– L’icona della musica folk anni ’90 arriva in Italia per due concerti: il 14 giugno a Roma e l’indomani a Ferrara. Il suo nuovo album è tutto un programma: “Unprecedented Shit” (“Merda senza precedenti”)
– «A 54 anni penso che sarà bello essere una vecchia e che non me ne frega un cazzo. Sono appena arrivata in menopausa. È allora che le donne smettono di fare sciocchezze». «In America monta la protesta»
Ani DiFranco è un talento inconfondibile che ha scosso la scena della musica folk degli anni ‘90, capace di urlare, sussurrare e far vibrare emozioni profonde attraverso le corde della sua inseparabile chitarra acustica. La sua voce, unica nel suo tono e nella sua potenza, e il suo songwriting, pieno di attivismo e assertività, sono un faro in particolare per le giovani donne che si vedevano nei suoi testi e nel suo stile. Ani incarna una visione libera e radicale, mescolando generi e idee come pochi altri: folk, punk, jazz, spoken word e una costante, inesausta urgenza politica. La sua voce torna a farsi sentire in Italia dopo una lunga assenza con due concerti imperdibili: il 14 giugno alla Casa del Jazz di Roma e il 15 giugno a Ferrara Sotto le Stelle.

Nata a Buffalo, New York, nel 1970, è diventata una vera icona del “do it yourself”: cantautrice, attivista, femminista, bisessuale dichiarata, pioniera della scena riot grrrl, artista fuori da ogni schema. Fin dall’inizio – con quella prima cassetta autoprodotta nel 1990 che avrebbe dato il via alla sua etichetta indipendente Righteous Babe Records – punto di partenza di un percorso per pubblicare in modo indipendente la propria musica e dimostrando di essere un’artista che avrebbe fatto le cose a modo suo nonostante i percorsi tradizionali.
Sulla copertina del suo primo album – che ha il suo nome -, del 1990, appare con la testa rasata. Si è rasata i capelli per la prima volta all’età di 18 anni, per esprimere una ribellione, come aveva fatto un’altra icona musicale anticonformista, Sinnead O’Connor, nel 1987, per una ragione simile, come ha raccontato in diverse occasioni: non voleva essere solo un’altra bella ragazza nell’industria musicale.
«Quella ragazza è ancora qui», tiene a sottolineare. «Solo che ora il furgoncino è diventato un tour bus. Ma quella magia sul palco, la connessione con chi ascolta, è rimasta identica. Anche adesso che sono stanca, più vecchia e potrei passare le giornate in giardino, vivo ancora per quel momento di pura verità tra me e il pubblico. È quello che mi tiene viva».
“I am not a pretty girl / That is not what I do / I ain’t no damsel in distress / And I don’t need to be rescued” (“Non sono una bella ragazza / Non è quello che faccio / Non sono una signora in difficoltà / E non ho bisogno di essere salvata”), cantava Ani DiFranco nel 1995. Allora aveva 25 anni e aveva appena pubblicato il suo sesto album in studio, intitolato proprio come quella canzone, Not a pretty girl, che iniziava con chitarra e voce dolce e a poco a poco stava guadagnando in intensità e rabbia. A quel tempo era già diventata un’icona femminista, era la cantante folk con i rasta che aveva rivoluzionato l’industria creando la sua etichetta a 19 anni e non volendo firmare per una maggiore. Oggi, a 54 anni, DiFranco continua a esibirsi e continua anche a guidare Righteous Babe, la sua etichetta discografica indipendente. Tutto, secondo le sue regole. Questa è la storia che la regista Dana Flor racconta nel documentario 1-800-On-Her-Own, presentato al Festival In-Edit di Barcellona. Il documentario prende il titolo dal numero di telefono fisso della casa discografica creata da DiFranco, che non smetteva di suonare negli anni Novanta. E con “on her own” allude all’indipendenza dell’artista, che si è sempre presentata da sola di fronte al mondo.
Ani, a 54 anni, è ancor più sovversiva e stimolante di quando aveva 20 e 30 anni. Nel film dice: «Penso che sarà bello essere una vecchia e che non me ne frega un cazzo. Sono appena arrivata in menopausa. È allora che le donne smettono di fare sciocchezze». Il suo ultimo album, uscito lo scorso anno, sin dal titolo parla chiaro: Unprecedented Shit (“Merda senza precedenti”).

«In America la democrazia si sta sgretolando sotto i nostri occhi. Ho passato mesi a parlare con le persone dell’importanza di votare, ma non sempre le parole bastano. Ecco perché continuo a scrivere canzoni, libri per bambini – come Show Up and Vote – perché attraverso l’arte possiamo arrivare al cuore delle persone, ispirarle davvero a fare la differenza. Ovunque ci sono proteste, anche se nessuno ne parla. A New Orleans, dove vivo, abbiamo bloccato leggi terribili attraverso un referendum. La gente ha votato in massa. Forse qualcosa sta cambiando, forse ci stiamo svegliando. È dura, ma se ci mettiamo insieme possiamo ancora fare la differenza».
In Italia arriverà con una band ampliata: Todd Sickafoose al contrabbasso, Jharis Yokley alla batteria e Eric Heywood con la pedal steel. «Ci saranno pezzi nuovi, ma anche quelli storici, perché so che il pubblico li aspetta. Both Hands, 32 Flavors, Joyful Girl … sono come amici di lunga data».