Interviste

I quadri sonori di GLORIA TRÌCAMO

– “Una piccola guerra” è lo splendido esordio discografico della cantautrice di Civitavecchia: una voce lontana anni luce dalla vacuità e dalla omologazione della gran parte della musica italiana
– «Ho avuto tante difficoltà nell’espormi, perché c’erano tante insicurezze. Nelle mie canzoni mi metto a nudo, sono molto intime. Non è semplicemente interpretare una canzone d’amore»
– Il suo è un mix emotivo di calore e malinconia e una certa intimità da notte fonda: persino i sinistri arpeggi in stile Radiohead sono smussati dal tono sussurrato e dalla dolcezza della melodia
– “Euforia” nata a Palermo, «città bellissima, con un centro storico fra i più grandi d’Italia, ma completamente abbandonato». Riferimenti a Michelangelo Antonioni ed a Cesare Pavese

Sono soltanto quattro tracce quelle che compongono Una piccola guerra, Ep d’esordio di Gloria Trìcamo, ma condensano mondi sonori, poetici, pittorici, cinematografici, teatrali e letterari, che lasciano stupefatti per naturalezza, originalità e personalità. Sono tracce che portano lontano dai sentieri battuti dall’indie o dall’urban, verso orizzonti musicali più complessi che fondono la canzone d’autore con l’elettronica, il jazz, la bossa nova e il rock. Brani con un peso specifico, lontani anni luce dalla vacuità e dalla omologazione della gran parte della musica italiana che si ascolta nelle radio. Con classe, cuore e versatilità, si pone a pieno titolo tra le cantautrici contemporanee che diventano un riferimento per gli altri.

Gloria Trìcamo (foto Nastasja Budjevac)

Gloria Trìcamo è un’aliena nella scena musicale nazionale. Le sue composizioni sono suggestioni post-impressioniste, molto realiste, influenzate dai quadri della nonna e dai racconti del nonno marinaio che hanno fatto compagnia alla sua infanzia in una vecchia stazione dei treni a Civitavecchia. E dalle narrazioni dello zio Mario, noto regista teatrale e collaboratore di Luigi Squarzina.  

«Mi hanno dato accesso a una bellezza che non avrei ritrovato nella mia città. È stata una fortuna ritrovarmi a stretto contatto con queste visioni, racconti e, soprattutto, con il teatro di mio zio che quando ero piccola mi portava sempre ai suoi spettacoli», ricorda Gloria. «Il teatro di mio zio era di denuncia civile, ispirato al teatro povero di Grotowski. Erano spettacoli su Aldo Moro, Ilaria Alpi, sulla strage di Ustica. Forse per una bambina, avevo 8 anni, erano un po’ forti, però mi hanno fatto capire sin da subito che l’importante è andare a sviscerare la verità in ogni cosa. Un elemento sempre presente nei suoi spettacoli era la musica, c’era una piccola orchestra fatta di polistrumentisti e questo mi affascinava tantissimo. Per me è stata una ricchezza enorme, che mi sono portata dietro e che poi con il tempo ho metabolizzato perché non ero ancora preparata ad accogliere quest’arte, servono degli strumenti che con l’età ho imparato a maneggiare».

E poi il papà batterista, che le ha fatto “respirare” la musica sin da piccola. «Anche lui autodidatta, ebbe la fortuna di far parte della band di Iva Zanicchi e di altri artisti dell’epoca. Purtroppo, poco dopo essere nata, papà ha smesso questo lavoro, però lo rivivevo attraverso le audiocassette di tutti i suoi concerti. La passione me l’ha trasmessa attraverso gli ascolti. Prima la musica si viveva in modo molto più fisico. Eravamo sempre immersi dalla musica, ovunque, in macchina, nei viaggi. Era sempre presente. È qualcosa che oggi si è perso».

  • Oggi la musica si sente dappertutto, nei negozi, nei supermercati, mentre cammini per strada. Anzi, forse se ne ascolta troppo.

«È un ascolto diverso, più di sottofondo. Prima era legato anche all’oggetto e all’artista: avevi in mano la cassetta, o il cd. C’erano i negozi di dischi. Una volta, ogni settimana, andavo a comprare un album e scoprivo l’artista in modo diverso. Oggi, almeno nella mia città, a Civitavecchia, è rimasto soltanto un negozio che vende dischi». 

Gloria Trìcamo in concerto (foto Riccardo Parrinello)

La passione per la musica è stata coltivata da Gloria Trìcamo parallelamente agli studi, conclusi con una laurea in Architettura. Giunta al bivio, ha deciso di andare dove la portava il cuore. 

