Disco

Boygenius, superband al femminile

“The record” è l’attesissimo primo album del trio formato dalle principesse “indie” Phoebe Bridgers, Lucy Dacus e Julien Baker. È il racconto di un’amicizia nata sui palchi e consolidatasi “on the road”. Canzoni intelligenti, introspettive,  malinconiche e gioiose che mescolano folk, rock ed elettronica

Le principesse “indie” Phoebe Bridgers, Lucy Dacus e Julien Baker si erano più volte incrociate nel circuito dei festival, stringendo amicizia. Diverse strade ed e-mail dopo, nel 2018 hanno deciso di formare una band e hanno scelto il nome boygenius, rigorosamente minuscolo, in riferimento agli uomini troppo sicuri di sé che raccolgono apprezzamenti per qualsiasi cosa dicano. 

Avrebbero potuto continuare le proprie carriere soliste, inseguendo ambizioni personali, ma hanno preferito fare musica insieme. «Questa band mi dà la possibilità di essere ambiziosa come non mi è permesso da solista, perché è qualcosa che condivido con persone che adoro e sono le migliori autrici di tutti i tempi», dice Baker. L’obiettivo è proprio quello di essere trattate come i colleghi maschi di band famose. La cover del loro EP omonimo le ritrae sedute su un divano nella posa di Crosby, Stills & Nash nel loro disco d’esordio. E sulla copertina di Rolling Stone americano si sono messe nella stessa posa utilizzata per lo scatto della copertina dedicata ai Nirvana di gennaio 1994.

In alto la copertina del disco d’esordio di Crosby, Stills and Nash e, sotto, quella dell’EP delle boygenius
A sinistra le boygenius sulla copertina di Rolling Stone simile a quella del 1994 con i Nirvana

Sono esplicite su questioni come l’aborto, i diritti dei trans, il colonialismo, mentre il loro modo di scrivere canzoni, che tende ad essere intelligente, introspettivo e un po’ malinconico, è affidato al loro peculiare compito di articolare i sentimenti di una generazione. Julien Baker, 27 anni, un po’ il cuore del trio, ti travolge a livello emotivo con le sue interpretazioni vocali; Phoebe Bridgers, 28, che ne è l’anima, è quella delle melodie malinconiche e delle pene d’amore; Lucy Dacus, 27, la mente, scrive canzoni che ricordano i romanzi russi che divora. Insieme, come boygenius, sono tipo gli Avengers, per citare la loro amica Hayley Williams dei Paramore. 

Lo scorso gennaio, alla vigilia della pubblicazione del loro album di debutto, le tre ragazze hanno scelto un terapista che potesse aiutarle a navigare nella strana combinazione di gratitudine e rabbia che hanno sviluppato verso la fama. Volevano anche qualcuno che potesse aiutare a proteggere la loro amicizia mentre diventa qualcosa di più simile a un lavoro. «Quello che preferisco di questa band è che è divertente, è una tregua per me», dice Baker. «Le mie amicizie nella vita reale con Phoebe e Lucy sono tra le relazioni più care della mia vita». Pubblicare un album sembra «come stare in cima a una grande montagna russa. Temevo che non ci sarebbe stato tempo per coltivare la nostra amicizia».

La copertina di “The record”

Probabilmente la traccia più difficile del nuovo album The Record è stata We’re in Love, una canzone che Dacus ha scritto in omaggio alle sue compagne di avventura. «Scriverla è stato facile», dice. «Realizzarla si è rivelato difficile. Mi sentivo troppo esposta per condividere, per parlare così apertamente di ciò che le due amiche significavano per lei. Quando l’ho suonata per loro, Bridgers si è infuriata. Baker si è tirata indietro».

Non è l’unica canzone che parla del loro legame. Il brano Leonard Cohen ricorda il periodo in cui fecero un viaggio in macchina nel nord della California, e Bridgers era così distratta dall’urgenza di suonare la sua canzone The Trapeze Swinger alle sue compagne di band che prese una strada sbagliata. Baker e Dacus evitarono di farglielo notare finché non terminò di suonare la canzone, e ormai erano fuori rotta. «Ti sei sentita un idiota aggiungendo un’ora al viaggio», dice il testo. «Ma ci ha dato più tempo per conoscerci, raccontando storie che non diremmo a nessun altro». La canzone finisce come una nota d’amore, la voce di Dacus, morbida sulla chitarra acustica: «Non avrei mai pensato che mi saresti capitata». È una battuta seria in una canzone divertente, che rivela l’apprezzamento che queste tre cantautrici hanno l’una per l’altra.

L’a cappella Without You Without Them apre il disco, legando il progetto alla tradizione folk e rievocando la musica di Hazel Dickens e Alice Gerrard, pioniere del bluegrass che incarnavano la quintessenza del “suono alto e solitario”. “Voglio ascoltare la tua storia / e farne parte”, cantano introducendo un album che è documento, racconto, di una amicizia. 

In True Blue sembra di riascoltare gli intrecci di voci di Crosby, Stills and Nash. È però Not Strong Enough la canzone-chiave del disco, il suo inno autostradale con un ponte ascendente (“sempre un angelo, mai un dio”) e il ritornello finale culminante. La canzone esplora la dualità con sfumature e grazia, riconoscendo l’equilibrio e l’insicurezza che esistono simultaneamente in tutti noi. Not Strong Enough scivola dolcemente fra una chitarra alla Joni Mitchell, ritmica ed elettronica stile New Order e un ritornello che ribalta il significato di Strong Enough di Sheryl Crow. 

Le tracce di Julien Baker risultano le più forti. È imparentata con il britpop la chitarra della superba Satanist: “Sarai un satanista con me?” chiede Baker. “Sarai un anarchico con me?”. I suoi riff sono genuinamente malati. Satanist e inni indie come $ 20 e la citata Not Strong Enoughcontrastano bene con le più morbide Revolution O (in cui minacciosa canta: “Voglio solo sapere chi ti ha rotto il naso / Scopri dove vivono / Così posso dargli un calcio sui denti”) e Letter To An Old Poet, una straziante ballata per pianoforte che chiude l’album. Pardon, The record. Certamente fra i migliori dischi dell’anno.

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