Disco

I paesaggi dell’anima di DANIELA MASTRANDREA

– La pianista pugliese parla del suo nuovo album “Timelapse” realizzato con la flautista Antonella Benatti. «È un viaggio intimo, e ogni brano porta con sé un’emozione o un ricordo»
«Le composizioni arrivano sempre come doni, inaspettatamente. Quello che faccio, per accoglierle e veicolarle, è mettermi in ascolto di me stessa, restare connessa»
– «Gli ascolti su Spotify mostrano un indice più alto all’estero rispetto all’Italia, dare titoli in inglese mi è sembrato un modo per omaggiare chi mi ascolta nel mondo»

River, la traccia che apre Timelapse, il nuovo album della pianista e compositrice Daniela Mastrandrea, è il brano-manifesto dell’album: lo scorrere dell’acqua, il movimento incessante che trasforma ciò che è stato in nuova vita, come il fiume che non è mai uguale a se stesso. Poi, però, il fluire delle sensazioni, il dialogo interiore ampliano i significati del disco, tracciando un paesaggio dell’anima. La natura, che influenza River Heart Spring, incontra la memoria (GlanceLandscapesChanson) e la confessione (Hidden SideSolaceSoulscapes Hope). 

«La volontà iniziale era proprio quella di delineare il fluire», spiega la pianista pugliese. «Quando ho scritto River, non immaginavo che sarebbero nati altri brani, né che li avrei raccolti in un album. Ho semplicemente fluito con la vita e con la musica. Di conseguenza, non potevo immaginare temi o momenti musicali: è stata la musica stessa, arrivando, a suggerirmeli di volta in volta. Solo a percorso ultimato ho potuto constatare i tre momenti. Più che “confessione”, userei la parola “conforto”: quel conforto che siamo in grado di dare a noi stessi quando impariamo a prenderci cura delle nostre ferite. Timelapse è un viaggio intimo, e ogni brano porta con sé un’emozione o un ricordo. Se chi ascolta percepisce questi tre momenti, significa che la musica ha trovato un suo dialogo anche al di fuori di me».

Daniela Mastrandera e Antonella Benatti

Ed è dentro di sé che Daniela Mastrandrea trova l’ispirazione. Timelapse, registrato con la flautista Antonella Benatti, è un’esperienza di ascolto semplice, emotivamente coinvolgente, senza sobbalzi, improntata al gusto per arrangiamenti ed esecuzioni che valorizzano le qualità espressive tradizionali di pianoforte e flauto.

«Le composizioni arrivano sempre come doni, inaspettatamente», sottolinea l’artista. «Quello che faccio, per accoglierle e veicolarle, è mettermi in ascolto di me stessa, restare connessa, così da poterle fermare e scriverle quando arrivano. Il fatto che risultino intime e personali dipende dal mio modo di scrivere: non c’è nulla di calcolato o razionale, ma solo un ascolto profondo di ciò che mi circonda, che sia visibile o invisibile. Anche le composizioni di Timelapse sono nate da una suggestione: la mia amicizia con Antonella. Quando sono arrivata al Liceo Musicale Bartolomeo Zucchi di Monza, non conoscevo nessuno, e Antonella ha preso a cuore la mia musica, promuovendola meglio di quanto io stessa avrei saputo fare».

Daniela Mastrandrea è stata considerata una “enfant prodige”, anche se lei nega «di esserlo stata. Ognuno di noi nasce con un dono, e il mio è sempre stato scrivere». E oltre centoquarantacinque composizioni pubblicate tra album e singoli in trentacinque anni, considerando che cominciò a 9 anni a comporre i suoi primi pezzi, lo confermano. Anche perché curiosamente all’attività “live” preferisce quella in studio. «Diciamo che il mio primo obiettivo non è fare concerti, ma scrivere e pubblicare. Ognuno di noi ha una propria missione di vita, e sta a noi individuarla e metterla in atto», dice. «Non credo sia né facile né difficile portare in giro una proposta musicale come la mia: tutto dipende da dove si dirige la propria attenzione. Il pensiero è energia, e noi creiamo realtà laddove direzioniamo la mente. Il mio pensiero è continuamente alla scrittura e alla produzione. Con questo non voglio dire che non faccio concerti: ci sono già delle date in programma, la prima a fine novembre, e le altre seguiranno, anche se sono ancora in via di definizione».

Nella sua attività compositiva, Daniela Mastrandrea è passata con disinvoltura dalla classica al jazz, dall’elettronica alla christian music. È stata ospite del Festival Time Zones alla ricerca di musiche possibili. Ha duettato con il contrabbasso jazz di Michele Paternoster in due album in Duo e Murakami, ha scritto il suo secondo album Fluide Risonanze per quartetto — flauto, violino, violoncello e pianoforte — e in “Timelapse” dialoga con un flauto. Oltre ad avere una importante produzione di lavori per piano solo.