«Sono due mestieri molto diversi, molto creativi. Non so quale sia la più difficile … Forse adesso ti direi il musicista, perché ha tantissimi mondi all’interno, mentre l’architettura è fatta di progetti, costruisci, stai sempre in quel campo. La musica, invece, ti apre a qualsiasi cosa», commenta. «Per anni mi sono divisa fra queste due strade, forse perché volevo preservare il mio modo di fare musica, di scrivere. L’ho fatto spesso per me stessa, ed è stato uno dei motivi per i quali ho impiegato un po’ di tempo a registrare questo EP, a decidere di fissare queste canzoni. Non ti nego che io ho avuto tante difficoltà nell’espormi, perché c’erano tante insicurezze. Nelle mie canzoni mi metto a nudo, sono molto intime nelle cose che dico. Non è semplicemente interpretare una canzone d’amore. Ho dovuto prendere molto coraggio, soprattutto per farlo in questo modo con un vestito non di tendenza».

E con una lunga gavetta, durante la quale si è conquistata la stima di musicisti che oggi l’accompagnano nel suo esordio discografico: Luca Carocci, che è anche il produttore, Roberto Angelini, Fabio Rondanini e Andrea Pesce, capaci di dare ai brani un respiro internazionale. Quell’internazionalità che Gloria aveva già respirato a Parigi. «Ero nella capitale francese perché per un anno ho studiato lì architettura per il master. Mentre studiavo scappavo sempre dove si suonava o c’erano jam, cercando altri musicisti, connessioni, nuove influenze».

Gloria Trìcamo (foto Cecchetti)
  • Mai avuta la tentazione del talent?

«No, lo dico proprio con convinzione. Me lo hanno proposto svariate volte di andare a “X Factor”, di fare le audizioni, ma non mi piace proprio questa gara, questo espormi così tanto in un campionato che non mi appartiene».

  • Stesso discorso per Sanremo Giovani?

«No, ho partecipato ad Area Sanremo tanti anni fa senza superare le audizioni. Sanremo è un po’ diverso, quello è un palcoscenico che mi farebbe piacere, perché non ha il meccanismo dei talent, dove firmi contratti capestro e non lavori più per la tua musica». 

  • Quali sono stati i modelli con i quali sei cresciuta, che ritieni essere stati importanti per la tua formazione?

«Non c’è stato un vero e proprio modello iniziale, ma ho scoperto piano piano, attraverso tantissimi generi, alcuni artisti che mi hanno sicuramente influenzato. Quand’ero più piccola, adolescente, mi piaceva tantissimo il rock, anche cose un po’ più spinte, tipo Rage Againts the Machine, Queens of the Stone Age, poi il mondo alternative, ma anche punk. Sono passata a PJ Harvey, mi piacciono tantissimo le cantautrici donne: Fiona Apple, Joan as Police Woman, St. Vincent. E poi ho avuto un momento in cui mi sono dedicata completamente all’ascolto del jazz, e quindi ho avuto questo amore per Billie Holiday, Blossom Dearie, Ella, Sarah Vaughan, Carmen McCrae».

  • Molte voci di donne…

«Non so se perché fa parte della mia ricerca. Essendo donna, mi rendo conto che è inevitabile che siamo diversi, abbiamo un modo diverso di vivere le emozioni, di trasmetterle o di percepirle. Quindi, mi rispecchio di più nei testi di una donna, senza voler fare discriminazioni, sono tantissimi gli artisti uomini che adoro. Nella scrittura c’è una interpretazione diversa, magari noi siamo più intimiste sotto certi punti di vista».

  • Nella musica italiana non hai trovato nulla che ti abbia incuriosito?

«A casa mia si ascoltavano Battiti, Lucio Dalla, ma anche Ivan Graziani, Piero Ciampi, Ornella Vanoni. Mi piace molto Tregua, il primo disco di Cristina Donà». 

Di tutti gli artisti citati, sarà tuttavia difficile rintracciarne qualcuno al quale collegare Gloria. La ragazza di Civitavecchia è uno, nessuno e centomila. Il suo è un mix emotivo di calore e malinconia e una certa intimità da notte fonda: persino i sinistri arpeggi in stile Radiohead sono smussati dal tono sussurrato e dalla dolcezza della melodia. La voce, lenta e ammaliante, avvolge la narrazione: una delizia bellissima e meditabonda.

Nel brano d’apertura dell’EP, la soffice ballata rock Discount, c’è una frase che è già un programma: “Un’armonia di luci al neon nel parcheggio del discount”. Introduce in una dimensione di periferia, di noia, alienazione e vite al ribasso, dove il freddo delle luci al neon dipinge un quadretto in bianco e nero, dai forti contrasti chiaroscurali. E lei chiede: “Andiamo via da questo schifo di poesia”. 

«È una ballad con tante sfumature», spiega lei. «Io ci vedo dentro anche un po’ di bossa nova, più che altro per l’attitudine. È un testo molto forte, non dice cose leggere, però in contrasto con questa musica molto dolce, questi accordi molto jazz. Parla della mia città, c’è un desiderio di fuga o comunque di provare a portare gli altri ad immaginare, a uscire fuori dalla routine».

