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BAB L’ BLUZ, il blues liberatorio del Marocco

– Un’altra donna guerriera protagonista a Taranto della rassegna “Le strade del Mediterraneo” curata da Diodato per Medimex25: Yousra Mansou al comando di una band impegnata in una rivoluzione di atteggiamento. «Siamo qui per portare un messaggio di pace e di tolleranza»
Le antiche tradizioni del Paese maghrebino si mescolano con la psichedelia rock e il blues anni ‘70. Armato dei loro guembris elettrici, il power quartet scatena ritmi frenetici e ipnotici. Canzoni per la Palestina e le donne afgane. «Musulmani, ebrei e cristiani possono vivere tutti insieme»

Dopo La Niña, è stata un’altra donna la protagonista lungo “Le strade del Mediterraneo”, la rassegna curata da Diodato per Medimex25. Yousra Mansou, un’altra donna forte, guerriera, afro-marocchina alla guida della band Bab L’ Bluz (letteralmente “La porta del Blues”), impegnata in una rivoluzione di atteggiamento che si incastra con il movimento giovanile “nayda” del Marocco: una nuova ondata di artisti e musicisti che prendono spunti dal patrimonio locale, cantando parole di libertà nel dialetto marocchino-arabo della darija (mix di molte lingue, di colonizzatori e locali. Puoi trovare alcune parole arabe, alcune francesi, altre spagnole, ma anche portoghesi), mescolandolo alla psichedelia, al rock e al blues anni Settanta. 

Una voce forte per il cambiamento sociale, la musica di Bab L Bluz affronta questioni socio-politiche sia in patria che all’estero. «Siamo qui per portare un messaggio di pace e di tolleranza, indipendentemente dalle fedi politiche e religiose», hanno detto cominciando il concerto all’ora del tramonto nel cortile del Castello aragonese di Taranto. «Pensiamo a quello che accade a Gaza, in Palestina. Noi chiediamo soltanto pace per quella gente, per tutti quei bambini che muoiono. Musulmani, ebrei e cristiani possono vivere tutti insieme».

Yousra Mansou (foto Medimex)

«Penso che la musica ora sia necessaria più che in qualsiasi momento per riunire le persone», ha poi sottolineato nei camerini Yousra Mansour: «Penso che in questi tempi molto difficili, sia importante continuare a fare quello che stai facendo, anche se è molto difficile perché possiamo vedere la tensione e sentire la tensione in alcuni luoghi, dove a volte le persone avranno meno coraggio di andare a uno spettacolo, specialmente per andare a uno spettacolo marocchino perché forse non parlano la stessa lingua o non hanno la stessa religione, o soprattutto a causa delle opinioni politiche. Ma penso che la maggior parte delle persone trovi il proprio coraggio e non gliene frega. Poi vedono che potrebbero apprezzare la stessa musica e ballare allo stesso modo. E poi stanno anche in piedi e combattono per la pace. Quindi non siamo soli. Molte persone stanno anche combattendo per lo stesso scopo».

Armati dei loro guembris elettrici, una sorta di guitar-box di legno a tre e sei corde, Bab L’Bluz scatenano con una miscela di ritmi trance “gnawa”, canzoni “hassani” del Marocco meridionale e poliritmi “chaabi”, spingendo la loro musica nei campi magnetici del rock psichedelico. Il power quartet viaggia per il mondo per distillare i suoi riff ipnotici e diffondere la sua frenesia mistica e liberatoria. 

I guembris elettrici, una sorta di guitar-box di legno a tre e sei corde

Al termine del set, i Bab L’ Bluz sono passati senza soluzione di continuità da testi tristi e brami ad assoli di chitarra frenetici, mentre Yousra Mansou fa ruotare la sua lunga chioma riccia, in una sorta di sfida a chi ancora porta il velo o peggio il burqa. E proprio alle donne afgane, schiave dei talebani, è dedicato uno dei pezzi conclusivi dell’esibizione. 

Una musica travolgente, tant’è che il direttore artistico, Antonio Diodato, aveva fatto togliere le sedie per consentire al pubblico di stringersi attorno al palco e ballare per oltre un’ora di concerto.

I Bab L’ Bluz (letteralmente “La porta del Blues”) durante il concerto nel cortile del Castello aragonese di Taranto per il Medimex25

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