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Giacomo Sferlazzo: la mia Lampemusa, da Ariosto a oggi

– Il poliedrico artista racconta la storia dell’isola delle Pelagie in un avvincente spettacolo fatto di canzoni, racconti e “cunti” venerdì 25 ottobre a Catania, mentre l’indomani a Paternò presenta “La Leggenda di Andrea Anfossi”
– «È una narrazione che parte dalla colonizzazione di Lampedusa fino ai tempi odierni, affrontando diversi temi. Una rappresentazione che cambia sempre». «L’isola subisce i contraccolpi di un mondo che continua a peggiorare»

“Sugnu nu scogghiu ndi l’azzurru dilatatu / Li putenti d’ogni tempu mannu marturiatu”. Sono i versi della LamPoesia con cui Giacomo Sferlazzo introduce Lampemusa, lo spettacolo fra musica e teatro che porterà venerdì 25 al Teatro Coppola di Catania. 

Come suggerisce il titolo, l’isola delle Pelagie è una Musa per il cantautore, attore, poeta e agitatore politico-culturale che vive, opera e lotta nell’ultimo lembo di Europa nel Mediterraneo. L’ha cantata e raccontata in gran parte dei suoi album, uno dei quali uscito nel 2011 proprio con il titolo di Lampemusa. «Quel disco fu l’inizio di una ricerca sull’isola che nel 2013 portò alla messinscena dell’omonimo spettacolo», spiega Sferlazzo. «Da allora ha avuto una grande evoluzione, perché la ricerca continua, si aggiungono nuovi momenti, canzoni, racconti: è diventato uno spettacolo modulare dove ci sono tante storie. Non è mai uguale, ecco».

Storie di ieri e di oggi, dalla colonizzazione, avvenuta il 22 settembre del 1843, e dal santuario della Madonna di Porto Salvo di Lampedusa, che si pensa sia sorto intorno al VI secolo, luogo dove per secoli cristiani e musulmani pregarono insieme, alimentando la lampada ad olio posta sotto l’effige della Madonna. Dai confinati politici alla fuga di Enrico Malatesta da Lampedusa, sino ai tempi moderni, alla crescente militarizzazione dell’isola ed il presunto lancio di due missili da parte di Mu’ammar Gheddafi. «Parleremo di sanità, della scomparsa delle levatrici», racconta il poliedrico artista. «Una volta si poteva nascere in Sicilia grazie alle levatrici, oggi non è più possibile da quando negli anni Settanta è stato tolto il punto nascite». Lo stesso Giacomo Sferlazzo ha visto la luce per la prima volta ad Anzio, provincia di Roma, nel 1980. 

E poi si parla della pesca, della leggendaria alaccia, il pesce azzurro simbolo di Lampedusa, sul quale per tanto tempo si è basata l’economia dell’isola. «Fino agli anni Ottanta erano almeno una ventina i ciancioli, gli ultimi due sono stati dismessi un paio di mesi fa per essere riconvertiti in barche turistiche per il giro dell’isola. È finito un mondo», ricorda con nostalgia il “barbudos” di Lampedusa.

Naturalmente, si parlerà del tema delle migrazioni che hanno interessato e interessano Lampedusa e il Mediterraneo, dai tempi “epici” di Ludovico Ariosto che, a Lampedusa, ambientò lo scontro dei tre cavalieri cristiani contro i tre saraceni nell’Orlando Furioso, sino ai giorni nostri. 

«Per raccontare queste storie utilizzo diversi linguaggi», anticipa. «Avrò un cartellone da cantastorie, porterò un pupo, ci saranno delle canzoni e dei racconti e dei “cunti”. Non so se lo farò anche in questa occasione, però a volte recito il “cunto” della battaglia dei tre contro tre di Ariosto. Dipende anche dal pubblico, il “cunto” vuole spazio, significherebbe sacrificare qualche altro momento dello spettacolo».

Uno spettacolo, Lampemusa, che fa parte della ricerca di Sferlazzo per ricomporre il puzzle dell’identità perduta. Un altro tassello è Il PortoM che «è in parte uno stabile ed è anche una grotta naturale. È un centro culturale e politico. Perché affrontiamo anche questioni politiche, o inerenti all’emigrazione, all’ambiente, alla mancanza di un ospedale. È un luogo con diverse anime. È, soprattutto, espressione del bisogno di collettività, di creare comunità», sottolinea. «Stiamo facendo tante cose belle, sono venute diverse televisioni per realizzare servizi su questa realtà. A proposito dell’Ariosto, quest’estate abbiamo fatto una rappresentazione con i Fratelli Napoli di Catania ed Enzo Mancuso di Palermo con tre palchi. È stato un grande successo».

E continua parallelamente l’attività di cantautore. Lo scorso 13 ottobre ha fatto uscire il brano Senza pretese, una canzone non solo chitarra e voce, ma arrangiata con l’uso di archi e altri strumenti. «Ho una serie di canzoni che farò uscire come singoli. Sono tutti brani a sé stanti, ciascuno con la propria storia e, quindi, non devono stare necessariamente in un album. Li farò uscire ogni tanto, “senza pretese”, appunto. Li metto là, chi vuole li può ascoltare, altrimenti pazienza».

Alla fine di questa storia, Lampedusa riesce e rivedere il sole o le condizioni di vita continuano a peggiorare?

«È tutto il mondo a peggiorare. L’isola subisce i contraccolpi di quello che accade nel globo. Certamente non possiamo dire che ci siano stati dei miglioramenti». 

Dopo l’esibizione di venerdì 25 al Teatro Coppola di Catania, Giacomo Sferlazzo l’indomani, sabato 26 ottobre, sarà a Paternò, ospite dell’associazione Busacca, che organizza al Piccolo Teatro in Via Monastero 1, con inizio alle ore 17:30, l’evento “Di piazza in piazza, cantando cose vere. Concerto di cantastorie tra passato, presente e futuro”, al quale parteciperanno anche Francesca Busacca, Mauro geraci, Ginevra Giuffrida e Turi Marchese. In veste di cantastorie, quindi, Giacomo Sferlazzo presenterà La Leggenda di Andrea Anfossi, una cantata legata alla storia di Lampedusa che racconta del marinaio ligure catturato dai pirati turchi nel 1561 durante un’incursione nel borgo ligure di Castellaro o mentre li inseguiva in mare. Fatto prigioniero e caricato su una nave turca, approdò a Lampedusa, dove gli venne ordinato di raccogliere legname nei boschi dell’isola. Durante la sua ricerca, vide una luce abbagliante che lo guidò verso una nicchia con una tela raffigurante la Vergine Maria, nel luogo che oggi è il Santuario della Madonna di Porto Salvo. Andrea vide questo ritrovamento come un segno divino e un invito a pianificare la fuga. Si nascose e si stabilì in una grotta, trasformandola nel suo rifugio e luogo di preghiera. La leggenda narra che la grotta divenne un simbolo di accoglienza e tolleranza: una metà era decorata con simboli cristiani, l’altra con simboli musulmani. Andrea accoglieva chiunque arrivasse in cerca di un luogo per pregare, indipendentemente dalla fede.

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