 marzo Seriate – Bergamo, Teatro Gavazzeni;
28 marzo Busto Arsizio (Varese), Teatro Sociale;
29 marzo Varese, Teatro di Varese;
4 aprile Rezzato (Brescia), Cineteatro Lolek;
5 aprile Conegliano (Treviso), Teatro Accademia;
12 aprile Piacenza, Teatro Politeama;
5 maggio Catania, Teatro ABC;
6 maggio Palermo, Teatro Al Massimo;
7 maggio Agrigento, Palacongressi.