– La mostra allestita nel Palazzo Garofalo di Ragusa, nel suo piccolo, tenta di ricostruire la società, la religione, l’arte, il rapporto con l’aldilà, la vita dei Faraoni
– Pur interessante, l’allestimento avrebbe meritato spazi meno angusti e tortuosi, con qualche stanza in più e una maggiore ricchezza di reperti
Era il 401 a.C. quando Dionigi il Vecchio, re di Siracusa, trasferì sull’Etna la popolazione di Mendolito, città degli antichi Siculi, fondando un tempio dedicato alle divinità Adr e Anu: così nacque Adranu, in onore di Anubi, il dio dell’oltretomba egizio, custodito da migliaia di cani della stessa razza del “Pharaon Hound” sopravvissuta intatta fino a oggi nel “Cirneco” etneo.
Le relazioni tra la Sicilia e l’Egitto fiorirono tanto da influenzare mode e costumi siculi, oltreché prosperi commerci tra i Regni tolemaici e quelli siracusani, culminati nel matrimonio nel 306 a.C. del re di Siracusa Agatocle con la principessa Teossena, figlia di Tolomeo I, che giunse in Sicilia con un corteo di elefanti ed un tempio di Iside, attestato anche da Cicerone nel 70 a.C..
L’apice di queste relazioni fu toccato con Archimede che nel 240 a.C. progettò e fece costruire nei cantieri navali siciliani uno strabiliante vascello a remi ed a vele, della lunghezza di 110 metri, con una capacità di 1.100 tonnellate ed un equipaggio di 500 uomini: fu la più grande nave del mondo antico, inviata da Gerone II in dono al Faraone Tolomeo III e chiamata Syrakosia.

Era una vera città galleggiante di sette piani raffigurante la città di Siracusa, con giardini pensili in terra ed alberi, templi, bagni di marmo e palestre coi pavimenti a mosaico, un eliotropio con l’intera volta del firmamento celeste, serbatoi d’acqua da 20 mila litri, otto catapulte e baliste per gli arcieri. Secondo le cronache, Tolomeo ad Alessandria la fece tirare a secco e trasformare in palazzo di sua residenza.
È stato un conquistatore musulmano, Giafar Ibn-Muhammad, a ribattezzare Catania nell’878 col nome arabo di Medina-t-el-fil (la città dell’elefante) facendovi installare il pachiderma scolpito in pietra lavica, con l’obelisco della dea Iside sulla schiena, a memoria dello sbarco di Teossena (l’odierno Liotru in Piazza Duomo).
E da Ibla (Ragusa), nel 911, partì il condottiero arabo-siciliano Jawhar al-Siqilli (Giafar il Siciliano), che conquistò l’intero Nord Africa, creando l’impero fatimide e fondando la città del Cairo nel 922.

E proprio a Ragusa, nel Palazzo Garofalo quasi dirimpettaio della Cattedrale di San Giovanni, si possono ripercorrere questi legami fra la Sicilia e l’antico Egitto nella mostra “Gli Egizi e i doni del Nilo”, realizzata con i prestiti del Museo Egizio, opere provenienti da istituzioni siciliane: il Museo Archeologico Regionale “Antonio Salinas” di Palermo, il Museo del Papiro “Corrado Basile” di Siracusa e il Museo Archeologico Ibleo di Ragusa. Una rete di collaborazioni che restituisce la complessità della ricezione dell’egittomania in ambito mediterraneo, ma anche un’idea di museo che si muove, si apre e cerca interlocutori fuori dalle rotte abituali.
Sono esposti 27 reperti archeologici, il visitatore viene guidato lungo un itinerario che parte dall’Epoca Predinastica (3900-3300 a.C.) e arriva fino all’età greco-romana. Oggetti di uso quotidiano, elementi rituali, papiri e maschere funerarie raccontano la vita e la spiritualità di una delle civiltà più affascinanti della storia.

Tra le opere più rappresentative: un modellino di imbarcazione funeraria in legno del Primo Periodo Intermedio (2118–1980 a.C.), decorato con simboli protettivi come gli occhi Udjat, e un set completo di vasi canopi in alabastro appartenuti a Ptahhotep, risalenti al Terzo Periodo Intermedio. I quattro vasi, ciascuno con un coperchio scolpito a forma dei Figli di Horus, erano destinati alla conservazione degli organi del defunto, secondo una ritualità complessa e profondamente simbolica.

Si può ammirare una imbarcazione realizzata con il papiro, utilizzata però in Etiopia, e alcuni antichi papiri. Ci sono anche una mummia e un sarcofago di un gatto, animale molto venerato nell’Antico Egitto. Divertente l’uso della multimedialità nella presentazione della riproduzione del sarcofago di Butehamon, per consentire ai visitatori di prendere idealmente parte allo studio scientifico del reperto. Riprodotto in scala 1:1 a partire dai rilievi condotti dal Politecnico di Milano e stampato in 3D, il sarcofago offre una concreta testimonianza di come i dati invisibili raccolti durante l’analisi di un reperto possano trovare una manifestazione materiale. Un sistema di mapping consente, infatti, di raccontare in modo dinamico come il manufatto fu concepito, costruito e successivamente restaurato.

Quando si esce dal percorso della mostra, non si canterà Walk Like An Egyptian, assumendo la caratteristica andatura “geroglifica”, né si tremerà per la visione del fantasma di Belfagor (che non si muove dal Louvre), ma si penserà che l’allestimento, pur interessante, avrebbe meritato spazi meno angusti e tortuosi, con qualche stanza in più e una maggiore ricchezza di reperti.
- La mostra “Gli Egizi e i doni del Nilo” resterà aperta sino al 26 ottobre nel Palazzo Garofalo di Ragusa. Promossa dal Comune di Ragusa, è prodotta e realizzata da Arthemisia in collaborazione con il Museo Egizio di Torino. Orari: dal martedì al venerdì 10:00 – 13:30 | 15:30 – 19:00; sabato e domenica 10:00 – 13:30 | 15:30 – 20:30; lunedì chiuso (la biglietteria e l’ingresso chiudono un’ora prima).