– La cantautrice Eleonora Bordonaro racconta la sua esperienza al Worldwide Music Expo, il più grande meeting internazionale di world music, occasione di incontro e networking con 20mila operatori del settore provenienti da tutto il mondo. Cinque giorni di fiera, conferenze, film, networking e concerti showcase che si sono svolti dal 23 al 27 ottobre 2024 a Manchester
C’è uno stanzone enorme pieno di stand, gazebo e bancarelle design. Arriviamo il mercoledì e troviamo già poster e cartoline sparse ovunque. Chi prima arriva meglio alloggia, dunque vai! Parte la corsa agli espositori migliori, più visibili e di passaggio, più protetti contro i predatori che appiccicheranno il loro poster o la cartolina del proprio artista proprio sulla tua faccia.
Noi come Italia abbiamo uno stand monumentale. Bellissimo ed elegante, di legno chiaro. Molto istituzionale, tutto bandiere e led. Gli altri Paesi si sono organizzati più timidamente, tranne la Spagna che svetta per pois flamenchi e tavolini con lucette sopra, che al solo guardarle ti viene voglia di ordinare una tapa. Nel nostro invece istintivamente metti la mano sul cuore per intonare l’Inno di Mameli. Stili diversi.
È la Fiera in cui si trascorrono le ore del giorno, tra vorticosi incontri di gente che si saluta, si scambia biglietti da visita e cartoline, sventola QR-code, condivide videoclip e recensioni. Tutto a passo di danza, lievemente. Tutto fluttua, al ritmo di un aperitivo. Una reception, un cocktail. Il nostro in particolare è stato memorabile. Il miglior cibo, quantità generosissime e vino per un boost di simpatia. E vai allora di whisky d’Irlanda e rhum dei Caraibi, tartine sfilate sotto il naso degli ucraini che intanto intonavano melodie dolenti. La Grecia, che tenerezza, offriva olive e feta e un quartetto vocale formidabile.
Sembra uno spreco o un capriccio, eppure il tema dei cocktail regola i flussi di incontri e conoscenze, di scambi e dunque possibili affari. Non so bene che affari intendevo fare quando ogni pomeriggio alle cinque mi presentavo al banco della caipirinha del Brasile. Di fronte, mestamente la Germania offriva caramelle mou.
Tra una bevuta e l’altra si approfitta dell’infinita varietà di workshop, mentoring sessions e incontri sui temi più svariati: dai finanziamenti per gli artisti alla leadership. Vanno forte i programmi sulla sostenibilità e l’immancabile (giustamente) gender equality. Piccole, preziose occasioni per riflettere sul proprio percorso e sulle infinite possibilità che il mondo ci offre. Tutto organizzato benissimo.
C’è tra i delegati (i partecipanti cioè, detto meglio) un mondo di eccentrici avventurosi da scoprire. Tra le migliaia di strette di mani e sorrisi cercati o corrisposti ci può sempre essere l’incontro che ti svolta la vita. Oppure semplicemente un concerto in più, un brano in più, una collaborazione o un nuovo bando europeo, perché l’Europa Creativa ci tiene all’amicizia tra gli artisti del continente. Oppure semplicemente una stretta di mano, nutrita dalla meraviglia per un mondo che, tutto rinchiuso in una stazione dismessa, sembra piccolissimo e pieno di amici. C’è un mondo di musicisti che si inventano organizzatori e affrontano enormi difficoltà per diffondere la propria musica, per vivere della musica che li rappresenta per farsi una posizione per emanciparsi. Poi si dice che in questi anni la world music non va più di moda, forse il jazz, sì, ma neanche quello va tanto e la trap? (cosa è la trap?). Insomma, sembrano, sembriamo tutti lì senza calcolo, tanti don Chisciotte che si armano all’inseguimento di un sogno.
E il Womex si conferma occasione unica di confronto tra artisti, booking agent, festival, organizzatori, etichette.
Questo durante il giorno, la sera invece si va fino a notte agli showcase degli artisti selezionati da un ristretto gruppo di operatori culturali, denominati i samurai, che cambia ogni anno.
In un imbarazzante fazzoletto di pochi km, la città, che si fregia di essere la Capitale della Musica in Gran Bretagna, sfodera in effetti una serie di teatri e sale da concerto da paura. Attrezzatissime, comode, suono perfetto, cose che noi dovremmo riunire tutte le sale di dieci regioni (preferibilmente del Nord) per eguagliare qualità acustica e posti disponibili.
Cominciamo col concertone inaugurale offerto e credo anche programmato dalla città ospite o meglio da Greater Manchester, una specie di Provincia di Manchester, che ci tiene moltissimo ad ospitare la manifestazione e mostrare i propri talenti locali. Teatro bellissimo come detto. Talenti dimenticabilissimi e totalmente fuori contesto, ma sai capita. Cioè, sei la Città della musica (in Inghilterra poi!), hai davanti tutti gli operatori di World Music del mondo, hai avuto almeno quattro anni per scegliere e hai scelto quattro progetti così fuori fuoco? Vabbè, diciamo che in città vanno meglio sul brit pop.
La serata si illumina quando in una chiesa trasformata in sala concerti (che bella fine per una chiesa! Tutte così le vogliamo) ascoltiamo Ríoghnach Connolly, lei davvero gloria locale. Trionfale monumento di profondità e cazzeggio, voce scura e atteggiamento truce che cela un sorriso enorme. Ascoltatela, ascoltiamola, invitiamola, conosciamola! Tra Beth Ditto e Giovanna Daffini, Adele e Gabriella Ferri. «Una giusta esplosione di energia della classe operaia». è stato detto di lei. E a ragione. Sua nonna e sua mamma cantavano ai funerali e alle feste e lei lo fa allo stesso modo. E lo senti tutto quel canto funzionale dietro alle tastiere pop e alle chitarre distorte.
E così dal mercoledì alla domenica operatori in sciame assistono a quattro, cinque, sei concerti a sera; un pubblico esigentissimo che abbandona la sala senza rancore al primo sintomo di noia. Sale affollate si svuotano in un attimo a volte, non c’è tempo da perdere. Nel mio girovagare istintivo ho trovato i Mitsune giapponesi punk glam cartoon, lo sciamano a metà tra Renato Zero e Fela Kuti, l’esile turco, il trio Chakam composto da tre straordinarie musiciste mediorientali, il neozelandese pop oriented con ballerine al seguito, il nostro Mauro Durante con Justin Adams, fino al mio ultimo concerto: Sara Curruchic dal Guatemala. Testi impegnati contro l’oppressione e il patriarcato, simpatia travolgente, cumbia e rock e una contagiosa gioia di vivere. E in quella sala i frettolosi operatori sono rimasti fino alla fine, hanno chiesto i bis, li ho visti piangere ed abbracciarsi: i guatemaltechi e anche gli altri che si sono sentiti guatemaltechi per un attimo, perché le istanze di giustizia sono di tutti i popoli e di questo in fondo è fatta la world music.
Ci torno? Sì ci torno. A Tampere il prossimo anno? Non so. Ma non c’era un posto più caldo? Eh, magari la prossima volta in Sicilia.