– Esce “Canzone della Contea di Levante”, album (e romanzo) che segna il ritorno del cantautore di Ameglia dopo undici anni di silenzio. È una sorta di “Spoon River” di quel lembo di terra fra il mar Ligure e le Apuane
– «Un libro e poi un disco nati nella casa dell’oratorio, che è la mia casa, fra voci lontane e fantasmi carini». Che sono il padre, la madre, il nonno e tutti i personaggi che popolano un lavoro che sa di pietre antiche, di terra, di mare
– La chitarra dell’autore è la stilografica del romanziere e le musiche acustiche accompagnano la narrazione senza disturbarla. «Ho capito che ero un cantore di questo territorio e mi soffermo per capirlo per intero»
«La Contea di Levante arriva da una fervida immaginazione di Mario Soldati, uno dei primi lettori di Paolo Bertolani, che in un bel giorno di primavera la fece sbocciare in mezzo a chiacchiere e bicchieri di vino, proprio come possono spuntare le margherite, e che poi Paolo fece sua e che ora volentieri ho fatto mia», commenta Antonio Lombardi presentando Canzone della Contea di Levante, album (e anche libro) in uscita il 27 settembre che segna il suo ritorno alla musica dopo ben undici anni di silenzio. Eppure, nel 1993 aveva vinto il Premio Recanati assieme ad altri “giovani” di belle speranze come Gianmaria Testa e i Fratelli Mancuso, e tra il 2008 e il 2013 aveva registrato quattro album. Poi, d’un tratto, è scomparso dai radar.
«Beh, io alle volte mi nascondo, poi salto fuori. In questo caso l’ho dovuto fare per forza…», sorride al telefono da Ameglia. «Quel periodo dopo il 2013 avevo pensieri sgarbati, maleducati. Era come se io e la musica ci stessimo picchiando. Volevo capire il perché. Per la musica avevo dato tanto. Volevo capire meglio da dove venivo, perché ho fatto questo tipo di lavoro. Mia madre era un soprano, non aveva studiato, ma le piaceva il canto. Aveva il suo regno in chiesa le domeniche mattina e nelle sere dei vespri, ma era ai fornelli che la sua voce intensa si liberava colorando quella piccola cucina. Mio padre no. Lui aveva studiato, era un contadino di vigna e ulivo, ma poi si è imbarcato sulle petroliere e ha fatto tutta la vita navigando: chissà se avrà mai cantato durante i suoi interminabili viaggi di mare».
Partendo dai ricordi, Antonio Lombardi ha fatto una sorta di riepilogo della sua vita, un rewind lungo undici anni.
«Mi sono detto: “Voglio partire da questa specie di Macondo nel quale vivo e dove ho incontrato una serie di personaggi strani”», continua a raccontare. «E, allora, ho cominciato a scrivere, a raccogliere i ricordi, accorgendomi che c’era tutto uno strato di cose che mi aveva portato a prendere in mano la chitarra, a suonare».
Una ricerca sul territorio, in quella Contea del Levante, la frangia meno conosciuta della Liguria, al confine con la Toscana e la Lombardia: mare, terra e le Apuane. Terra di “contadini di mare”. «Noi siamo una terra che ha dato tanto al mare, anche io sono un figlio di un marittimo, di un cuoco di bordo. Però erano quasi tutti contadini che lavoravano la terra, ma poi si sono imbarcati perché era più facile lavorare con il mare», spiega. «È una terra ricca, c’è un fiume importante, il Magra, che divide la Toscana dalla Liguria. Di là c’è la Versilia, di qua Lerici, Portovenere, le Cinque Terre. Di là la spiaggia, di qua gli scogli».
Ed è ad Ameglia, sulle sponde del Magra, che Antonio Lombardi vive. Nella casa dell’oratorio, fra voci lontane e fantasmi carini, «una casa molto vecchia che è stata abitata da sempre, con un antico crocefisso che veniva portato in processione e che è raffigurato sulla copertina del disco. Ogni tanto puoi vedere spostare un quadro… I fantasmi sono un po’ quelli». È lì che nasce la sua Spoon River, intima e personale. E i “fantasmi carini” sono quelli del padre (Il cuoco a bordo), della madre (La casa dell’oratorio), del nonno (Il messo comunale innamorato) e tutti gli altri personaggi che animano il racconto di una vita: da Il figlio di Maddalena a Il prete di collina.
«Tutti personaggi che popolano questa terra, che mi hanno accompagnato. Ho capito che ero un cantore di questo territorio». Il cantore soggettivo, come canta: “… ed adesso che son qui / in quest’angolo di mondo / mi soffermo per davvero / a capirlo per intero / quel che sono o che sarò”.
Dieci canzoni, dieci racconti sonori brevi. «Il libro è stato l’innesco a farmi scrivere il disco, nel quale racconto la mia vita», sottolinea l’autore. E fra i personaggi di questo racconto incontriamo anche i musicisti che accompagnano Lombardi. «Perché in realtà Il Cristo sul trattore è proprio il fisarmonicista Livio Bernardini: me lo ricordo quand’eravamo ragazzi con quei capelli biondi, barba lunga, che sembrava proprio un Cristo. Il violoncellista Franco Pagano è “don” perché è proprio un prete. Io lo conoscevo come un ottimo violoncellista, poi è diventato prete. L’ho costretto a venire a suonare fra un funerale e un matrimonio. Poi c’è “Il mistico”, Egidio Simeone: ha deciso di andarsene pochissimo tempo fa, perché ha avuto un infarto. È la persona che ha lavorato con me tantissimo, la prima che ha ascoltato i provini e che ha registrato in maniera bellissima. Lo chiamiamo “Il mistico” perché era un uomo di grande fede, ma gli piaceva tutto, dal buddismo al cristianesimo. Massimo Azzarini è invece “Il maestro”, suona piano, basso chitarre, lui è uno che ha studiato musica, mentre noi siamo analfabeti».
La musica accompagna il racconto, non lo disturba, né distrae. Acustica, lieve, mescola in modo originale Bob Dylan e David Crosby a Lucio Dalla e Fabrizio De André. La chitarra di Antonio Lombardi è la stilografica del romanziere. La canzone è come un antico racconto. Canzone della Contea di Levante è un album che sa di pietre antiche, di legna, di terra, di mare. Di antico.
Disco e romanzo sono pubblicati da Squilibri editore d’intesa con gli Archivi della Resistenza nel segno di una perseveranza che intende rinnovare, nelle pieghe di esistenze ordinarie e nelle straordinarie ricchezze della provincia italiana, la necessità di un’opposizione ad ogni forma di omologazione.