Interviste

DURAN DURAN: Pippo Baudo è ancora in giro?

– La band inglese, ospite della terza serata del Festival, ricorda la prima volta a Sanremo quarant’anni fa: «Avevamo appena sfondato e orde di ragazzini ci inseguivano»
Ora passano quasi inosservati fra i millennial. «Oggi stiamo bene assieme. Direi che siamo qui per l’eternità. D’altronde siamo andati avanti per 40 anni senza mai voltarci indietro»
– Sul palco dell’Ariston porteranno Victoria De Angelis dei Måneskin, «la più importante bassista elettrica in circolazione in questo momento», secondo John Taylor

Quando vennero a Sanremo quarant’anni fa erano dei teen idol. Via Roma era invasa da adolescenti che urlavano istericamente il loro nome. E c’era anche chi voleva sposare il loro frontman, Simon Le Bon. Era il 1985 quando i Duran Duran salirono per la prima volta sul palco dell’Ariston nell’edizione condotta in quell’anno da Pippo Baudo. 

Già quando sono tornati nella Città dei Fiori nel 2008 la Duran-mania si era esaurita. Nessun stuolo di fan ad attenderli, nessuna a pretendere la mano di Simon Le Bon. Quarant’anni dopo è ancora più triste. Gli ex “wild boys” Simon, Roger Taylor, John Taylor e Nick Rhodes (niente Andy Taylor che sta lottando contro un cancro alla prostata) passano quasi inosservati fra i giovani che si assiepano alle porte dell’Ariston. Giovedì saranno fra gli ospiti della terza serata del Festival. 

«Amiamo quello che facciamo, dopo quarant’anni dalla prima volta qui, possiamo dire che ci piace Sanremo, forse così tanto che il suo nome andrebbe cambiato in Duranremo», scherzano. «Nel 1985 avevamo appena sfondato in Italia, e orde di ragazzini ci inseguivano. Ricordo anche Pippo Baudo (detto con un accento molto divertente, ndr), il presentatore, è ancora in giro?».

  • La storia della caviglia rotta in città era vera? 

«Sì, avevo fatto una passeggiata, e sulla massicciata del porto sono scivolato fra due rocce, rompendomi un piede. E ho pensato, più vodka bevo, meno mi fa male, ma ne ho bevuta troppa».

  • Come vi sentite dopo tutto questo tempo?

Le Bon: «Come in un matrimonio riuscito, oggi stiamo bene assieme. Direi che siamo qui per l’eternità. D’altronde siamo andati avanti per 40 anni senza mai voltarci indietro».

  • Non è sempre stato facile.

John Taylor: «No, ma a vent’anni hai delle priorità che, crescendo, si modificano per l’intervento di tanti altri fattori. Non ho niente contro Yoko Ono, però ad un certo momento nei Beatles i fattori disgreganti sono stati più di quelli aggreganti e la storia è finita. Prematuramente, credo».

Simon Le Bon: «Qualcosa di segreto ci tiene insieme. Amiamo moltissimo la musica, la facciamo benissimo, e non c’è altro modo: abbiamo provato a fare cose separate, ma non funzionano. Poi ridiamo tanto, anche per combattere lo stress. E dividiamo le royalties equamente».

John: «Quello che Simon racconta è la chimica, fondamentale in ogni band. Una cosa che sta tramontando. Per esempio, ai Grammy di quest’anno non sono state premiate band, una cosa piuttosto peculiare, che forse descrive la morte di un certo tipo di fare gruppo. Qualcosa che per noi, nati tra Settanta e Ottanta, capiamo molto bene».

  • Cosa vi è rimane degli anni Ottanta?

Le Bon: «Il miglior Bowie, la miglior Madonna, il miglior Prince».

Rhodes: «Aggiungerei pure grandi cose dei Cure e dei primi U2».

Il ricordo che più ferisce i Duran Duran è il Live Aid, il megaconcerto che per altri artisti, stimati da critica e pubblico, ha segnato una grande esperienza comunitaria: «Mick Jagger presentò Simon a Bob Dylan»,  ricorda John Taylor. «Bob disse: “Hi, nice to meet you”, e poi corse via, forse in bagno a lavarsi la bocca col sapone. O a sputare dietro l’angolo».

Inutile negare che i Duran rappresentavano la vittoria dell’immagine sul contenuto: «I nostri testi hanno sempre raccontato i tempi in cui nascevano. Gli anni Ottanta erano il disimpegno, oggi viviamo in un’epoca dura. I Duran hanno anticipato i tempi, ma per tutti siamo solo la fotografia del vuoto cosmico. Quando eravamo più giovani, non avevamo tempo di fermarci un attimo e assaporare il successo. Ora sappiamo come maneggiare le cose».

Simon Le Bon aggiunge: «Tutti gli album che abbiamo fatto hanno preso forse più tempo del previsto, ma ci è sempre interessato il buon lavoro. Non ci interessa sapere come sono accolti. Siamo sicuri di avere pubblicato cose pregevoli che speriamo saranno ricordate nel futuro».

  • Negli anni Ottanta, in Italia, c’era qualcuno che voleva sposare Simon Le Bon…

«Sì. È stato straordinario essere l’oggetto e il soggetto di una tale attenzione, mi hanno reso felice». 

  • Conoscete i Måneskin?

Simon: «Io sono un fan assolutamente perso per i Måneskin, dovreste essere orgogliosi di avere un gruppo così in Italia».

Tant’è che sul palco dell’Ariston si porteranno Victoria De Angelis dei Måneskin, con la quale hanno registrato Psycho Killer dei Talking Heads nel loro album Danse Macabre: «Victoria è la più importante bassista elettrica in circolazione in questo momento», secondo John Taylor.

Infine un monito e un invito alla ribellione. All’intelligenza artificiale. «È già uscito il primo pezzo completamente prodotto dall’ai. Siamo in un momento in cui si può tranquillamente delegare la produzione di musica alla macchina, nel Regno Unito è possibile, le leggi ci sono già. E queste permettono di rubare suoni e stile, idee sottratte e mai pagate a chi le ha create, pensate, prodotte. Occorre fare qualcosa».

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