– Gran parte della produzione odierna suona sempre uguale perché la tecnologia spinge gli artisti a cercare di ottenere un impatto rapido e semplice. Decine di generi diversi convergono in un calderone che cancella le identità
– Il numero di autori per canzone si moltiplica e quello dei produttori coinvolti è raddoppiato, «si è passati da una fase più autorale a una di produzione», commenta Carlo Massarini. La pratica dei “featuring”
La musica pop è ormai un magma confuso, frammentato e ingestibile. Siamo sommersi ogni giorno da una valanga di canzoni: ogni mese 1.8 milioni di nuove canzoni sono pubblicate su Spotify che è la più importante e diffusa piattaforma di streaming. Questo vuol dire che ogni giorno vengono inseriti circa 60mila nuovi brani. È difficile, se non impossibile, con questo affollamento, poter scegliere, soprattutto quando le statistiche indicano che la soglia di attenzione si è ridotta a circa 30 secondi. Non a caso, le canzoni si sono accorciate e si sono ridotte anche le introduzioni. Così s’insegue l’onda del successo, le informazioni che arrivano dai media: radio in primis, e poi televisione, social media, siti o anche quotidiani e riviste.
Nel XX secolo, la musica pop aveva uno stile mutevole, ma distinto: potremmo dire che i Beatles, Elton John o Madonna facevano musica pop e tutti la capivamo. Oggi, generi diversi convergono in un calderone che cancella le identità originali. L’onnipresenza delle macchine fa sì che quasi tutti gli artisti suonino più o meno allo stesso modo, vittime di produzioni digitali in cui l’aspetto esotico è l’apparizione di strumenti convenzionali o testi che evitano toni colloquiali e temi romantici.
L’ultimo report di Midia Research, un’azienda di elaborazione dati che studia parametri quantificabili, si è focalizzato su quello che chiamano il DNA dei più grandi successi, definiti come le prime dieci hit di ogni anno secondo la rivista Billboard, la cui lista include vendite fisiche e digitali, così come presenza in radio e streaming.
Alcune delle loro scoperte infrangono idee preconcette. Si pensava che le nuove generazioni avessero invaso l’industria, ma si scopre che l’età media dei compositori di successo sta aumentando: da 26,7 anni a 36,3 nel 2025. Né assistiamo a successi rapidi: uno su 2.000 è rimasto in classifica 19,4 settimane, mentre ora può durare 33,3 settimane. A causa della suddetta frammentazione del trend, ci vogliono molti sforzi per raggiungere la massa critica che caratterizza un cosiddetto successo universale, che poi dura più a lungo del solito.
I numeri di Midia confermano altre tendenze, alcune emerse anche nelle recenti edizioni di Sanremo. Il numero di autori per canzone si moltiplica: da 2,4 per traccia a 5,3. Non bisogna pensare che i compositori si siano necessariamente riuniti per creare una cooperativa: è una conseguenza del campionamento diffuso, che richiede di specificare i firmatari del tema incorporato. Allo stesso modo, il numero di produttori coinvolti è raddoppiato, passando da 1,5 a 3. A differenza di quanto avviene in cucina, qui vengono impiegati più chef, soprattutto quelli con comprovata capacità di creare successi. Pertanto, il costo di queste tracce è in aumento, nonostante il declino della tecnologia musicale e il minor utilizzo di costosi studi tradizionali. La pratica di aggiungere collaborazioni vocali (i famosi “featuring”) era sconosciuta tra i successi del 2000, mentre oggi compare in metà della Top Ten di Billboard.
«Oggi nella musica conta di più il suono, sono i produttori ad aver preso un ruolo centrale. Sanremo iniziò con 3-4 autori di riferimento; oggi il riferimento sono 4-5 produttori. Si è passati da una fase più autorale a una di produzione», è l’analisi di Carlo Massarini, giornalista esperto di musica. «A distanza di sessant’anni si è riformato nella musica lo stesso gap che c’era tra i nostri genitori e noi: oggi c’è tra noi e i nostri figli, la cui musica noi non ascoltiamo», aggiunge.
La vita si è complicata, la musica e i suoi generi si sono frammentati. La tecnologia galoppa molto più velocemente dell’etica. Ora abbiamo 40-50 sottogeneri diversi, poi tutto si incrocia e si mischia anche se, la musica meticcia è la cosa più interessante che sia accaduta fino ad oggi. Per Massarini «velocità e superficialità hanno preso un po’ il comando: siamo seduti su una macchina tecnologica». Se i Beatles hanno «smesso di suonare nel ‘66, oggi la maggior parte dei rapper non suona il proprio disco e in concerto si limita a qualche suono».
- E l’intelligenza artificiale?
«Aprirà a un mondo totalmente diverso, ci sarà lo stesso salto che ha avuto il mondo dopo internet, ma dove va il futuro non lo so, ci sarà un’unica grande musica? Forse c’è bisogno di fare un passo indietro, di metabolizzare meglio le cose».