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Addio Paolo Carù, miniera di dischi

– All’età di 77 anni se ne è andato il titolare del mitico negozio di Gallarate indicato fra i 10 più importanti del mondo
– Fondò la fanzine “Il Mucchio Selvaggio” e poi “L’Ultimo Buscadero”. Ha influenzato i gusti musicali in Italia

Oggi gli amanti della musica si sentono «tutti un po’ orfani», come si legge in uno dei tanti messaggi di cordoglio affidati ai social: se n’è andato a 77 anni Paolo Carù, titolare dell’omonimo negozio nel centro di Gallarate (nel Varesotto), lo storico “Carù dischi e libri”, aperto nel 1942 da suo padre Luigi e inserito nel 2016 dal quotidiano inglese The Guardian nell’elenco dei dieci più importanti negozi di dischi del mondo. 

Paolo Carù ha rappresentato un faro per molti appassionati di musica rock. Un punto di riferimento per i collezionisti di dischi. Quanti dischi ho ordinato da lui: rarità, album storici, spesso introvabili in un paese di periferia come Siracusa. Ma non è stato soltanto il mio “spacciatore” di dischi. Paolo fu il fondatore della fanzine “Il Mucchio Selvaggio” e, dopo la scissione con la redazione romana, varò la sua seconda avventura giornalistica con “L’Ultimo Buscadero”. Ed è stato proprio su quelle pagine che il sottoscritto ha cominciato a scrivere di musica. Debuttai con un articolo sui Waterboys. 

Non posso dimenticare l’incontro nel negozio di Gallarate. Io emozionatissimo e, soprattutto, confuso nel vedermi circondato da tanti dischi. Vinili a quel tempo. Lui molto serio, preparatissimo, una enciclopedia della musica, incuriosito da quel giovane proveniente dall’estremo sud. Passammo mezza giornata a chiacchierare di musica e, alla fine, dopo aver aperto un pacco di novità mi affidò il disco dei Pretenders da recensire. Per me fu come una promozione sul campo.

A Carù si devono la diffusione e la conoscenza di tanti artisti americani: da Guy Clarke a Ry Cooder, da J.J. Cale a Van Morrison, dai Little Feat agli Alman Brothers band, dai Grateful Dead allo stesso Bruce Springsteen. E se c’è una vena country nei miei gusti musicali la devo certamente a lui.

«Con Paolo è morto anche il fanciullino che da sempre si teneva dentro; quello che lo faceva tornare ragazzo quando spacchettava le scatole degli arrivi, quello che lo portava a ricordare ancora a settant’anni i numeri di catalogo dei dischi mitologici della sua vita, WS 1835, questo è Moondance di Van Morrison, MS 2052, questo invece Into The Purple Valley di Ry Cooder – ne dico due ma lui te ne sparava cento, era come Gianni Mura quando ti sfidava a ricordare le formazioni di calcio del tempo passato. Non sono lucido, sto divagando, e insomma penso che ce lo ricorderemo per un pezzo questo ragazzone con la barba che tanto ha fatto per il rock in Italia», ha scritto Riccardo Bertoncelli per Rockol. «Ci fosse una Hall Of Fame anche da noi, ci entrerebbe in pompa magna».

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