– Al Circo Massimo di Roma il primo dei sei concerti d’apertura del nuovo tour: in scaletta più brani dei Pink Floyd che dei suoi album da solista, fra cui il recente“Luck and Strange”
– Sul palco, all’arpa e al canto, la figlia Romany e una solida band. Lezione di maestria musicale da parte del chitarrista, la cui voce però appare incerta in diversi momenti
Se dovessi scegliere chi buttare giù dalla torre, se Roger Waters o David Gilmour, non avrei titubanze: il secondo. Folle il primo, razionale il secondo. Passionale e pasionario l’uno, tecnico ed etereo l’altro. Waters il visionario concettuale, Gilmour la maestria musicale. Insieme si integravano e, non a caso, hanno dato vita a pagine immortali di musica quando erano nei Pink Floyd. I caratteri, autoritario e conflittuale quello di Waters, più pacato e schivo quello di Gilmour, alla fine sono entrati in attrito e la band è deflagrata come la villa nella scena finale del film Zabriskie Point, musicata proprio dai Pink Floyd.
Se Roger Waters (81 anni) è rimasto legato al mondo visionario della band londinese, riportando in scena di The Dark Side of The Moon e The Wall, Gilmour (78 anni) ha provato a forgiare nuova musica, pubblicando cinque album dal 1978 all’ultimo Luck and Strange, fresco di stampa e per il quale ha messo su un tour che ha debuttato venerdì sera davanti a 15mila spettatori nel primo dei sei show programmati al Circo Massimo di Roma (si prosegue il 28 e 29 settembre e l’1, 2 e 3 ottobre). Dischi, quelli del chitarrista, che non hanno lasciato tracce profonde (e, alla fine, anche l’ultimo è un po’ monotono e ripetitivo), tant’è che il pubblico accorre ai suoi concerti soprattutto per ascoltare quei brani che appartengono all’immaginario collettivo e che fanno riferimento all’esperienza con i Pink Floyd.
Ne è diventato consapevole lo stesso chitarrista, che sembra finalmente aver fatto pace con i fantasmi del suo passato, al quale concede molto spazio in questi concerti. Molto più della metà della scaletta composta da una ventina di brani, infatti, è composta da materiale dei Pink Floyd. Ci sono anche alcune sorprese, come Breathe (In The Air), una traccia di Dark Side Of The Moon, che non eseguiva dal 2006. E poi Marooned e A Great Day for Freedom, dall’album The Division Bell (1994), per la prima volta rispettivamente dal 2004 e dal 2006. Immancabili Speak To Me/Breathe/Time, Wish You Were Here, The Great Gig In The Sky e l’assolo di chitarra di Comfortably Numb a chiudere l’esibizione.
All’opposto del suo ex compagni d’avventura, nei cui spettacoli il messaggio visivo e la narrativa sono tanto importanti quanto la musica, i concerti di Gilmour si basano più sulla qualità dell’esecuzione musicale e meno sugli effetti visivi o sugli spettacoli teatrali. Il chitarrista preferisce creare atmosfere attraverso la musica stessa, e la sua enfasi rimane sul creare un’esperienza emotiva attraverso la performance strumentale. La scenografia sul gigantesco palco è ridotta all’osso: fasci di luce laser, un grande schermo rotondo dove passano immagini già usate in precedenti show, riflettori puntati invece sui musicisti. Fra questi, all’arpa e al canto, c’è la ventiduenne Romany, terzogenita di Gilmour e della moglie Polly Samson, che da trent’anni collabora con il marito alla scrittura dei testi. Al basso c’è Guy Pratt e alla batteria Adam Betts che accendono i groove, mentre alle tastiere siede Greg Phillinganes. La voce di Gilmour appare incerta in diversi momenti, non la chitarra, sempre limpida e carica di emozioni.