Un viaggio tra le pieghe della quotidianità da Civitavecchia a Palermo, dove troviamo Gloria passeggiare un sabato sera lungo le vie della movida, fra ragazzi e ragazze che bevono e si divertono senza dare mai uno sguardo intorno. È la canzone Euforia, in cui fanno capolino i Radiohead sia nel loop e nell’arpeggio, come nell’uso della voce.

«A Palermo mi sono ritrovata perché ho una cara amica che vive là. Ho trascorso qualche mese nel capoluogo siciliano quando dovevo preparare l’esame di Stato per architettura», racconta. «È una città bellissima, mi piace molto perché, sotto certi aspetti, mi ricorda Parigi. Può sembrare assurdo, ma io ho vissuto la capitale francese anche nelle zone più periferiche: è una città con dei contrasti molto violenti, non è quella metropoli romantica che ci raccontano nei film o nei libri. Palermo, però in una chiave molto più decadente, ha questi contrasti. È una città bellissima, ha un centro storico fra i più grandi d’Italia, però completamente abbandonato. Mi affascinano molto le città, anche Napoli, vedere questa stratigrafia, come se si riuscisse a leggere il tempo in una città».

  • Più che sulla città, in Euforia ti soffermi sugli abitanti: “C’è qualcuno che si salva qui, disperso tra la folla nell’euforia nervosa di un sabato sera”. I temi della incomunicabilità, della solitudine, affiorano spesso nelle tue canzoni.

«È un tema che mi piace molto, non a caso sono anche una appassionata di Michelangelo Antonioni, della sua trilogia della incomunicabilità: L’AvventuraLa Notte e L’Eclisse. Ho cercato di tradurre quei film nella mia musica. In questo caso si parla di una solitudine spesa tra la folla. È stata una sensazione che ho vissuto un sabato sera a Palermo: questo mare di folla, di ragazzi provenienti da tutti i paesi limitrofi, di giovani, all’inizio mi ha quasi spaventata. Quando canto “mi manchi, mi manchi” come un mantra è un riferimento a mio zio, la cui scomparsa, quando avevo 17 anni, l’ho vissuta in modo molto forte, perché è stato una persona molto presente nella mia infanzia, che mi ha insegnato a prendere delle cose orribili e farle diventare bellissime. Sempre a vedere l’altra faccia delle cose».

Gloria Trìcamo in concerto (foto Riccardo Parrinello)
  • Anche il brano che dà il titolo all’EP, Una piccola guerra, è denso di significati e riferimenti.

«È un brano che ha tantissime sfaccettature. Sicuramente la frase che sintetizza il significato è quando dico: “Le luci si muovono e sembrano armi”, frase che si ripete nella coda. È un invito a saper distinguere le luci dalle armi, ovvero come spesso l’apparenza possa nascondere cose terribili e noi non sappiamo più riconoscerle. Molti non riescono a percepire cosa c’è dietro un evento. Un bello ammaliante a volte non è quello che sembra».

  • Qui la citazione è letteraria: La luna e i falò di Cesare Pavese. 

«Perché è il libro che mi sono portata dietro per una estate. Anche quando ho scritto Discount, quando all’inizio canto “la notte ti somiglia” ho scoperto che è l’incipit anche di una poesia di Pavese. Ho sempre letto libri non del mio tempo». 

  • Invece quando parli di “terre distratte” a cosa alludi?

«È il riferimento a un territorio, al segno dell’uomo sul paesaggio. E ultimamente è distratto, non ha più cura di questo segno che sta lasciando».

  • Si chiude con “Scompare”, in duetto con Luca Carocci e una fanfara che ricorda l’ultimo David Bowie. È una canzone di una potente intensità sul ruolo dei ricordi.

«Hanno un ruolo importante, perché li vivo come sovrastrutture che spesso ci indirizzano nel presente. Bisogna saperli controllare. Nella canzone c’è questa intenzione di lasciarli un po’ andare e di non dargli il peso che invece spesso si prendono. Ci sono ricordi dolorosi che inevitabilmente compromettono un po’ il coraggio di agire nel presente. In questo brano, è l’ammissione che abbiamo tutti delle fragilità, perché adesso siamo portati a essere super performanti. Bisogna rendersi conto dei propri limiti e lasciare le cose che non servono».

Una piccola guerra è chiaro che è soltanto un piccolo assaggio dell’enorme talento di Gloria Trìcamo. Che, dopo essersi nascosta per diverso tempo, ha trovato il coraggio di rivelarsi e di aprirci il suo meraviglioso mondo. Alla riservatezza, adesso, si è sostituita un’urgenza espressiva che l’ha già portata in studio per mettere insieme «le tante canzoni che ho raccolto in questi anni suonando per l’Italia» e registrare un album. Però, per assecondare le sue insicurezze, ancora non lo annunciamo. 

Nel frattempo, se vi capita di incontrarla, non lasciatevela scappare. La troverete il 14 giugno a Melpignano, il giorno successivo a Lecce ed il 20 dello stesso mese a Torino.

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