– Ogni domenica, segnalisonori dà uno sguardo approfondito a un album significativo del passato. Oggi rivisitiamo l’ultimo struggente atto di un’avventura artistica che ha cambiato il mondo
David Bowie, l’uomo che cadde sulla Terra, non è morto, è soltanto ritornato sul pianeta dal quale era venuto esattamente 77 anni fa. È semplicemente “lontano sopra la Luna” come il maggiore Tom, l’astronauta di Space Oddity. E, due giorni prima di andare via, l’8 gennaio 2016, nel giorno del suo compleanno, ci ha lasciato Blackstar per indicare al mondo il futuro della musica.
Blackstar è il testamento di un geniale artista, l’ultimo capolavoro di una carriera costellata da pietre miliari del rock e cominciata il 14 gennaio 1966, quando un ragazzo di 19 anni pubblicava il suo primo singolo con un titolo che era già un programma: Can’t Help Thinkin’ About Me (non posso fare a meno di pensare a me). Firmato David Bowie e The Lower Third, era l’inizio di un percorso all’insegna della metamorfosi, del travestimento, della capacità inimitabile di precorrere mode e tempi.
Infranse il confine tra arte e vita
«He was a (…) welcome to the new world, the brave new world…», Con queste parole un commosso David Byrne, nel 1996, descrisse ciò che David Bowie aveva rappresentato per lui e per la storia della musica, in uno stupendo discorso d’introduzione del duca bianco nella Rock’N’Roll Hall of Fame. Gli album di Bowie hanno creato “nuovi mondi” e di volta in volta hanno dato il benvenuto a tutti coloro che volessero avvicinarvisi a uno di questi nuovi pianeti.
L’uomo che cadde sulla terra, Ziggy Stardust, il clown, il poeta, il dandy, il duca bianco, l’eccellente traduttore in suoni e immagini dello spirito di un’epoca. L’icona, il mito inesplorabile, uno dei simboli pop più importanti nella storia della musica. Apocalittico, scenografico. Provocazione e ambiguità. Glamour e trasfigurazione. Superuomo, novello Dorian Gray. Buddista ed esibizionista. Trasgressione, parodia, melò, psicodramma. Colpi di teatro e divismo scanzonato, tutine kitsch e senso del business. «Sono un attore. Recito una parte. Frammenti di me stesso». Questo era David Bowie. E Blackstar è lo straordinario e struggente atto finale di uno spettacolo universale.
La parabola di Bowie-Major Tom
Fra tutti i dischi-capolavoro di Bowie ho scelto Blackstar perché rappresenta la filosofia di un artista che ha guardato nel futuro sino all’ultimo istante della sua vita. Due giorni dopo la pubblicazione dell’album tutti capirono che questo addio era stato preparato come l’ultimo atto di un’avventura artistica che ha cambiato il mondo. E, per certi aspetti, lo shock fu ancora più grande, quando, ascoltando le note di Blackstar, album di una profondità lacerante, ci si trovò di fronte al capolavoro di un uomo che ha deciso di raccontare la propria fine annullando nel modo più definitivo il confine tra arte e vita.
Blackstar non è un album facile. Si presenta come un lavoro enigmatico, in cui la musica, le parole e le immagini visive si intrecciano in una sorta di mosaico complesso e multistrato. Il titolo stesso, Blackstar (letteralmente “stella nera”), è un simbolo che rimanda all’idea di qualcosa di oscuro e misterioso, che può essere interpretato in vari modi: una stella morente, una stella che si auto-annienta, un buco nero cosmico che assorbe ogni luce.
È un album che può non piacere per la magniloquenza, ma d’altro canto chi, se non Bowie, poteva permettersi canzoni da dieci minuti con assolo di sassofono al centro del pezzo. «A 14 anni ero indeciso se volevo diventare un cantante di rock o John Coltrane», ha raccontato il londinese. Ma Blackstar non è un disco jazz. O, almeno, non è semplicemente jazz. È un suono futurista. O del futuro. Echi mediorientali, ritmi r&b, orchestrazioni, free, canto gregoriano, melodia, elettronica, metal. E la voce, più misteriosa che mai, carica di decenni di esperienza. Il video, diretto da John Renck ne esalta la completa follia, pura arte che dà l’impressione di chiudere una trilogia: Space Oddity (introduzione dell’astronauta Major Tom), Ashes to Ashes (risurrezione di Major Tom), Blackstar (evoluzione allo stato divino di Major Tom). Che può essere una metafora della vita di Bowie: il “viaggio dell’eroe”, un percorso che si completa nel momento della morte, ma che può anche rappresentare una liberazione o una metamorfosi. La morte non è vista come un punto finale, ma come un passaggio necessario verso un nuovo stato dell’essere, un tema che Bowie ha esplorato in diverse opere precedenti, ma che qui raggiunge la sua forma più matura e definitiva.
Le sette tracce dell’album
La stella nera, simbolo di una morte che non è fine ma trasformazione, diventa la chiave per interpretare il lavoro. Bowie, che ha sempre trattato la morte come un tema centrale nelle sue opere (pensiamo, ad esempio, a Space Oddity e a The Next Day), si confronta ora con la sua stessa fine imminente, ma lo fa attraverso una lente filosofica e musicale mai vista prima. Blackstar è un disco che può essere visto come una meditazione sul tempo che scorre e sulla consapevolezza della morte imminente. Nelle sue canzoni, Bowie gioca con il contrasto tra il desiderio di immortale e l’inevitabilità del destino umano.