«Ho sempre composto per organici diversi e in stili differenti. La scelta del piano solo, in alcuni casi, è stata semplicemente legata ai costi di produzione: coinvolgere più musicisti e uno studio di registrazione ha un impatto notevole, mentre il piano solo è naturalmente più accessibile», argomenta. «Fluide Risonanze nasce proprio dal desiderio di ricreare un effetto orchestrale con pochi strumenti. Accanto agli album, che le piattaforme di streaming mettono in evidenza, ci sono poi diversi singoli in formazioni molto diverse, scritti anche in periodi lontani nel tempo. In realtà, ho sempre scritto “di tutto e di più”, indipendentemente da ciò che poi ho deciso di pubblicare. Per esempio, Duo, il primo album con Michele Paternoster, contiene brani composti durante l’adolescenza, anche se è stato prodotto solo di recente. Per me, la musica rappresenta la vita, che nella sua ciclicità non è mai uguale a se stessa. I sentimenti sono molteplici e contrastanti: perché allora confinarsi a un solo genere o stile? La musica è libera dalle etichette che nel tempo le abbiamo dato, e a me piace fluttuare tra generi e stili».

  • Alcune tracce – Hidden side, per esempio – rimandano a colonne sonore. Quanto sono importanti le immagini nel momento compositivo?

«Sono i brani a suggerirmi le immagini, e non il contrario. La mia scrittura nasce da un’introspezione sincera e profonda, un ascolto di me stessa. Che poi alcuni di questi brani possano richiamare colonne sonore è una conseguenza naturale, legata anche al fatto che ciascun brano racchiude un momento di vita vissuta: la mia».

  • Le piacerebbe musicare un film?

«Certamente, sarebbe una bellissima esperienza. Amo il modo in cui le immagini possono dialogare con i suoni. Credo che la musica possa amplificare emozioni e narrazioni, e mi piacerebbe farlo in modo personale, portando il mio mondo sonoro dentro un’altra storia. Ho già avuto esperienze simili in passato, e tornare a farlo mi piacerebbe davvero tanto».

  • Fatta eccezione per Landscapes, sono tutti brani sotto i quattro minuti. È una scelta?

«Lascio la musica sempre libera di essere, esattamente come faccio con me stessa. Non mi piace dilungarmi quando ho già detto tutto ciò che era necessario dire. Così nella musica: ogni brano ha una sua essenza. Quando si scrive, bisogna saper ascoltare ciò che la musica ha da dire. Spesso si frappone il pensiero, ma la musica ha una propria natura che, se lasciata libera, emerge spontaneamente. Mi è capitato di scrivere brani più lunghi, comeMare Dentro (9’17″) o Quasi Luna (8’29″), entrambi tratti dall’album Lo Specchio per pianoforte solo, ma in quei casi è stata la musica stessa a chiedermelo».

  • Perché titoli in lingua inglese? Nei dischi piano solo sono invece in italiano.

«Non a tutte le domande ci sono risposte. Quando ho iniziato a scrivere, da bambina, non davo nemmeno titoli ai miei brani: ero convinta che un titolo potesse ingabbiare la musica, così come l’immaginazione di chi l’ascolta. Ho capito di doverli dare solo durante la registrazione del mio primo album, quando, dopo aver registrato tutte le tracce, i fonici mi chiesero come rinominarle. Restai perplessa, ma alla fine, basandoci su ciò che i brani trasmettevano, scegliemmo dei titoli e li rinominammo. Ho sempre dato titoli in italiano, finché la scrittura non è diventata per me una scelta di vita, un modo per ritrovarmi, quasi casualmente, di volta in volta. I miei primi album non sono stati completamente una mia scelta, ma più l’adempiere a un desiderio altrui. Con il tempo, man mano che prendevo consapevolezza, ho iniziato a decidere e scegliere in prima persona. Dal momento che gli ascolti su Spotify mostrano un indice più alto all’estero rispetto all’Italia, dare titoli in inglese mi è sembrato un modo per omaggiare chi mi ascolta nel mondo. In ogni caso, questa è una scelta che riservo esclusivamente agli album con Michele Paternoster e Antonella Benatti: i miei album per pianoforte solo continueranno ad avere titoli in italiano».

  • Con quale altro strumento le piacerebbe dialogare in futuro?

«Quando la musica approda alla mia mente, ha già una sua definizione precisa. Nella maggior parte dei casi non scelgo a priori lo strumento per il quale scrivere: è la musica stessa a suggerirmelo, perché melodia e armonia mi arrivano già con un’idea chiara per timbro e intenzione. Successivamente, convoco le figure interessate per le registrazioni. I duo con Antonella Benatti e Michele Paternoster rappresentano un’eccezione».

  • Lei è nata in Puglia, vive ancora lì o si è trasferita altrove?

«Al momento mi trovo a Monza per una supplenza temporanea al Liceo Musicale Bartolomeo Zucchi, ma per il resto sono e resterò pugliese vita natural durante».

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