Disco

Amaro Freitas: ho dato ritmo a John Cage

– L’icona jazz brasiliana pubblica “Y’Y”, album solista con qualche collaboratore incentrato sull’Amazzonia, dove i suoni degli uccelli, dell’acqua e il fruscio delle foglie duettano con il suo pianoforte. Lo presenterà “live” in Italia dal 21 marzo con un tour di cinque date
– «Volevo che queste canzoni suonassero come la giungla, come i fiumi». «Ci sono momenti in cui mi divido tra i semi dell’Amazzonia, i ritmi africani e, d’altra parte, le melodie europee. È come se la mia mano sinistra fosse l’Africa e la mia mano destra fosse l’Europa»

Nello Stato brasiliano nord-orientale di Pernambuco – una stretta e umida striscia di terra dove la costa sudamericana si protende nell’Atlantico – le favole resistono alla prova del tempo. Se ne racconta una sul Pajeú, il fiume che attraversa lo Stato. Dice così: una volta una viola brasiliana fu sepolta nel letto del fiume, da quel momento in poi chiunque avesse bevuto al ruscello sarebbe diventato un poeta.

Amaro Freitas, 32 anni, pianista jazz di fama internazionale nato a Pernambuco e cresciuto bassifondi della città costiera brasiliana di Recife circondato da storie come questa, non è mai diventato un poeta. Ma il suo lavoro – che intreccia stili musicali tradizionali del nord-est come baião e frevo nel linguaggio di John Coltrane, Charlie Parker e Thelonious Monk – ha sempre attinto alle tradizioni culturali e alla storia della sua terra natale. Parte di una nuova generazione di artisti jazz brasiliani che cercano di infondere nuova vita al genere, Freitas ha guadagnato l’attenzione e il plauso della critica internazionale (per «un approccio alla tastiera così unico che è sorprendente» – Downbeat), ricevendo riconoscimenti da artisti del calibro di Herbie Hancock, con album tra cui Sangue Negro(2016), Rasif (2018) e Sankofa, un lavoro del 2021 che ha descritto come un viaggio spirituale, un percorso a ritroso in cerca delle sue origini africane, del Brasile nero.

Il suo nuovo disco solista, Y’Y, appena pubblicato, lo vede viaggiare fuori nell’Amazzonia, dove i suoni degli uccelli, dell’acqua e il fruscio delle foglie si prestano a composizioni poliritmiche che ricordano la foresta pluviale. Traendo spunto dagli incontri di Freitas con la comunità indigena Sateré-Mawé, queste nuove canzoni rendono omaggio al mondo naturale. 

«I media nazionali qui non raccontano l’Amazzonia in modo approfondito», racconta. «Così, quando sono andato lì, e ho visto le case galleggianti, ho visto le amache sulle barche, ho visitato una tribù per la prima volta e ho guardato il luogo in cui le acque color paglia del Rio delle Amazzoni incontrano il nero Rio Negro, mi sentivo come se stessi accedendo a un altro Brasile».

A ispirarlo è Djamila Ribeiro, una delle voci più importanti sul razzismo strutturale in Brasile. «Un’attivista che parla sempre per i più vulnerabili, la sua voce raggiunge tutti gli angoli del Paese e aiuta a dare speranza a molte famiglie», spiega Amaro, per il quale la più grande paura «è che non possiamo evitare il danno che abbiamo causato al nostro pianeta. Temo per l’Amazzonia, il Pantanal e il riscaldamento globale. Temo di non avere il tempo di fermare tutto questo».

Il pianista brasiliano ha registrato alcuni brani di Y’Y a Milano, altri nel suo studio di Recife. Il flautista-sassofonista Shabaka Hutchings (Sons of Kemet, The Comet is Coming), il batterista Hamid Drake (Don Cherry, Herbie Hancock) e il bassista Aniel Someillan si uniti a lui a Milano; l’arpista Brandee Younger (Makaya McCraven, Meshell Ndegeocello) ha collaborato con Freitas a distanza (da una camera d’albergo di Los Angeles), così come il chitarrista Jeff Parker (di Chicago).

«Questo è un progetto nuovo e diverso dai miei tre album precedenti», tiene a sottolineare. «Quelli erano con il mio trio, ma questo progetto è solista. Suono il pianoforte e ho alcuni collaboratori. Ma questo progetto è molto speciale perché tre anni fa ho messo per la prima volta le mani dentro il pianoforte. Ho afferrato una corda e ho pensato, oh, il suono è davvero buono. Ho iniziato a trovare riferimenti a pianisti che suonavano mettendo le mani sul pianoforte, come John Cage ed Eric Satie, e ho pensato: “Questa è la strada per me adesso. Mi piacerebbe conoscere il pianoforte preparato”».

«Nel mio processo – ho sempre studiato pianoforte in uno studio, nella mia città natale, e mi piace molto studiare il pianoforte – ho portato alcuni oggetti in studio e ho iniziato a inserirli nel pianoforte: domino, nastri, vestiti e cose dall’Amazzonia», continua. «Ma John Cage ed Eric Satie vivevano in Paesi diversi. In Brasile abbiamo un clima caldo. È un Paese tropicale. Volevo unire il pianoforte preparato e il caldo tropicale del Brasile. Quando ascolti il pianoforte preparato di John Cage, non senti alcuno swing. Non oscilla. La musica brasiliana ha molto swing. Volevo mettere lo swing nel suono del pianoforte preparato. Volevo aggiungere samba e maracatu, ma usare pianoforte e poliritmi preparati. Sono tutti molto ritmici e volevo imparare diversi modi di eseguire la ritmica. Se ascolti Dança dos Martelos, c’è un pianoforte preparato e ritmi tropicali. Tutto è molto veloce».

La sperimentazione lo ha aiutato a dare vita ai suoni che sentiva in Amazzonia. «Volevo che queste canzoni suonassero come la giungla», dice. «Come i fiumi». Alla fine, l’esercizio è diventato anche trovare un equilibrio tra ritmo e melodia, una dicotomia che secondo lui ha sempre caratterizzato il suo lavoro. «Ci sono momenti in cui mi divido tra i semi dell’Amazzonia, i ritmi africani e, d’altra parte, le melodie europee. È come se la mia mano sinistra fosse l’Africa e la mia mano destra fosse l’Europa».

Amaro Freitas presenterà in Italia il nuovo album in un tour di cinque date che parte il prossimo 21 marzo dal Festival Isole Sonore all’Università Bocconi di Milano, per essere poi il 23 al San Vito Jazz Festival di San Vito Tagliamento (Udine), il 24 al Laguna Libre Club di Venezia, il 26 alla Torre Unipol di Milano e, infine, il 28 marzo all’Officina Pasolini di Roma.

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