Punto di partenza dell’album sono i due inediti nascosti nella raccolta Nothing has changed del 2004 e qui ripresi e riarrangiati: il jazz di Sue (or in a season of crime) si mescola al drum’n’bass con richiami agli sperimentalismi di Sun Ra e Ornette Coleman e la scioccante brutalità della guerra descritta in ’Tis a Pity she was a whore, il cui titolo rimanda all’omonina opera teatrale di John Ford presentata per la prima volta nel 1629 a Londra.
Ad anticipare il disco, Lazarus, apocalittica, dark, nera, come tutto l’album. La canzone dà il titolo al musical di off-Broadway, sorta di sequel dal vivo del libro L’uomo che cadde sulla terra scritto da Walter Tevis nel 1963 e poi diventato un film nel 1976 per la regia di Nicolas Roeg, nel quale Bowie era protagonista. È la storia di Thomas Newton, venuto da un altro pianeta e rimasto bloccato sulla Terra, prigioniero di esperimenti scientifici: vive le sue giornate sospeso, in uno stato di completa alienazione e disorientamento, guardando la tv, bevendo gin, pensando ad un amore passato e alla sua famiglia lontana anni luce. «Sono l’uomo che muore ogni giorno ma non riesce mai a morire», dice al pubblico Newton interpretato da Michael C. Hall, protagonista di musical come Chicago e Cabaret ma anche delle serie tv Dexter e Six Feet Under.
Dollar days è una splendida e agrodolce ballata costruita sul pianoforte in cui Bowie dice: «Sto morendo per … ingannare tutti ancora e ancora». Sembrava finzione, era la verità. Epica la chiusura con I Can’t Give Everything Away.
La parte lirica
Le liriche sono tanto enigmatiche quanto le composizioni sonore. Bowie, come sempre, gioca con il simbolismo, con i riferimenti criptici a temi come la morte, la religione, la ricerca di un senso oltre la vita e la trasformazione interiore. Lazarus è un esempio lampante di come Bowie abbia affrontato la sua malattia e la morte imminente. La canzone si apre con il verso “Look up here, I’m in heaven”, che non solo gioca con la metafora religiosa del paradiso, ma suggerisce anche la consapevolezza di essere ormai al di là del confine tra vita e morte. Il titolo Lazarus rimanda al miracolo biblico in cui Gesù risuscita Lazzaro, ma nel contesto della canzone appare come una riflessione sul rinnovamento e sulla possibilità di una vita oltre la morte.
Nel brano Girl Loves Me, Bowie si lancia in un linguaggio criptico che mescola slang e dialetto inventato, creando una sorta di linguaggio alieno che si fa portavoce di un sentire distorto e alienante. Il tema della perdita, della solitudine e della morte è esplorato in ogni angolo dell’album, ma sempre con la speranza di una rinascita, di un viaggio attraverso il buio verso una luce futura.
I video e l’iconografia
Non è solo la musica a raccontare la storia di Blackstar, ma anche l’aspetto visivo del progetto. Il videoclip di Blackstar è un’opera d’arte a sé stante, con una narrazione surreale e simbolica che sembra raccontare la decadenza e il sacrificio dell’artista. L’immagine di Bowie, vestito da astronauta, che si erge su uno sfondo oscuro, è una rappresentazione visiva di un eroe che si prepara ad affrontare il suo destino. La figura del cavaliere morente che appare nel video è un’altra rappresentazione allegorica della morte e della rinascita, un’icona che rimanda alla tradizione medievale del cavaliere errante alla ricerca del Sacro Graal.
Il video di Lazarus, che vede Bowie in un letto d’ospedale mentre il suo corpo si trasforma in una figura angelica, è altrettanto potente. L’immagine di un uomo che guarda la sua morte in faccia, ma che allo stesso tempo si prepara a superarla, è un richiamo diretto alla sua stessa condizione al momento della registrazione del disco. La sua faccia trasformata e distorta diventa il simbolo di un artista che ha attraversato le fasi più oscure della sua esistenza per arrivare alla luce della sua ultima creazione.
L’ultimo manifesto di un genio
In Blackstar, Bowie non solo affronta la morte in maniera intima e personale, ma lo fa utilizzando la sua arte per comunicare un messaggio universale: la morte non è la fine. Attraverso la musica, le parole e le immagini, ci invita a riflettere sul nostro rapporto con la morte, sul nostro desiderio di trascendere i limiti fisici e sulla ricerca di un senso oltre la vita terrena. Il disco è una riflessione profonda sulla fragilità dell’esistenza e sulla speranza di una trasformazione che vada oltre la morte.
Blackstar è il testamento di un artista che ha sempre cercato di sfidare le convenzioni e di andare oltre i limiti del possibile, sia musicalmente che concettualmente. Con questo lavoro, Bowie ci lascia un’opera che non solo celebra la sua ultima fase artistica, ma che offre anche una riflessione universale sul destino umano, sull’amore, sulla morte e sulla rinascita. In ogni battito di questo disco, che si configura come un’epopea musicale di passaggio e di trasformazione, c’è il cuore pulsante di un uomo che ha vissuto la sua vita cercando di comprenderne il senso, e che ha deciso di fare dell’arte il suo modo di affrontare l’ignoto.
Con Blackstar Bowie ha chiuso il cerchio della sua carriera in maniera definitiva e monumentale, lasciando ai suoi fan un’eredità musicale che rimarrà indelebile. Un capolavoro di oscurità e di luce, di morte e di rinascita, che continua a essere ascoltato, analizzato e amato, un eterno mistero da decifrare.