Interviste

ALESSIO BONDÌ alla ricerca di un new sicilian sound

– L’album “Runnegghiè” è il tentativo di proiettare nel futuro le tradizioni popolari siciliane dimenticate da tutti. «Dilaga il neomelodico napoletano e nessuno conosce Rosa Balistreri»
– Dal “ficcanasare” negli archivi alle prove in studio è nato il lavoro che mescola un mondo ancestrale con gli orrori moderni dello stupro di Palermo, nella speranza di un nuovo spirito comunitario
–  Il 21 novembre da Londra parte il tour di presentazione che sbarcherà in Sicilia a cavallo fra dicembre e gennaio con tappe al Biondo di Palermo, al Retronouveau di Messina e al Centro Zō di  Catania

La banniata di un fruttivendolo della Palermo anni Settanta lo ha folgorato sulla via delle tradizioni popolari siciliane. Ha fatto intravedere ad Alessio Bondì, uno dei più intelligenti cantautori siciliani, quello che da tempo avrebbe voluto realizzare: la tradizione che s’incarna nel presente e si proietta nel futuro. 

«Ascoltare i documenti d’archivio non è una esperienza piacevole dal punto di vista musicale, bisogna decriptare questo materiale», racconta il cantautore palermitano. «Fino a quel momento avevo ascoltato soltanto dischi, non avevo mai sentito registrazioni sul campo se non alcune cose che poi erano diventate dei blues americani, le registrazioni di Alan Lomax che hanno avuto un esito discografico importante. I documenti sonori raccolti in Sicilia non hanno avuto questo sviluppo, non c’è stata una traduzione: quella musica contenuta negli archivi è rimasta là, non è uscita fuori come è successo per i blues delle campagne dell’Alabama. Quella banniata non era un suono familiare, ma, tuttavia, me la sentivo risuonare dentro in qualche modo. Bisognava decriptarla anche dal punto di vista dei testi: tu ascolti la traccia audio del canto di un contadino, sdentato, che ha lavorato tutto il giorno nei campi, che usa una modalità di canto in cui allunga le vocali, grida, la registrazione è distorta, usa parole dialettali che non conosci, quindi non capisci bene. O resti ad ascoltare finché ti viene l’acufene, oppure non c’è modo di impararlo. E poi hai bisogno di altri strumenti culturali, contestualizzazioni etnologiche, antropologiche».

Alessio Bondì

L’incontro con le tradizioni di una Sicilia sanguigna, verace, selvaggia, ancestrale, pone Alessio Bondì davanti a una serie di interrogativi: «Ma se volessimo fare qualcosa di veramente comunitario anche nel suono e non solo nell’immaginario descritto dalle parole, dove troviamo le informazioni giuste? Qual è un ritmo siciliano, qual è una armonia siciliana, qual è un modo di cantare, quali sono i timbri nostri? Come possiamo sperimentare nel contemporaneo?».

Le risposte le trova andando a «ficcanasare» negli archivi. Una ricerca che ha portato alla nascita di Lero Lero, collettivo di studio, ricerca e sperimentazione sulla musica di tradizione orale siciliana. Dopo due anni di analisi, approfondimenti, prove, registrazioni e produzioni, nasce Runnegghiè, l’album uscito la scorsa settimana con il quale Alessio Bondì abbandona la sua comfort zone per addentrarsi in una Sicilia rurale, dalle tinte forti, dai sentimenti estremi, che usava ancora la musica come verso animale, rito, preghiera, magia. Con l’intento di creare, sullo stile del newpolitan sound iniziato da Pino Daniele, un nuovo suono siciliano, portando la tradizione popolare nella contemporaneità. «La musica ora è più orientata verso le tradizioni, innanzitutto per una esigenza estetica che diventa etica. Le radici con le nostre origini sono state bruscamente tagliate». 

Le radici con le nostre origini sono state bruscamente tagliate. In qualche piccola comunità resistono modalità di canto e dei repertori. È il caso dei Carrettieri di Bagheria. Oggi fanno altri lavori, molti di loro sono diventati camionisti, adattando ai tempi il loro vecchio lavoro, ma hanno mantenuto la ritualità del canto: si riuniscono, organizzano delle gare, come si faceva fino a qualche decennio fa. Questa era una tradizione condivisa

Alessio Bondì

Una frattura quasi insanabile. Tant’è che in Sicilia è più facile ascoltare la musica neomelodica oppure i rapper napoletani, molti cantanti isolani preferiscono esprimersi nella lingua di Parthenope piuttosto che nella loro.

«In qualche piccola comunità resistono modalità di canto e dei repertori», spiega Bondì. «È il caso dei Carrettieri di Bagheria. Oggi fanno altri lavori, molti di loro sono diventati camionisti, adattando ai tempi il loro vecchio lavoro, ma hanno mantenuto la ritualità del canto: si riuniscono, organizzano delle gare, come si faceva fino a qualche decennio fa. Questa era una tradizione condivisa. Sono migliaia i canti che venivano imparati a memoria e diffusi oralmente nelle campagne. Prima si ascoltavano da Palermo a Noto, oggi sono custoditi in una piccola nicchia. Se si vuole trovare qualcosa di simile al canto dei Carrettieri di Bagheria, che era una sorta di flamenco siciliano, la cosa più vicina è il neomelodico napoletano per tutta una serie di caratteristiche che possiede un tipico canto mediterraneo. Se i palermitani oggi cantano il neomelodico, prescindendo dalla lingua, noi non possiamo fare gli snob, perché se veramente vuoi parlare alla città un qualche tipo di relazione la devi avere, non puoi rimanere fuori se stai iniziando un discorso sulla tradizione, perché oggi per il palermitano la tradizione non è Rosa Balistreri, che non la conosce nessuno, ma è il neomelodico. Tutti conoscono Nino D’Angelo o Geolier, non Rosa Balistreri. A Napoli c’è stata una scuola che ha codificato le informazioni che venivano dal popolo e non si è mai fermata».

