Dall’esperienza con i Cantori popolari di Galati Mamertino, che l’ha portato a collaborare con Franco Battiato, Vincenzo Consolo e Ambrogio Sparagna, al disco “Amanti, santi e naviganti”. Radici nella terra siciliana e sguardo proiettato verso gli orizzonti della world music. «Nel 2010 radunai tutte le persone anziane che conoscevano canti della tradizione e formai un ensemble di 16 elementi, dall’età che variava dai 70 agli 83 anni…»
Non so quanti di voi abbiano mai giocato alla “pista cifrata” della Settimana enigmistica, quella dei puntini da unire con la matita. E vedere che immagine esce fuori. Adesso, se osservate la copertina dell’album Amanti, santi e naviganti di Antonio Smiriglia e prendete come puntini la testa, la scapola e le mani, unendoli scoprirete il disegno della Sicilia. «È il paradigma dell’Isola, sacro e profano, che permea tutte le nostre tradizioni, le nostre feste», spiega l’artista. «La conchiglia, quella di San Giacomo, rappresenta la prosperità, la vita, ha un significato religioso. In contrasto con la nudità del corpo, segno di sacrilegio, il profano».
Sacro e profano accompagnano e si mescolano nelle nove tracce di un album frutto di mescolanza fra sonorità contemporanee – world music, jazz, cantautorato – e il recupero della memoria che Antonio Smiriglia ha condotto con i Cantori popolari di Galati Mamertino, paesino sui Nebrodi che si affaccia sul mar Tirreno, balcone sulle Eolie. «Nel 2010 radunai tutte le persone anziane che conoscevano canti della tradizione: allevatori, agricoltori, mietitori che erano andati a lavorare nelle campagne dell’Ennese. Gente che aveva vissuto quelle tradizioni: una biblioteca ambulante. Formai un ensemble di 16 elementi, dall’età che variava dai 70 agli 83 anni. Fra questi c’era anche mio padre che prima era contrario alla mia carriera di musicista. Io mi laureai in Giurisprudenza, ma non avevo intenzione di fare l’avvocato o il magistrato. Per me, quindi, fu anche una piccola rivincita quando tornavamo insieme dai concerti alle tre di notte e scherzavo rimproverandolo come faceva lui con me: “Ti ritiri a quest’ora del mattino?”».
Con la complicità di Ambrogio Sparagna, l’artista galatese portò zu Ninu, zu Calogero e tutta la combriccola di arzilli nonnetti al Parco della Musica di Roma. «Si disponevano a raggiera, in circolo, e cantavano a cappella i canti della tradizione orale dei Nebrodi».
Con i Cantori ha anche l’opportunità di lavorare con lo scrittore Vincenzo Consolo, che Smiriglia incontra a Sant’Agata di Militello, paese natale dell’autore di Retablo. «Consolo mi commissionò le dodici scritte tratte dal romanzo Il sorriso dell’ignoto marinaio e rinvenute nel Castello Gallego di Sant’Agata Militello», ricostruisce. «Parlano dei moti di Alcara li Fusi e si concludono con un canto popolare, ancora oggi diffuso in Sicilia, in siciliano per metà e in sanfratellano per l’altra. Fu eseguito al Castello di Sant’Agata in sua presenza e alla fine Consolo mi venne incontro e mi abbracciò».
Ed è sempre con i Cantori che Smiriglia ha un altro incontro importante. È il 2014, e Franco Battiato, all’Argimusco, la Stonehenge italiana di Montalbano Elicona, presenta il docufilm Attraversando il Bardo: sguardi dall’Aldilà con la presenza di un coro di monaci tibetani. «Battiato voleva mettere insieme Oriente e Occidente, e fummo chiamati noi», ricorda il cantautore. «Appena vide tutte quelle persone anziane, Battiato si meravigliò: “Come sei riuscito nell’impresa?”, mi chiese. Eseguirono Salve Regina e Battiato si commosse: “Sei un’anima bella, stai garantendo una terza vita a queste persone. Porta avanti questo progetto”, mi spronò. “Benedì” il mio lavoro e ci invitò ad interpretare la sua canzone ‘U Cuntu».
I Cantori andranno anche a sfidare i Giudei di San Fratello nella Settimana Santa. Sacro e profano. Che alla fine si fondono. L’esperienza, però, va via via esaurendosi per mancanza di ricambi. Il colpo definitivo viene inferto dalla pandemia. «Il Covid ci ha fatto allontanare», si rammarica Smiriglia. «Qualcuno è venuto a mancare, altri si sono ammalati, l’età che avanza… Abbiamo perduto persone preziose, quando ci vediamo riaffiorano pensieri tristi».
Chiuso il capitolo Cantori, Antonio Smiriglia si concentra sulla sua carriera di autore e quest’anno dà alle stampe Amanti, santi e naviganti, con il quale continua a sviluppare il contrasto fra sacro e profano, e dove protagonista è sempre la Sicilia. Nel dialetto, nelle storie di pescatori e migranti. L’amore è quello carnale, passionale e peccaminoso di Rosi e spini, ed è quello angelico, stilnovistico di Donna gintili, dedicato a Dante con Oriana Civile nel ruolo di Beatrice. Un album che affascina critici musicali di Manchester e conquista il pubblico di festival estivi in Tunisia, Spagna e Germania. Due brani – Naviganti e Terra – vengono anche selezionati per il premio dedicato ad Andrea Parodi, la voce dei Tazenda spentasi nel 2006. Antonio Smiriglia è fra gli otto finalisti, selezionati fra oltre trecento partecipanti. «È stata una bella esperienza, mi ha dato la possibilità di conoscere tante persone, sondare i nuovi orientamenti della world music e, nello stesso tempo, mettermi in gioco».
Nell’edizione del “Premio Andrea Parodi” che ha aperto le frontiere all’Europa, hanno vinto gli stranieri – il duo Ual-la di Barcellona, l’olandese Raquel Kurpershoek e le catalane Escarteen Sisters – ma per il cantautore di Galati ci sono stati i complimenti di Valentina, la vedova di Andrea Parodi, «che ha percepito nella mia voce pennellate simili a quella del marito» e, soprattutto, sembra aprirsi la prospettiva di un progetto di world music internazionale. Del quale, per scaramanzia, non vuole anticipare nulla, puntando piuttosto su quello in duo con Michele Piccione, polistrumentista di Geraci Siculo già alla corte di Ennio Morricone per il film Baarìa. «Lui fa uso di loop station, mentre io mantengo il canto tradizionale. Arcaico e innovazione». Sacro e profano. Paradigma della Sicilia. E di Antonio Smiriglia.