– Dal trionfo a Cannes a quello ai Golden Globe, adesso ambisce all’Oscar. Il 9 gennaio arriva nelle sale italiane il film più atteso dell’anno: una storia fra cartelli messicani della droga, trans, canto, danza e tante emozioni
– È un thriller sul narcotraffico, un western alla messicana, una storia di riscatto, una tragedia familiare, un dramma personale, e in più un film musicale travolgente. «Amo i film ibridi», dice il regista Jacques Audiard
– «È un film simbolico, una specie di esempio di lotta contro il male della società e questo è meraviglioso perché quando tu sei ai margini, per il sesso, il colore della pelle, la povertà, hai desiderio di luce», commenta l’attrice spagnola Karla Sofia Gascon
Dal trionfo a Cannes, dove ha vinto il premio della giuria e il premio per l’interpretazione femminile, alla vittoria ai Golden Globe con tre premi (film, attrice non protagonista e canzone) alla candidatura all’Oscar per cui è favorito: Emilia Perez di Jacques Audiard, in arrivo dal 9 gennaio nei cinema italiani, è uno dei film dell’anno, preceduto da un tam tam di opera da non perdere in sala. Smisurato, enfatico, barocco, imprevedibile, scorre e travolge come un fiume in piena.
L’audace progetto girato nella regione di Parigi presenta Zoe Saldana (Avatar), che ha recitato in quattro film che hanno superato i due miliardi di dollari al box office, come avvocato dotata, arruolata per un curioso lavoro: aiutare un potente boss del cartello messicano della droga a ritirarsi dai suoi affari e sparire per sempre, lasciando figli e moglie (Selena Gomez), avendo in mente l’attrice spagnola transgender Karla Sofia Gascón (Rebelde) come capo del quartel messicano diventato una donna che vuole il bene intorno a lei. Lì si scopre anche una Selena Gomez ex moglie criminale ultra sexy, innamorata e torturata, molto lontana dalla sua immagine come popstar. Ognuna delle tre merita un premio di interpretazione per la sua frenetica performance che mescola canto, danza ed emozione. Da lì una carambola di avvenimenti, un’altalena di situazioni ed emozioni travolgenti. Emilia Perez è diventato così anche un film simbolico, non solo per la comunità trans, ma per sfidare i cliché machisti.
«Questo film è un’onda travolgente», commenta la spagnola Karla Sofia Gascon. «Ha unito tante persone, innanzitutto quelle che sono marginalizzate, che non vivono con libertà, e le mette allo stesso livello degli altri, il film le porta via dall’oscurità, le illumina. Si è formata con Emilia Perez, e in questo è un film simbolico, una specie di esempio di lotta contro il male della società e questo è meraviglioso perché quando tu sei ai margini, per il sesso, il colore della pelle, la povertà, hai desiderio di luce».
Spiega Jacques Audiard, il regista del Profeta, la Palma d’oro di Dheepan, l’esploratore delle periferie di Parigi, 13Arr.: «La competizione non mi appartiene, l’impegno per gli Oscar lo assolverò ma quello che mi interessa è che questo film non sia soltanto rumore, ma arrivi più nel profondo, la mia occupazione resta scrivere, preparare film con gli attori e girare, ma sento che questa volta sono state toccate altre corde. Sono partito da un romanzo, Ecoute di Boris Razon, ho sviluppato uno dei suoi personaggi che era un boss del narcotraffico che voleva cambiare sesso e ho accettato la contraddizione che aveva in sé: un mondo ipermachista alle prese con femminilità e dolcezza e la buona idea è stata raccontare una tragedia cantandola».
Emilia Perez ha cambiato la vita anche a Karla Sofia Gascon (ha completato la transizione, era un attore famoso di telenovelas): «Non mi piace essere definita la prima attrice trans a vincere a Cannes, perché trans non è una professione, tuttavia comprendo la portata di tutto questo e se può contribuire all’inclusione nel cinema ben venga, di solito sono ruoli di prostitute. Quanto al tema, quello sì che è potente e se vedendolo anche una sola famiglia non caccerà di casa il figlio che vuole cambiare sesso ma lo tratterà con amore e affetto, sarà un successo enorme», sostiene l’attrice che conosce l’italiano per aver lavorato in tv a Canale 5 e Rai1 negli anni Novanta. «Con Emilia Perez mi arrivano tante proposte e ne sono felice, anche se tutti aspettano la conferma del mio talento con una seconda prova. In questo ho dato tantissimo, in Emilia Perez di me c’è tutto e niente, la mia anima, la persona che è venuta fuori dall’oscurità, e però i fatti ovviamente sono quelli del personaggio, i confini tra le nostre due vite sono stati lievi, alla fine è stato quasi un rito di esorcismo».
Emilia Perez è un thriller sul narcotraffico, un western alla messicana, una storia di riscatto, un dramma familiare, un dramma personale e in più un film musicale travolgente: voleva abbracciare questi generi, divertirsi con loro o dimostrare che il cinema di genere non esiste perché convivono tutti insieme?
«Ho sempre amato i film che sono ibridi», risponde Audiard. «Entri pensando appartenga ad un certo genere poi ti sorprendi perché è tutt’altro. Non voglio paragonarmi a grandi maestri, Stanley Kubrick faceva di queste cose, secondo me questo doveva essere un film ibrido, non doveva essere pulito, nitido, ma qualcosa anche di eccessivo, pieno di tante cose. A volte ho tendenza ad autocensurarmi, mi chiedevo sul set: “Non sarà troppo?”. “Non sarà eccessivo?”. Invece volevo fare proprio così, un film come Teorema di Pasolini in cui tutti cambiano, insomma un film emozionante».
Jacques Audiard avrebbe chiesto a diversi musicisti di scrivere le canzoni del film. Sollecitati, Tom Waits, Chilly Gonzales e Nick Cave avrebbero rifiutato l’offerta per mancanza di tempo o per paura della quantità di lavoro annunciata. Il regista si è poi rivolto alla cantante Camille che lo aveva impressionato sul palco e al musicista Clément Ducol. Sono quindi, alla fine, i due artisti francesi che si nascondono dietro la musica del film pensato inizialmente da Jacques Audiard come un’opera in cinque atti.