È quello che prova di realizzare Alessio Bondì nel nuovo album. Sin dalla prima traccia, Tammuru, una Thriller in versione siciliana per via dei morti che ballano ambientata «in mienzu a nuttata ri sta Paliermu neomelodica».

«Quella frase l’ho rubata», sorride Alessio. «L’ho sentita quindici anni fa alla Vucciria da un tizio, un tunisino che parlava palermitano meglio di me. Mi ha raccontato la sua storia di vendetta familiare, per cui desiderava fortemente tornare in Tunisia per ammazzare tutti e disse quella frase. “Faciemu niesciri r’a fossa tutti i morti / E ninni jamu a cantare!”. Quella frase me la sono segnata e poi, dopo tanti anni, è risalita e l’ho messa lì. Tammuru è una armonia che ammicca al neomelodico napoletano».

Ed è un brano che fa riferimento al fatto di cronaca del luglio dello scorso anno, nella memoria di tutti come lo “stupro di Palermo”, il cui primo capitolo giudiziario si è chiuso in questi giorni con la condanna del branco.

“Quando successe lo stupro di Palermo, come immagino tutti, sono rimasto scioccato. Ho reagito allo shock per quella notizia, partecipando a manifestazioni molto commoventi di persone che si mettevano insieme per protestare in strada contro questo fatto. Avevo dentro un’energia che ho riversato in questa canzone. È stato un evento che ha messo in molti la voglia di scendere in strada per dire ci siamo, facciamo comunità contro una deriva tremenda che abbiamo dentro

Alessio Bondì

«Quando successe questo fatto, come immagino tutti, sono rimasto scioccato», ricorda il cantautore. «Tanto che ha avuto ripercussioni nelle cose che scrivevo. È venuto fuori un lungo scritto dal quale è stato estratto il testo della canzone. Che s’inseriva anche in un mood mio di rivolta, perché stavo vagliando il senso di perdita, di militanza, di ingiustizia che mi aveva portato a questa ricerca sui canti tradizionali. “Perché di un folklore così bello non esiste quasi più niente?”, mi chiedevo. Ho reagito allo shock per quella notizia, partecipando a manifestazioni molto commoventi di persone che si mettevano insieme per protestare in strada contro questo fatto. Avevo dentro un’energia che ho riversato in questa canzone. È stato un evento che ha messo in molti la voglia di scendere in strada per dire ci siamo, facciamo comunità contro una deriva tremenda che abbiamo dentro».

La copertina del disco

Gli orrori di Palermo, di questa deriva morale, riaffiorano anche nel brano Cascino, nome di uno dei quartieri più poveri e disagiati d’Europa che si trovava nella Palermo del Dopoguerra. Era definito “il pozzo della morte” a causa dell’elevata mortalità infantile. Ben presto attirò l’attenzione mediatica anche grazie all’attività in loco del poeta e attivista Danilo Dolci. La canzone racconta una vicenda di pedofilia familiare.

«Evocare il cortile Cascino e una vicenda di pedofilia è inerente alla Palermo di Tammuru. È la fotografia di una città che fa fatica a darsi valori forti, fluida in una maniera molto negativa. La ragazzina che parla nella canzone è un’altra parte di Tammuru, molto urbana e viscerale».

La via di salvezza è quella di fare comunità ed è un po’ il senso di tutto l’album. La necessità di stare insieme, di condividere, di riscoprire la propria identità, valori perduti. E trova la sua sublimazione nel brano che chiude in modo epico il disco dandogli il titolo. «Se ci siamo, siamo qualcosa, se siamo per strada siamo qualcosa, siamo forti», sottolinea Alessio Bondì. «Da questo passaggio si arriva all’ultima traccia, al senso finale di Runnegghie, di questa parola magica: il disperdersi nella natura, nella musica, negli altri, nel tutto».

Nell’album riappaiono elementi che l’autore si porta con sé dai precedenti lavori: Fiesta Nivura si riallaccia all’album Nivuru del 2018, mentre le magie di Maharia (2021) tornano nella filastrocca di Taddarita e in Vucca i l’arma. La notte, il buio, il nivuru – riferito sia al periodo di tempo sia a situazioni drammatiche – e la festa e la follia collettiva sono gli opposti che s’intrecciano in un susseguirsi di forti emozioni e tensioni, che si stemperano e si rilassano nella stupenda melodia finale di Runnegghiè.

Ad affiancare Alessio Bondì (chitarra classica, voce e baritono in Santa Malatia dedicata alla patrona Rosalia) in questo lavoro sono il fidato Fabio Rizzo (chitarra palermitana, baglama saz, cori), Aki Spadaro (consulenza armonica, synth, cori), Donato Di Trapani (elettronica, synth), Carmelo Drago (basso elettrico, synth bass), Carmelo Graceffa (batteria rituale), Giovanni Parrinello (tamburi a cornice) e Federica Greco (cori, fischi).

La prossima settimana partirà il tour di presentazione dell’album che sarà “battezzato” a Londra il 21 novembre, per poi andare a Bruxelles e Berlino, chiudere l’anno il 26 dicembre al Teatro Biondo di Palermo ed il 29 dicembre al Retronouveau di Messina, cominciare il 2025 a Catania (il 5 gennaio da Zō Centro Culture Contemporanee a Catania) e risalire la penisola fino a Torino e Milano in febbraio.

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